ROMA – “Ricordiamo l’eroismo della Resistenza, nell’esempio di Paola Del Din che, addestrata dallo Special operation executive, si lanciò con il paracadute per compiere la sua missione a sostegno degli Alleati. Paola ora ha 101 anni e celebriamo il suo coraggio”. Queste sono state le parole di Re Carlo III alla Camera, che ha voluto porre l’accento su una donna combattente che ha fatto la storia dell’Italia antifascista durante la Seconda guerra mondiale. Addestrata dalle forze britanniche, Paola Del Din è stata la prima donna paracadutista italiana e probabilmente l’unica ad aver compiuto un lancio di guerra.
Subito dopo l’armistizio, infatti, Del Din entrò nella Resistenza in Friuli Venezia Giulia nelle fila della Brigata Osoppo con il nome di battaglia “Renata”. Durante la guerra prese parte a numerosi e rischiosi incarichi come staffetta e informatrice. Dopo l’uccisione del fratello da parte dei tedeschi, per incarico della “Osoppo” e su richiesta alleata, riuscì a raggiungere gli Alleati a Firenze per consegnare documenti di particolare rilievo. Per continuare la sua opera patriottica e rientrare in Friuli, frequentò un corso di paracadutismo e il 9 aprile 1945 si lanciò, per l’appunto, in una zona del Friuli dove prese contatto con la missione alleata e con la formazione Osoppo. All’atterraggio si fratturò una caviglia, ma riuscì comunque a consegnare i documenti che aveva con sé.
La storia delle donne nella Resistenza italiana
La storia delle donne nella Resistenza italiana rappresenta una componente fondamentale per il movimento partigiano nella lotta contro il nazifascismo. In tutte le città le donne partigiane lottavano quotidianamente per recuperare i beni di massima necessità per il sostentamento dei compagni e trasportavano risorse poiché considerate meno pericolose. Vi erano gruppi organizzati di donne che svolgevano propaganda antifascista, raccoglievano fondi e organizzavano assistenza ai detenuti politici ed erano impegnate anche nel mantenimento delle comunicazioni oltre che nelle operazioni militari.
Davvero tante le donne partigiane
Sono state davvero tante le donne partigiane che hanno avuto un ruolo attivo fondamentale per l’Italia durante la Seconda guerra mondiale. Alcuni dati testimoniano questo fatto incontrovertibile: 35 mila donne partigiane combattenti; 20 mila donne con funzioni di supporto; 70 mila donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna; 4.500 arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti; 2.750 deportate in Germania nei lager nazisti; 623 fucilate o cadute in combattimento; 512 commissarie di guerra; 19 medaglie d’oro e 18 medaglie d’argento.
Così come ricostruito anche dall’Anpi – Associazione nazionale partigiani italiani, le donne, in quanto non sottoposte ai bandi di reclutamento e in generale non obbligate alla fuga e al nascondimento, sono state infatti impegnate in ognuno dei compiti previsti dalla lotta di Liberazione nelle sue varie modalità: armate o disarmate, d’ogni fascia sociale e di ogni professione, giovani e meno giovani, meridionali e settentrionali, antifasciste per scelta personale, tradizione familiare o più semplicemente “di guerra”, hanno fatto della lotta un elemento determinante della propria esistenza. “Le donne non offrono alla Resistenza solo un contributo, ma partecipano attivamente, ponendosi come elemento imprescindibile della lotta stessa nelle sue varie declinazioni” ha scritto l’Anpi.
Dall’8 settembre 1943 è nato quello che fu definito maternage di massa, concetto con cui la storica Anna Bravo alludeva alla “disponibilità femminile nei confronti di un destinatario ben determinato, il giovane maschio vulnerabile che si rivolge in quanto tale alla donna come a una figura forte e protettrice, vale a dire a una madre”. Le “madri della montagna” continuarono a lavorare, tagliare, cucire, preparare indumenti, confezionare pacchi viveri portati dalle staffette in montagna ai partigiani, avvisavano dei rastrellamenti consentendo ai loro uomini di mettersi in salvo. E in molti casi versarono lacrime per i figli uccisi sotto i propri occhi.
Le donne sono state protagoniste principali della Resistenza civile
Alcune loro azioni di massa hanno portato risultati estremamente concreti e importanti da un punto di vista strategico e politico: si pensi alle donne che, nella Napoli occupata del settembre 1943, impedirono i rastrellamenti degli uomini, facendo letteralmente svuotare i camion tedeschi già pieni e innescando così la miccia dell’insurrezione cittadina. Si pensi, ancora, alle cittadine di Carrara che, nel luglio 1944, resistettero agli ordini di sfollamento totale impedendo ai tedeschi di garantirsi una comoda via di ritirata verso le retrovie della linea Gotica.
C’erano poi le staffette partigiane
Questo ruolo era spesso ricoperto da giovani donne tra i 16 e i 18 anni, per il fatto che si pensava destassero meno sospetti e che non venissero quindi sottoposte a perquisizione. Le staffette avevano il compito di garantire i collegamenti tra le varie brigate e di mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie; in alcuni casi avevano anche il compito di accompagnare gli eventuali resistenti. Senza i collegamenti che loro assicuravano, tutto si sarebbe fermato e ogni cosa sarebbe stata più difficile. Tra loro, per esempio, si ricorda Carla Capponi a cui è stata conferita la medaglia d’oro al valor militare proprio perché staffetta ma anche combattente nella Resistenza romana. Infatti, al di là dell’impegno nell’opposizione civile, le donne sono state protagoniste anche della lotta armata. Il primo distaccamento di donne combattenti sorse in Piemonte alla metà del 1944 presso la Brigata garibaldina Eusebio Giambone e fu una delle tante brigate partigiane nate durante la Resistenza, legate prevalentemente al partito Comunista: ma militavano anche esponenti del Comitato di liberazione nazionale, del Partito socialista italiano, del Partito d’Azione o della Democrazia cristiana.
Non solo staffette, quindi, ma anche combattenti armate nelle bande extra-urbane; membri dei Gruppi di azione patriottica e delle Squadre di azione patriottica in città e nelle fabbriche; addette ai fondamentali servizi logistici; organizzatrici di manifestazioni contro la guerra, a favore dei detenuti e dei deportati, o in onore dei partigiani caduti. Ancora, sono state militanti attive dei Gruppi di difesa, creati dalle donne e per le donne come vera e propria struttura politica.
La lotta di Liberazione è stata una questione anche femminile
La lotta di Liberazione, a dispetto di ogni narrazione a trazione maschile, è stata una questione anche femminile. Le donne partigiane hanno destabilizzato per decenni anche coloro che, al loro fianco o con loro al proprio fianco, hanno combattuto per dar vita a qualcosa di radicalmente nuovo. È per questa ragione che le donne sono state escluse da molte delle sfilate partigiane nelle città liberate; in precedenza, non erano mancate, tra i compagni di lotta, le voci che criticavano la scelta femminile di abbandonare il focolare per impegnarsi nella guerra partigiana, che implicava convivenza, promiscuità, assenza di controllo parentale. Alle donne della Resistenza, quindi in sintesi, si è dimostrata gratitudine e rispetto, ma non riconoscimento politico o militare.
Pochissime le donne alle quali è stata riconosciuta la qualifica di partigiana combattente
Questa sottovalutazione ha riguardato anche i “frutti” della Liberazione: dopo la conclusione vittoriosa della guerra, infatti, sono state pochissime le donne (35.000 a fronte di 150.000 uomini) alle quali è stata riconosciuta la qualifica di partigiana combattente, nonostante un impegno, nei fatti, molto significativo. Sebbene impiegate in ambiti diversi all’interno del molteplice universo della Resistenza, le donne riassumono in sé quasi tutte le anime plurali dell’opposizione al nazifascismo, dall’estremo della lotta armata a quello della resistenza disarmata.

