In relazione al dibattito legato al Ponte sullo Stretto, continuiamo a pubblicare un articolo uscito il 20 maggio del 1998 su La Gazzetta del Mezzogiorno e rivisto il 30 giugno del 2020.
…Resta in primo piano la valenza strategica-politica. E qui, ancora, i giudizi possono divergere, senza dar luogo a guerre di religione. Perché è normale che su progetti di questo tipo si nutrano incertezze e opinioni diverse. Io stesso sono stato a lungo incerto e solo attraverso una lunga e tormentata riflessione sono giunto a una conclusione favorevole. A giungere a una conclusione favorevole mi hanno, anzi, aiutato proprio alcuni argomenti negativi che ho letto e che vorrei brevemente analizzare. Ma, prima di analizzarli, devo esplicitare un mio “giudizio di valore”, che condiziona tutto il mio ragionamento. Io penso che sia nell’interesse comune che nel Sud si realizzino due o tre interventi pubblici di grande portata e rilievo.
Sostengo ciò per ragioni economiche, ed occupazionali, ma ancor più per ragioni politiche e civili. Io voglio che l’Italia stia unita e negli ultimi venti anni nulla, assolutamente nulla di serio hanno mai fatto i governi in questa direzione, mentre molto hanno fatto in direzione contraria. Solo pochi privati hanno piantato alcuni grossi chiodi, intorno ai quali si può incominciare a lavorare seriamente. I governi hanno solo smantellato, in parte, gli schemi assistenziali (cosa buona), senza però avviare nulla di alternativo. Forse era impossibile farlo. Ma ora è venuto il momento di fare qualche cosa di importante.
Ciò detto le obiezioni che vorrei discutere sono le seguenti: “Forse ci sono altre cose da fare prima”. Il tema è corretto. Sempre un’opera pubblica importante va confrontata con altre opere alternative. Dunque, discutiamo queste alternative. Certo, per mia disinformazione, io non conosco altri progetti che, per significato, importanza e maturazione, siano paragonabili a questo. Ma, sentiamo! Parlo, ovviamente, di progetti nel Sud e per il Sud.
“Senza affrontare le strozzature del sistema dei trasporti a monte e a valle, il Ponte ha, in sé e per sé, poco senso”. Obiezione correttissima. Ma è evidente che chi sostiene il progetto del ponte lo vede come la grande occasione per iniziare un, comunque, indilazionabile rammodernamento dei trasporti nel Sud. Le condizioni delle ferrovie in Sicilia, che Cattaneo voleva realizzare subito dopo l’Unità italiana, sono uno scandalo tale che, per questo solo fatto, gli amministratori delle FS degli ultimi cinquant’anni dovrebbero essere tutti messi sotto processo. Ed è scandaloso che da Taranto a Trapani ci si metta più tempo che da Francoforte ad Ancorache in Alaska. Dunque, il problema del drammatico sistema dei trasporti del Sud e soprattutto della direttrice Est-Ovest, da Taranto a Trapani, dai Balcani al Maghreb, va presa in mano. In questo contesto il ponte sullo stretto è tutt’altro che un progetto isolato. Esso è un passaggio essenziale ed una leva strategica. Ci vorranno decenni, ma se non si incomincia mai non si arriva mai.
Respingo, invece, in linea di principio alcune altre obiezioni non perché siano infondate, ma perché esse rappresentano problemi da affrontare e vincoli da rimuovere.

