Il contrasto alla violenza di genere in Italia si fonda sempre più sulla capacità dei territori di costruire reti efficienti, integrate e formalizzate, come previsto dalla Convenzione di Istanbul e dalla Legge 119 del 2013. Il potenziamento dell’assistenza alle vittime, infatti, richiede che i servizi socio-sanitari, i centri antiviolenza, le forze dell’ordine e le istituzioni locali operino in maniera coordinata, con accordi chiari e procedure condivise. Per la prima volta, nel 2024 l’Istat ha avviato un’indagine nazionale per censire questi strumenti di cooperazione e nel 2025 ha pubblicato un report che rappresenta la prima “mappa ufficiale” delle reti italiane contro la violenza sulle donne. Ne emerge un quadro ricco e articolato, con 251 reti territoriali censite e 924 soggetti proponenti. Ma dentro questa fotografia c’è una macchia bianca che colpisce più di tutte: la Sicilia non compare.
La criticità più evidente
L’assenza della Sicilia, insieme a quella di Campania e Molise, è la criticità più evidente dell’intera rilevazione. Nella mappa dei Comuni coinvolti nelle reti territoriali non risulta alcun Comune siciliano: né Palermo, né Catania, né Messina, né centri come Trapani, Ragusa o Siracusa. Mentre Roma appare con ben 196 nodi, Milano con 136, Firenze con 70, Bologna con 47 e persino una città più piccola come Catanzaro con 46, la Sicilia è totalmente priva di punti mappati. È come se l’Isola fosse rimasta improvvisamente fuori da una fotografia nazionale in cui quasi tutte le altre regioni, pur con differenze, risultano presenti e attive.
Niente accordi formalizzati
Il problema non è la semplice assenza di dati, perché l’Istat chiarisce che la mancata partecipazione non significa affatto che la Sicilia non abbia servizi o interventi. Il problema è più profondo: riguarda la mancata formalizzazione degli accordi, dei protocolli e delle intese che costituiscono l’ossatura delle reti territoriali. In altre parole, ciò che manca non è necessariamente l’azione, ma la sua traduzione in atti ufficiali e condivisi, indispensabili per garantire coordinamento, continuità e tracciabilità. La Convenzione di Istanbul parla chiaramente di “politiche integrate” e di collaborazione strutturata tra istituzioni nazionali, regionali e locali. Non essere presenti nel censimento significa rischiare di rimanere fuori da questa dimensione di governance.
Il confronto con le altre regioni
Il confronto con il resto del Paese evidenzia ancora di più il ritardo dell’Isola. Le regioni del Centro-Nord mostrano un sistema consolidato e maturo. Il Lazio, ad esempio, è la regione con il maggior numero di reti censite, 95 protocolli formali. La Lombardia raggiunge il primato per il numero di soggetti coinvolti, 398 proponenti, segno di una straordinaria mobilitazione interistituzionale. In queste realtà le reti sono complesse, multilivello, capaci di integrare istituzioni scolastiche, centri antiviolenza, prefetture, procure, ordini professionali e servizi territoriali, con una forte attenzione anche agli aspetti preventivi.
Nel Sud la situazione è più variegata, ma comunque molto diversa da quella siciliana. La Puglia ha censito 16 reti con 29 soggetti proponenti, mostrando una forte presenza degli Ambiti sociali di programmazione, che da soli rappresentano il 31% dei promotori, mentre il settore giudiziario incide per il 17,2%. La Calabria ha registrato 13 reti e 40 proponenti, con un ruolo determinante dei Centri Antiviolenza, responsabili del 37,5% delle iniziative. La Sardegna presenta un modello ancora diverso, completamente centralizzato, con una sola rete e un unico soggetto proponente, la Regione. Pur con caratteristiche differenti, tutte queste regioni hanno almeno formalizzato la presenza di reti territoriali operative. La Sicilia, invece, rimane fuori dalla classificazione nazionale.
Gli obiettivi delle reti
Anche gli obiettivi perseguiti dalle reti italiane confermano la distanza dell’Isola rispetto al sistema nazionale. A livello nazionale, 23 reti hanno l’obiettivo di condividere procedure codificate di accoglienza, altre 21 puntano a sviluppare strategie operative integrate. In totale sono stati censiti 1.791 attori coinvolti, con una forte presenza del settore giudiziario, che conta 367 attori, mentre i Centri Antiviolenza e le Case Rifugio rappresentano il 18,1% del totale e i servizi comunali il 13,2%. Sul piano operativo, la maggior parte degli atti formali riguarda la definizione dei flussi informativi e delle procedure di invio: ben 161 atti regolano il passaggio dei casi ai CAV e 121 fissano le modalità di reperibilità in emergenza.
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