Economicità, risparmio e qualità
Il primo editore pubblico italiano, cioé la Radiotelevisione italiana (Rai), impiega all’incirca dodicimila persone, di cui più di duemila giornalisti. Essa ha forma giuridica di S.p.a., il cui capitale è detenuto dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
Come società autonoma, stipula un contratto poliennale dei servizi con lo Stato col quale assume determinati impegni per il servizio pubblico. Ma non tutta la sua attività è indirizzata al servizio pubblico perché ne svolge una privata per la quale percepisce compensi: ci riferiamo alla pubblicità.
Il bilancio della Rai è formato per circa i due terzi dal canone e per un terzo dalla pubblicità. Cosicché essa si trova in una posizione estremamente difficile in quanto da un canto dovrebbe svolgere una funzione formatrice, educatrice e informatrice nei confronti dei/delle cittadini/e; dall’altro, deve fare più audience per acquisire maggiore pubblicità. Si tratta di una posizione scomoda e contraddittoria che dovrebbe essere eliminata perché così la Rai non è né carne né pesce.
In Gran Bretagna, la Bbc è pubblica e non trasmette pubblicità, cosicché adempie alla sua funzione di informazione pubblica e formatrice, senza alcuna preoccupazione di alimentare uno share, cioé il gradimento di un programma, di qualunque tipo. Ecco il modello che la Rai dovrebbe adottare, ma che i governi in carica non sono capaci di mettere in atto perché la famelicità delle clientele è tale per cui viene posto qualunque tipo di impedimento affinché la Rai faccia solo servizio pubblico.
In questo quadro, vi è anche una questione clientelare perché se la Rai non facesse attività commerciale, cioé se tutti i suoi programmi non avessero alcuna pubblicità, dovrebbe licenziare la metà del personale e semplificare le sue strutture, oggi obiettivamente surdimensionate. Non sappiamo se una potatura di questo tipo comporterebbe anche una riduzione dei giornalisti, il cui numero, indicato prima, è rilevante. Vi sono sedi regionali con quaranta o cinquanta giornalisti di cui non si capisce la necessità. Ci rendiamo conto che la materia trattata oggi è delicata, ma, come è nostro costume, non possiamo fare a meno di illustrarvela.
I costi del colosso radiotelevisivo sono enormi, tant’è vero che nonostante un bilancio di 2,3 miliardi, esso chiude in pareggio. Vi è un settore che fa la produzione di film e di sceneggiati, che poi lo stesso Ente utilizza pagando cifre non sempre di mercato. Insomma, è un sistema di autoalimentazione che certamente non rispetta i canoni di economicità e di risparmio, come sarebbe ovvio che facesse chiunque fa impresa. E la Rai è un’impresa. Tutto però dipende da chi è governata, cioé da soggetti indicati dal governo non secondo regole di alta professionalità, bensì in base alla “normale” cultura del favore che tutti i partiti politici, di qualunque orientamento, adottano perché non sono capaci di guardare lontano e di premiare i meritevoli e punire gli incapaci. Oggi sono apprezzati dai partiti i portatori di voti e non i più bravi. Per questo metà degli elettori ed elettrici non va più a votare.
Dunque, riformare la Rai facendola diventare una sorta di Bbc italiana e togliere dalla testa dei vari direttori l’ossessione di fare un punto in più di share, che oggi è valutato fra i trenta e i quaranta milioni di pubblicità.
Quando lo share non influenzerà più la pubblicità, ecco che i programmi potranno migliorare fortemente la propria qualità e potranno essere utili ai/alle cittadini/e, cui dovrebbero trasferire esempi illuminati e di grande buonsenso, cosa che non avviene nella situazione attuale.
Non sappiamo se queste indicazioni semplici saranno mai prese in considerazione da chi ci governa, ripetiamo di qualunque colore, perché il clientelismo è duro da combattere. Tuttavia, nessuno potrà dire che la questione non sia stata portata all’evidenza dell’opinione pubblica, la quale in assenza di comportamenti conseguenti e adeguati, potrà valutare, anche per questo versante, la capacità o l’incapacità di chi ci governa e decidere di conseguenza a chi indirizzare il proprio voto in futuro.