Sentenza C-146/19 dell’11 giugno: confermato diritto a riduzione dell’imposta assolta e relativa a credito non recuperabile. Il Fisco non può pretendere un importo superiore a quello che il soggetto passivo ha realmente percepito.
Come è noto, a norma del’articolo 26 del Dpr. n.633/1972, quando l’ammontare imponibile di una operazione, ovvero l’ammontare dell’imposta, viene ad aumentare per qualsiasi motivo, occorre provvedere alla “variazione” in aumento, osservando le disposizioni relative alla fatturazione e quelle conseguenziali della registrazione e versamento.
Quando, invece, l’ammontare di una operazione, ovvero l’ammontare dell’imposta, diminuisce, occorre procedere alla “variazione” in diminuzione che comporta, per il cessionario o committente, l’aumento, e per il cedente o prestatore, la riduzione, dell’ammontare dell’Iva dovuta (seppure entro i termini previsti per l’esercizio della detrazione dell’Iva).
La variazione in diminuzione, tuttavia, non può essere effettuata dopo un anno dalla data di effettuazione dell’operazione originaria quando è conseguente ad un sopravvenuto accordo tra le parti, ovvero alla rettifica di inesattezze della fatturazione.
Può essere effettuata, invece, senza alcun limite temporale, nel caso di assoggettamento a procedure esecutive rimaste infruttuose o di procedure concorsuali a carico del debitore inadempiente, sin dalla data del provvedimento che dispone l’avvio della procedura, fermi restando, comunque, i termini per l’esercizio della detrazione ai fini della riduzione dell’imposta originariamente portata a debito.
Si è posto il dubbio se l’insinuazione nella procedura concorsuale sia conditio sine qua non per eseguire la variazione in diminuzione e, conseguentemente, lo storno dell’Iva a suo tempo esposta a debito dal fornitore creditore. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha sempre seguito l’interpretazione più restrittiva, sostenendo, da ultimo con la risposta ad interpello n.1789 del 3 giugno 2019, che la facoltà di ridurre la base imponibile per mancato pagamento del debitore sottoposto a procedura esecutiva o concorsuale è subordinata alla partecipazione del creditore alla procedura stessa o, nel caso di fallimento, all’insinuazione nel passivo.
Recentemente, tuttavia, si è espressa, al riguardo, la Corte di Giustizia Ue con sentenza C-146/19 dell’11 giugno 2020. Secondo l’Organo di Giustizia europea, è contraria alle disposizioni dell’Unione la normativa di uno Stato membro che rifiuta, a un soggetto passivo Iva, il diritto alla riduzione dell’Iva assolta e relativa a un credito non recuperabile qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore e dimostri che, se avesse insinuato il credito, questo non sarebbe stato riscosso.
Nella sentenza dell’11 giugno 2020, la Corte di Giustizia Ue ha ricordato che l’art. 90, paragrafo 1, della direttiva Iva, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile dell’Iva e, di conseguenza, l’importo dell’Iva dovuta ogni volta che, successivamente alla conclusione di una transazione, una parte o la totalità della controprestazione non venga percepita dal soggetto passivo. Si tratta, secondo la Ue, di un principio fondamentale, secondo il quale la base imponibile è costituita dalla controprestazione realmente percepita, per cui l’Amministrazione finanziaria non può pretendere un importo Iva superiore a quello che il soggetto passivo aveva percepito.
Qualunque disposizione nazionale contraria a tale principio, pertanto, è in contrasto con la legislazione europea per la violazione dell’altro principio fondamentale dell’imposta, ossia quello della neutralità.
La Corte, comunque, ha ribadito che è necessario che il soggetto passivo sia in grado di dimostrare che il credito vantato nei confronti del suo debitore presenta un carattere definitivamente irrecuperabile, e ciò al fine di scongiurare il rischio di una perdita di entrate fiscale.
Salvatore Forastierirestatore, la riduzione, dell’ammontare dell’Iva dovuta (seppure entro i termini previsti per l’esercizio della detrazione dell’Iva).
La variazione in diminuzione, tuttavia, non può essere effettuata dopo un anno dalla data di effettuazione dell’operazione originaria quando è conseguente ad un sopravvenuto accordo tra le parti, ovvero alla rettifica di inesattezze della fatturazione.
Può essere effettuata, invece, senza alcun limite temporale, nel caso di assoggettamento a procedure esecutive rimaste infruttuose o di procedure concorsuali a carico del debitore inadempiente, sin dalla data del provvedimento che dispone l’avvio della procedura, fermi restando, comunque, i termini per l’esercizio della detrazione ai fini della riduzione dell’imposta originariamente portata a debito.
Si è posto il dubbio se l’insinuazione nella procedura concorsuale sia conditio sine qua non per eseguire la variazione in diminuzione e, conseguentemente, lo storno dell’Iva a suo tempo esposta a debito dal fornitore creditore. L’Agenzia delle Entrate, infatti, ha sempre seguito l’interpretazione più restrittiva, sostenendo, da ultimo con la risposta ad interpello n.1789 del 3 giugno 2019, che la facoltà di ridurre la base imponibile per mancato pagamento del debitore sottoposto a procedura esecutiva o concorsuale è subordinata alla partecipazione del creditore alla procedura stessa o, nel caso di fallimento, all’insinuazione nel passivo.
Recentemente, tuttavia, si è espressa, al riguardo, la Corte di Giustizia Ue con sentenza C-146/19 dell’11 giugno 2020. Secondo l’Organo di Giustizia europea, è contraria alle disposizioni dell’Unione la normativa di uno Stato membro che rifiuta, a un soggetto passivo Iva, il diritto alla riduzione dell’Iva assolta e relativa a un credito non recuperabile qualora egli abbia omesso di insinuare tale credito nella procedura fallimentare instaurata nei confronti del suo debitore e dimostri che, se avesse insinuato il credito, questo non sarebbe stato riscosso.
Nella sentenza dell’11 giugno 2020, la Corte di Giustizia Ue ha ricordato che l’art. 90, paragrafo 1, della direttiva Iva, obbliga gli Stati membri a ridurre la base imponibile dell’Iva e, di conseguenza, l’importo dell’Iva dovuta ogni volta che, successivamente alla conclusione di una transazione, una parte o la totalità della controprestazione non venga percepita dal soggetto passivo. Si tratta, secondo la Ue, di un principio fondamentale, secondo il quale la base imponibile è costituita dalla controprestazione realmente percepita, per cui l’Amministrazione finanziaria non può pretendere un importo Iva superiore a quello che il soggetto passivo aveva percepito.
Qualunque disposizione nazionale contraria a tale principio, pertanto, è in contrasto con la legislazione europea per la violazione dell’altro principio fondamentale dell’imposta, ossia quello della neutralità.
La Corte, comunque, ha ribadito che è necessario che il soggetto passivo sia in grado di dimostrare che il credito vantato nei confronti del suo debitore presenta un carattere definitivamente irrecuperabile, e ciò al fine di scongiurare il rischio di una perdita di entrate fiscale.
Salvatore Forastieri