Repubblica fondata sul lavoro (degli altri) - QdS

Repubblica fondata sul lavoro (degli altri)

Carlo Alberto Tregua

Repubblica fondata sul lavoro (degli altri)

martedì 04 Maggio 2021

Senza produttività non serve

L’articolo uno della nostra Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro…”.
Il non dimenticato Enzo Biagi aggiungeva “degli altri”, intendendo con ciò che molti erano buoni a propugnare l’idea di lavoro, ad auspicare che tutti lavorassero, ma in effetti tiravano i remi in barca e aspettavano che gli altri lavorassero, cercando di mantenere o ottenere una rendita di posizione.
Nel nostro piccolo, aggiungiamo che il lavoro dev’essere produttivo oppure è inutile, perché esso comporta fatica e dispendio di energie. Ma se fatica ed energie non sono finalizzate a ottenere un risultato, è un comportamento deficiente, cioé poco intelligente.
La produttività del lavoro si misura con il raggiungimento degli obiettivi che si propone. Se esso è produttivo, raggiunge risultati. Comparando questi con gli obiettivi viene fuori l’efficacia delle energie spese.

Il presidente dell Repubblica, Sergio Mattarella, con le sue consuete, sagge parole, ha sottolineato, lo scorso primo maggio (Festa del lavoro), come esso sia indispensabile per la crescita, non solo economica, ma anche morale, di tutta la popolazione.
I sindacati confederali hanno festeggiato, seppure con poco pubblico, la ricorrenza, elencando more solito un elenco di diritti. Dispiace non aver sentito l’elenco dei doveri e il rispetto delle regole etiche secondo cui ogni persona, degna di questo nome, deve prima dare e poi chiedere.
Però, nel nostro Paese è invalsa l’abitudine di continuare a chiedere, senza preoccuparsi di ciò che bisogna dare anticipatamente. Cosicché l’economia si è avvitata su se stessa e con essa l’occupazione, la decrescita del Pil, il disordine generale e il retrocedere continuo di tutto il Paese.
In questo quadro, il Sud è ancora derelitto perché i governi degli ultimi decenni non hanno investito massicciamente risorse, come invece hanno fatto nel Nord e nel Centro Italia.
È noto a tutti che il tasso infrastrutturale è il dato che consente lo sviluppo dell’economia e anche della socialità generale perché la gente può muoversi con rapidità e raggiungere i luoghi di lavoro, culturali e di svago senza impedimenti e senza ostacoli.
Il lavoro non si produce con i decreti, perché essi servono a dare indirizzi, ma poi ci vuole chi, con la propria intelligenza e competenza, progetti e realizzi disegni che poi si trasformano in occupazione.
Ma questo non è chiaro alla classe politica, che in questo periodo ha dimostrato la sua pochezza perché formata prevalentemente da cittadini e cittadine incompetenti che non hanno la minima idea di come si progetti e realizzi il lavoro produttivo. Produttivo significa che bisogna fare più cose e di maggiore qualità nello stesso tempo.
Sia ben chiaro, quando ci riferiamo al lavoro, non intendiamo solo quello delle fabbriche, del commercio, dell’artigianato, dei servizi, dipendente o autonomo, ma ci riferiamo anche al lavoro pubblico e a quello sociale.
Una buona parte dell’assistenza ai deboli e ai bisognosi è svolta da volontari che mettono a disposizione il proprio tempo e le proprie capacità per aiutare gli altri. Ma senza organizzazione, anche questo importante lavoro sarebbe vanificato.

Nel settore privato la produttività è messa al primo posto fra gli strumenti organizzativi che si adoperano per raggiungere i risultati, poiché occorre produrre servizi della migliore qualità possibile al minor prezzo.
Il discorso è diametralmente opposto quando si tratta del lavoro pubblico, laddove manca alla radice l’organizzazione moderna ed efficiente, l’indicazione degli obiettivi da raggiungere e la misura della produttività.
Qualcuno chiede come si possa misurare tale produttività nei servizi pubblici. Per chi ha un minimo di competenza, la risposta è ovvia: indicando quantitativamente e qualitativamente i fascicoli da evadere per ogni dipendente in un certo tempo. Senza tale metodo, ognuno può fare (e fa) quello che vuole, svolgendo un lavoro quasi inutile, cui però corrisponde una remunerazione certa che arriva puntualmente ogni fine mese.
La questione più importante per chi voglia lavorare è acquisire competenze, senza delle quali ormai nessuno può trovare collocazione (nel privato); nel pubblico, invece, sì.

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