Da alcuni giorni si può leggere il Rapporto “L’Italia che ricicla”, realizzato da Assoambiente in collaborazione con Ref Ricerche. Un Report che fa il punto sullo stato dell’arte dell’economia del riciclo in Italia, sottolinea successi importanti e indica con chiarezza le principali criticità.
L’Italia si conferma come uno dei principali distretti del riciclo europeo, essendo dotata di una qualificata industria in quasi tutti i settori. Questo il primo punto importante: il riciclo è sempre di più una attività manifatturiera tesa a produrre materiali sostenibili e non un mero modo di gestire i rifiuti urbani o speciali. I dati confermano questa analisi: il tasso di riciclo dei rifiuti urbani è al 51,4%, l’Italia è sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo europeo del 55% al 2025, fra i 9 paesi che lo possono raggiungere.
L’avvio a riciclo complessivo di tutti i rifiuti (speciali e urbani) è oltre l’82%, il più alto d’Europa. Il tasso di circolarità italiano è del 18,7%, fra i più alti d’Europa e molto superiore alla media europea (11,5%).
Il dato più positivo arriva dal mondo degli imballaggi, che ha già raggiunto e superato il target di riciclo previsto a scala europea per il 2025 (65%) con un risultato del 72,8%. Un caso di successo che fortunatamente non dovrebbe essere messo in crisi dal Regolamento sugli imballaggi ed i rifiuti da imballaggio recentemente approvato dal Parlamento europeo e che ha recepito un modo equilibrato anche le proposte delle aziende del riciclo europee.
Se osserviamo il riciclo dal lato dell’imprenditore è facile comprendere la estrema difficoltà di muoversi come imprese nell’attuale quadro legale e normativo. Basti pensare alla differenza fra sottoprodotti, filiere end of waste e materie prime seconde che rimangono rifiuti, tre percorsi giuridici complessi e che non facilitano l’impresa a fare il massimo possibile. Per non parlare delle lentezze nei processi autorizzativi. Un quadro legale che va migliorato: semplificando la gestione dei sottoprodotti per le simbiosi industriali, definendo un quadro chiaro, stabile e completo, e omogeneo su scala europea delle filiere end of waste, definendo modalità semplificate per l’avvio a riciclo come rifiuto, garantendo soprattutto gli impianti di trattamento e recupero, oggi mancanti.
Serve un approccio europeo e nazionale basato sul criterio “whatever it takes” nel campo del riciclo, ovvero meccanismi di mercato e non assistenziali, uguali in tutta Europa soprattutto per “garantire” i mercati di sbocco dei materiali avviati a recupero, riducendo i rischi di crisi periodiche sul lato della domanda e dei prezzi, come sta avvenendo per esempio nel settore del recupero dei rifiuti da costruzione e demolizione.
È ormai evidente infatti che le attività di riciclo non contribuiscono soltanto al raggiungimento degli obiettivi di circolarità delle materie prime (circular economy) ma anche degli obiettivi di decarbonizzazione e uso efficiente dell’energia. Una leva cruciale quindi nelle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici e per lo sviluppo sostenibile.
Le imprese italiane stanno investendo molto in questi anni, come registra il Rapporto di Althesys presentato pochi giorni fa. Ma lo strumento Pnrr, essenziale per gli investimenti nel settore del riciclo non sembra essere utilizzato con coerenza ed efficacia. I progetti di investimento sono mediamente in ritardo ma soprattutto è mancata una regia programmatoria nazionale, tesa a canalizzare le risorse in filiere e territori che presentavano effettivi gap impiantistici. Si è lasciato che la strategia venisse scritta “dal basso”, senza avere una visione organica nazionale. Una scelta che produce potenziali distorsioni nel mercato del trattamento, specie della frazione organica, in un momento in cui si sta consolidando su più fronti (anche giurisprudenziale) la supremazia del mercato su forme improprie di monopolio.
Resta poi non risolto il tema dell’impiantistica di supporto al riciclo, quella dedicata al trattamento degli scarti e dei rifiuti non riciclabili. Sono infrastrutture indispensabili alla strategia circolare, senza le quali la stessa industria del riciclo rischia di andare in crisi, Oggi la gestione degli scarti è affidata prevalentemente alla discarica e all’export, per la insufficienza in Italia di impianti di recupero energetico e termovalorizzazione. Il 90% degli scarti ha potere calorifico e non usarlo rappresenta uno spreco che non possiamo permetterci. Occorre potenziare il parco impianti waste to energy. Recupero di materia e recupero di energia sono due facce della stessa medaglia.
L’industria del riciclo è un’eccellenza italiana, e va sostenuta rimuovendo tutti gli ostacoli normativi, giuridici ed economici che ne frenano la crescita.
Chicco Testa
Presidente AssoAmbiente