MESSINA – Dopo avere goduto di quelle trasformazioni, dei tanti episodi dove l’attore ha indossato la maschera per cercare di modificarsi, per poi trovare la strada e la maniera di riconoscersi anche senza trucco, Renato Zero porta in scena il suo essere nudo, scevro di ogni etichetta se non quella del proprio nome. Tagliato il traguardo dei suoi settantacinque ‘debutti’, sotto il costume di istrione si rivela forte più che mai quell’identità visionaria, trasformista, provocatrice. Trasversale alle generazioni di ieri e di domani. La creatività di un artista unico e irripetibile che, sulle note delle diciannove tracce del nuovo album “L’Orazero”, in uscita per Tattica il 3 ottobre, fa partire ufficialmente il conto alla rovescia per la nuova grande avventura live che animerà i principali palasport italiani.
Un viaggio che farà tappa al Palarescifina di Messina il 15 e 16 aprile 2026.
“La Sicilia è una postazione che ho recuperato, finalmente, perché conosciamo lì il problema della carenza di spazi per potersi esibire, per poter realizzare delle buone performance. Sono davvero felice di poterla riabbracciare”.
Ogni spettacolo ha un marchio di fabbrica e un copyright. Sempre e comunque originale?
“Non mi piacerebbe mai che, partecipando a un mio concerto, qualcuno dicesse: ‘Quella cosa l’ha fatta anche Springsteen…’. Io sono Zero da molto prima di quello che pensate. Di Renato ce n’è uno, tutti gli altri son nessuno”.
Si parla spesso di show con una tale leggerezza, quando invece – nei suoi live – è forte la componente della religiosità.
“Viviamo in tempi di guerra, in una condizione estremamente precaria, e anche la musica si deve adeguare al clima che si respira. Senza spingersi troppo in un’osservazione eccessivamente alta, la spiritualità gioca un ruolo importante, perché è proprio questa dimensione che stiamo colpendo, che viene vilipesa da un criterio speculativo di economie importanti che ci impediscono probabilmente di riacquisire quella padronanza dell’io, di sentirci finalmente cittadini del mondo. Ed è un po’ la finestra da cui mi affaccio con questo nuovo lavoro, nel tentativo di combattere – come uomo e artista – la preoccupante staticità a cui ci siamo assuefatti, come l’abitudine al dolore o a un regime terroristico…”.
‘L’Orazero’ si offre come una porta aperta al dialogo, alla condivisione dei pensieri, ma anche alla possibilità concreta di un cambiamento profondo.
“In un mondo che urla e che sgomita, mi muove l’urgenza di riaffermare le basi fondamentali del vivere: l’amore, come energia inesauribile che tiene accese le relazioni umane, e il rispetto, come principio irrinunciabile che permette di stare in armonia con sé stessi e con gli altri”.
Quattro chiacchiere giornaliere con lo specchio conviene sempre farle. Magari con lui riflettere a fondo se veramente si è ancora in grado di sostenere tutti quegli oneri che il nuovo percorso comporterà. Non trova?
“Io che con lo specchio ho avuto da sempre un rapporto stretto e indispensabile! Ci ho passato le ore in sua compagnia, trasformando ogni volta la mia faccia per sfuggire alla stanca normalità, facendo così impazzire ogni anagrafe. Se si vuole un accesso costante e duraturo al camerino, queste sono le condizioni essenziali: stringere un’amicizia salda con la propria coscienza, se possibile farsi amico uno strumento musicale, familiarizzare con un microfono ed esercitarsi nell’uso corretto di una eccellente faccia di bronzo. Così mi sono vestito da marionetta, per non esserlo”.
Vanta un pullulare di sosia che impensierisce. Lei, invece, da chi ha attinto?
“Mi sono scelto quelli più rivoluzionari, da Bob Dylan a Leonard Cohen, Frank Zappa, John Lennon, Leo Ferré, Nina Simone e Janis Joplin. Parlo di gente che ha preso la musica e ne ha fatto una trincea. Alcuni addirittura una salda preservazione dalla contaminazione dei soldi facili, del successo a tutti i costi. Il successo, quello buono, è quando torni a casa, dopo esserti esibito, dopo aver comunicato la tua arte a qualcuno, e ti fai le tue otto ore di sonno meravigliosamente”.
Un’infaticabilità artistica che si coniuga con una dimensione più intima, personale del pubblico.
“Ho fatto degli stadi in passato ed è aumentata la mia miopia, perché vedevo le capocette piccole piccole, io che sono abituato a stalkerizzare, toccare, vedere, annusare le persone che vengono ai miei concerti: infatti scendo nelle platee con enorme godimento. Io di certo che preferisco gli spazi dove mi è consentita una comunicazione più vicina, più ossigenante, più in presenza. Il pubblico è pubblico, diventa un’anima e non centomila anime. È sempre meglio mantenere la vicinanza perché, se si vuole entrare in queste coscienze, bisogna non fare troppa strada. Sennò ci si perde”.
Le piazze sono piene di persone, ma in giro ci sono pochi idealisti.
“L’idealismo non funziona nel singolo. Deve trovare aderenze, complicità nella moltitudine. Ogni ideale, se non si nutre di un popolo, credo che abbia vita breve. Io, i miei ideali, li ho sempre voluti condividere. Ma non è stato solo il palcoscenico, quanto piuttosto la strada, dove sono cresciuto assieme alla mia arte. È lì che ho ispezionato, verificato, trovato affezione, compensazione e complicità. Non si prescinde: quando si fa questo lavoro, non bisogna pensare che il proprio ideale sia l’orticello dietro casa, ma una foresta meravigliosa, popolata da tante anime, da molteplici diversità”.
Ha sempre cantato i fuoriposto, i reietti della società.
“Mi fa piacere che si possa indottrinare ancora tanta gente. Con la diversità non si corrono rischi perché c’è già una dichiarazione di guerra nel diverso, è uno che vuole combattere per la propria salvezza. L’augurio è che si possa continuare a sostenere il pensiero più nascosto, più recondito, che trovi finalmente la luce e la maniera di essere considerato anche una forza e uno straordinario paracadute”.
Talvolta la solitudine è un’ancora di salvezza?
“Quando finalmente ti trovi a confronto con te stesso, senza contaminazioni, senza distrazioni, pian piano cominci finalmente a rivalutare anche certi errori, a crescere con maggiore vigore e decisione nei rifacimenti. Così, quando devi ritinteggiare la tua anima, sei pronto, hai maggiore consapevolezza di poter in qualche modo guarire dalle incertezze. La paura di oggi è l’incomunicabilità, è salutarsi con il sorriso ma non riconoscere la persona che hai davanti”.
Renato Fiacchini, in arte Zero. In cosa oggi si sente trasgressivo?
“Forse in una normalità inattesa. Perché poi, alla fine, si trasgredisce anche con un bacio, un abbraccio. Dipende dalla circostanza, dal valore che dai ai rapporti, ai sentimenti. Quando una situazione è statica, se qualcuno trasgredisce anche alzandosi dalla massa e cantando ‘penso che un sogno così non ritorni mai più’, ha già vinto”.

