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Revenge porn, il vaso di Pandora: se le ombre si trasformano in fari sulle violenze e gli abusi

Revenge porn, il vaso di Pandora: se le ombre si trasformano in fari sulle violenze e gli abusi
Polizia postale

Stop a “Mia moglie” e “Phica.eu”, che diffondevano foto senza consenso. Ma è soltanto la punta dell’iceberg

ROMA – Chi dice donna dice tanto, ma forse non è ancora abbastanza. Rimettere in fila la cronaca di questi giorni in merito ai gruppi sessisti che hanno perpetrato una violenza maschile sistemica utilizzando senza consenso le foto di donne (famose e non), ha del nauseabondo. Ma è doveroso perché ogni verità raccontata sulle violenze del web aiuta a “spogliare” chi commette i crimini.

È così che, a distanza di pochi giorni, sono stati scovati e chiusi sia il gruppo “Mia moglie” su Facebook che il forum “Phica.eu”. Seppur con “target” diversi, hanno violato la privacy e leso la dignità delle vittime inconsapevoli per anni: mogli, esponenti politici, volti dello spettacolo, tutte donne le cui foto pubbliche o private sono state non solo condivise senza il consenso, ma anche trasformate in deep fake sessualizzanti e denigratori. Dei forum selvaggi in cui commentare e sfogare frustrazioni e desideri repressi. A volte l’uomo era un uomo qualunque, altre volte era un parente o marito che di nascosto metteva online le foto intime della propria partner.

Il tutto ha un aspetto animalesco

A pensarci, il tutto ha un aspetto animalesco. Ma a pensarci meglio l’atto sottende una sorta di onnipotenza maschile: la differenza di genere permette loro di ridurre a oggetto il corpo femminile e di metterlo a disposizione della “mischia”, a proprio uso e consumo.

Una presunzione di superiorità e, al tempo stesso, una svalutazione della dignità altrui. Il tutto condito da un utilizzo senza regole del mondo virtuale. Tutto questo ha un nome: revenge porn. È un reato contro la persona, punito dall’articolo 612 ter del Codice penale con una pena che può andare da uno a sei anni. È letteralmente la pornografia delle vendetta, anche se in questo caso non si capisce quale sia la “causa” delle vendetta inferta alle donne in questione.

Nel mirino molte esponenti della politica italiana

Nel caso dell’ultimo forum, Phica.eu, nel mirino sono finite molte esponenti della politica italiana. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è tra queste: “Sono disgustata da ciò che è accaduto e voglio rivolgere la mia solidarietà e vicinanza a tutte le donne che sono state offese, insultate, violate nell’intimità dai gestori di questo forum e dai suoi ‘utenti’.

La cronaca di questi giorni e i casi sempre più diffusi ci dicono che ciò avviene non più soltanto per ‘vendetta’, e che la protezione dei nostri dati e della nostra privacy è sempre più decisiva nel nostro tempo. Perché un contenuto intimo può diventare pubblico in pochissimi istanti e spesso impossibile da rimuovere dal web e questo può devastare la vita di una persona, oltre che della sua famiglia e dei suoi cari. La responsabilità personale, l’educazione digitale e l’uso consapevole della rete e degli strumenti digitali, la segnalazione immediata alla Polizia postale e al Garante della privacy sono le migliori difese a disposizione per tutelare noi stessi e chi abbiamo intorno a noi”.

Non sono state risparmiate dall’utilizzo coatto neanche le foto di esponenti di altri partiti: Elly Schlein, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Beatrice Lorenzin, Maria Elena Boschi, Chiara Appendino, Daniela Santanchè e tante altre che si aggiungono a numerose vip e giornaliste. “Bisogna denunciare, segnalare non basta”. Questo l’appello della Polizia postale, che con il vice questore Giancarlo Gennaro ha aggiunto: “Nella maggior parte dei casi le vittime nemmeno immaginano l’esistenza di propri scatti in rete. In questi giorni però, e in quelli a seguire, ci aspettiamo un bel po’ di denunce, magari da parte di chi spinto dalla curiosità potrebbe controllare di persona le foto pubblicate e scoprire di essere una vittima. È verosimile che adesso si stia aprendo un vaso di Pandora per cui le persone diventano più consapevoli e il fenomeno più rilevante”.

Sta di fatto che, oltre la consapevolezza e la paura, l’unica arma concreta in mano alle vittime è la denuncia. “La diffusione delle foto – ha spiegato il vice questore della Polizia di Stato e dirigente della Postale – è procedibile unicamente a querela della persona offesa; se non si denuncia, viene a mancare la condizione di procedibilità. È l’unico modo in cui è possibile cristallizzare la situazione, informare l’Autorità giudiziaria e inviare le attività investigative su quel determinato post”. Ma anche in questo caso ci sono problematiche investigative.

“Stiamo parlando – ha precisato Gennaro – di un mondo in cui i sistemi di anonimizzazione spopolano a pochi soldi, in cui è facile creare delle vpn o collegarsi tramite ‘nodo Tor’ (server per rendere anonima la navigazione, ndr). Tranne per gli utenti che sono ‘in chiaro’, con nome e cognome, non è scontato riuscire a individuare le persone che stanno commettendo quelle condotte”. E allora sì: bisogna dire, denunciare, ma servirebbe molto di più. La violenza sulle donne non è una battaglia da combattere ad armi impari, è un fenomeno sociale e culturale che finché verrà vestito con i panni dell’emergenza rimarrà una piaga.

La soluzione non è che la donna “si armi” o che la donna eviti di vivere la propria vita liberamente, ma che l’intera società si faccia carico del problema. Di sicuro servono strumenti investigativi e giuridici migliori, specie quando si parla di violenza virtuale, ma serve anche aggredire le cause del fenomeno, in ottica di prevenzione e lavorare sull’assistenza alle vittime perché, anche nel caso del revenge porn, ogni abuso arreca alle donne problematiche psicologiche considerevoli.

È stato pubblicato, in questo senso, sulla rivista internazionale Healthcare un articolo scientifico, firmato dai professori Carmela Mento, associato di Psicologia Clinica e Francesco Pira, associato di Sociologia dell’Università di Messina e dalle giovani ricercatrici Clara Lombardo, Maria Catena Silvestri e Martina Praticò che mette in evidenza i risvolti psicologici e gli esiti della violenza online basata sulla diffusione non consensuale di immagini.

“Si tratta di una devianza – hanno spiegato – usualmente accaduta in contesto di coppia alla fine di una relazione sentimentale. Questo comportamento ormai in uso, anche tra giovanissimi, è svolto per vendetta, derisione, anche con l’uso di app e intelligenza artificiale a scopo denigratorio”.

L’articolo scientifico si concentra sul fenomeno noto come Abuso sessuale basato sulle immagini (Ibsa). “Si tratta di un fenomeno – si legge – sempre più frequente: in particolare, consiste nel caricare online foto di nudo/seminudo di qualcuno; pertanto, è simile alla pornografia non consensuale. Secondo la letteratura scientifica, questo fenomeno ha causato alle vittime problemi di fiducia, ansia, isolamento sociale, incapacità di trovare nuovi partner sentimentali, ma diversi altri effetti sulla salute mentale sono stati riscontrati come depressione e ideazione suicidaria”.

Il messaggio diffuso dal sito Phica.eu con cui annunciano la chiusura della piattaforma, dà molto da pensare: “Il sito è nato come piattaforma di discussione e condivisione personale. Purtroppo come in tutti i social network ci sono persone che usano gli strumenti in modo sbagliato, nonostante gli sforzi non siamo riusciti a bloccare tutti quei comporamenti tossici […]. Phica è stata una comunità, con luci ed ombre, ma soprattutto con la volontà di creare uno spazio diverso”. Peccato che in questo spazio diverso, sulle spalle delle vittime, ci fosse un fatturato di oltre un milione di euro (con sede in Bulgaria) e che il proprietario fosse proprio un uomo italiano, stando alle notizie diffuse dai maggiori quotidiani che attribuiscono la rivelazione a due analisti, Valerio Lilli e Lorenzo Romani. Oltre alla consapevolezza del mondo virtuale, forse, sarebbe necessario anche rompere il taboo della pornografia: ciò che lede la privacy e la dignità altrui non è piacere e tantomeno può essere business, è crimine.

Finché queste piattaforme avranno, alla base, l’onnipotenza del maschile e la logica del profitto a tutti i costi, non sarà possibile cambiare radicalmente queste “comunità” della violenza. È successo su Facebook, Telegram, su diversi siti, forum e sul darkweb. Il vero “spazio diverso” oggi, per andare in controtendenza all’abuso ormai più che normalizzato, sarebbe quello del consenso, della dignità, della parità di genere. Quello in cui i corpi non sono una merce.