Regionali, Forza Italia e l’ultimo Gattopardo - QdS

Regionali, Forza Italia e l’ultimo Gattopardo

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Regionali, Forza Italia e l’ultimo Gattopardo

Giovanni Pizzo  |
giovedì 11 Agosto 2022

La Sicilia è la roccaforte del partito di Berlusconi, che qui ha percentuali doppie e triple rispetto ad altre regioni. Sarebbe stato assurdo rinunciare all’ultima trincea moderata rimasta

Alla fine sembra, tutto sembra per ora, aver vinto la politica. Forza Italia, partito moderato, soprattutto in Sicilia, era il più votato del centrodestra alle ultimi elezioni regionali e amministrative.

La Sicilia è la roccaforte del partito di Berlusconi, che qui ha percentuali doppie e triple rispetto ad altre regioni. Sarebbe stato assurdo rinunciare all’ultima trincea moderata rimasta, in un Italia che sembra da anni sulle montagne russe, e non lo diciamo a caso, tra discese ardite e repentine risalite.

La Regione Siciliana, dopo il definitivo passo indietro del Presidente uscente, a mezzo social, roba più da Fedez che da Musumeci, e dopo il passo di lato del Segretario regionale della Lega, Nino Minardo, si appresta per la prima volta ad avere un candidato di Forza Italia. Nonostante le messe di voti presi da FI nell’isola, questo partito aveva sempre rinunciato alla guida in favore degli alleati. È stato così per Cuffaro, Lombardo, e due volte per Musumeci.

La battaglia di Miccichè

È stata una battaglia lunga, lunghissima, per battere la voglia di resistere di Musumeci sulla sua poltrona, condotta da oltre un anno dal sempiterno Miccichè, il Principe di Salina degli ultimi venticinque anni, appartenente ad una famiglia di gattopardi borghesi palermitani. Come nel romanzo di Tomasi di Lampedusa Miccichè rifiuta il seggio a Roma, si ritiene troppo vecchio, diceva lui. Ha governato i Berluscones siciliani per 28 anni, quasi ininterrottamente. E quando lui non fu al comando dei forza italioti il centrodestra ha perso, proprio con Musumeci candidato.

Lui si candidò, sotto le insegne di Grande Sud, contro. E questa reminiscenza ha fatto da deterrente, perché l’uomo ha dimostrato di essere capace di avere la cosiddetta corda pazza, questa cosa in Sicilia è molto compresa, nonché temuta.

Gli alleati

Miccichè non ha condotto questa battaglia in solitaria, e riuscito a portarsi dietro tutto il gruppo dei moderati siciliani, nonché la Lega, proprio il partito a cui guardava il movimento del Presidente Musumeci. Il quale di errori ne ha fatti politicamente tanti. Prima non votando FdI alle Europee, e rompendo cosi il sodalizio con Raffaele Stancanelli, che si era battuto per lui strenuamente alle regionali. Poi tentennando un tempo infinito nel fidanzamento con la Lega, a cui tendeva la mano il suo delfino, Ruggero Razza. Poi insidiando gli assessori degli altri partiti, che non si sono dimostrati delle Cornelie di somma virtù.

Soprattutto questa sua impoliticità ha minato la fiducia della coalizione nei suoi confronti. Oggi dichiara di essere stato troppo scomodo, di non essersi adeguato ai partiti. Ma non si può chiedere ad una coalizione di essere eletto e poi averne fastidio il giorno dopo, rivolgendosi direttamente al popolo. Se voleva essere un uomo solo al comando poteva candidarsi in autarchia, come Cateno De Luca.

Oggi si ritira come Cincinnato, dicendo di essere deluso e di tornare a fare il semplice militante. Cosa che perfino i bambini ritengono poco credibile. Fratelli d’Italia all’ultimo istante entrano a gamba tesa su Forza Italia indicando il loro favore per Schifani, come Miccichè e soci fecero per Stancanelli. Ma il partito siciliano si unisce in un solo uomo calando l’asso di briscola, Gianfranco Miccichè. O forse è una mossa per un colpo di scena successivo. La famosa donna palermitana.

Per contrappasso, a tramonto inoltrato  il vincitore di questa querelle infinita sembra, non dire mai gatto se non ce l’hai nel sacco, sembra il trapattoniano Gianfranco, all’anagrafe Giovanni, Miccichè da Piazza Politeama, Palermo. A casa sua tra i dischi di una generazione, le foto di Marylin ed un campionario di gadget juventini ci starebbe bene una foto di Tomasi di Lampedusa, magari seduto a scrivere al bar Mazzara, altro simbolo scomparso di una Palermo che fu. Alla fine il gatto c’era veramente, e si è mangiato il topo.

Così è se vi pare.

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