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Ricordi di Sicilia, quando negli Anni ’60 si andava a scuola dalle suore

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Ricordi di Sicilia, quando negli Anni ’60 si andava a scuola dalle suore

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domenica 03 Gennaio 2021

Nel 1963 mia madre decise che avrei frequentato le scuole elementari in Collegio dalle Suore del Sacro Cuore di Ragusa in piazza Cappuccini, un edificio posto lungo la via che costeggiava la chiesa di S. Francesco, poco lontano dall’ospedale...

Salvatore Battaglia, presidente dell’Accademia delle Prefi,
ci omaggia di un altro racconto, “Ricordi di Sicilia”, che ci porta ancora una
volta indietro nel tempo, nei primi anni Sessanta. Una occasione per rivivere con
nostalgia quella stagione o per conoscere come vivevano i propri genitori e i
propri nonni.

Ve lo proponiamo

QUANDO
SI ANDAVA A SCUOLA DALLE SUORE DEL S. CUORE DI GESU’

Nel 1963 mia madre decise che avrei frequentato le scuole
elementari in Collegio dalle Suore del Sacro Cuore di Ragusa in piazza Cappuccini,
un edificio posto lungo la via che costeggiava la chiesa di S. Francesco, poco
lontano dall’ospedale. Tuttavia, ogni cinque anni, l’insegnamento era affidato
a delle maestre religiose di un istituto nei pressi della chiesa parrocchiale.

La turnazione stabilì che noi nati nel 1957 avremmo avuto
per maestre le suore; fummo divisi in due sezioni.

Quell’anno ci furono delle novità: il nostro grembiule era
blu oltremare e non bianco o nero, al posto del fiocco avevamo una cravattina
bianca di picchè (piquet) e nell’elenco del materiale da acquistare c’era una
penna stilografica, più semplice da usare rispetto al canotto con il pennino;
piccole note di modernità che potevano far sperare anche in nuovi metodi
d’insegnamento. Ma non fu così.

Fra i miei compagni di classe ricordo Guglielmo uno dei più
monelli dell’istituto che compie gli anni il mio stesso giorno, Rocco, Gabriella,
Franco, Alberto, Cinzia, Maria Antonietta e Giovanni. In un primo tempo ci fu
anche la mia amica Patrizia che poi passò all’altra sezione con madre Ines,
dove forse c’era anche Luciana che abitava vicino a noi dalle parti delle case
popolari in corso Italia.

IN CRAVATTA

Il primo giorno di scuola la nostra insegnante ci spiegò che
non dovevamo chiamarla Maestra ma “Madre”. Aveva un’età indefinibile e
l’espressione austera che ispirava soggezione ma quando di rado sorrideva il
suo viso si illuminava e diventava quasi bella. Era la mia maestra! La guardavo
ammirato mentre con dei gessi colorati disegnava alla lavagna un’ape che volava
sui fiori variopinti. Il maestro Manzi, di cui avevo seguito le lezioni di
italiano alla tv, non usava i gessi a colori come lei e disegnava solo in
bianco e nero. Mi avvicinai per dirle che avevo imparato a scrivere le lettere
dell’alfabeto. Aspettavo trepidante che mi mettesse alla prova, invece mi
squadrò severa e mi rispedì al mio posto. 
Niente di più. Avrei voluto raccontarle che sull’abbecedario che mi
aveva comprato papà c’era la R di Ragusa ma non mi azzardai; capii all’istante
che non era aria.

EDUCAZIONE E DISCIPLINA

L’educazione e la disciplina erano severissime, le
trasgressioni venivano punite con metodi spartani, la Montessori sarebbe
impallidita più di una volta. La Madre Maestra usava una squadra di legno
(mille usi) per indicare, per ammonire e poi passava fra i banchi con la squadra
e chi aveva la gamba fuori posto veniva colpito inesorabilmente. Il Guglielmo e
 la Gabriella venivano puntualmente
colpiti…

Rocco un giorno fece cadere Alberto involontariamente, ma la
maestra (Suor Giovanna) per punizione legò Rocco con il proprio fiocco alla
cattedra e nonostante per motivi fisiologici dovesse andare in bagno, non gli
fu permesso… provocando un’umiliazione al mal capitato che si fece la pipì
addosso; fu chiamata una vecchietta per pulire il pavimento ma non gli fu
permesso di slegarsi se non dopo il tempo stabilito.

Nessuno si azzardava a raccontare niente a casa, i nostri
genitori avrebbero rincarato la punizione assegnata… i tempi erano quelli
dell’ubbidienza assoluta…

Mi piaceva andare a scuola! Avevamo imparato a scrivere
senza staccare la penna dal foglio, a leggere, a descrivere la noce, la
vendemmia, il frumento e il ciclo del grano, l’erba, lo sfalcio del fieno. Ogni
giorno la Madre Maestra ci insegnava qualcosa ed io tornavo a casa contento dei
miei voti e dei miei compagni.

Le ore e i giorni passavano velocemente. Eravamo arrivati
alla gn di gnomo e Alberto aveva di nuovo sbagliato qualcosa; la Madre “Maestra”
si arrabbiò molto e sottolineò più volte l’errore con la sua matita rossa, poi
strappò rabbiosa il foglio del quaderno e glielo attaccò sulla schiena. Infine,
ordinò a noi che facevamo la sua stessa strada di controllare che non lo
togliesse e di riferirle l’indomani. Fummo colpiti dalla reazione della
maestra. Il giorno dopo, solerti, riferimmo alla Madre che Alberto, a pochi
passi da casa, si era tolto il foglio di dosso.

Questi episodi si ripeterono. Ma, se inizialmente mi adeguai
all’autorità della maestra e anzi, ero/eravamo convinti di fare bene, in
seguito iniziai a provare disagio: non volevo più controllare e riferire. Quel
bambino aveva i genitori che lavoravano in un’altra regione e anche se viveva
con la nonna forse sentiva la loro mancanza, e pensando a loro si distraeva.
Come mi sarei sentito io al suo posto? E se qualcuno mi avesse umiliato così?
Non sapevo come fare. Decisi di non condividere più il suo percorso verso casa
e tardai ad incamminarmi. Scoprii così che un mio compagno abitava alla fine
del quartiere e potevamo fare un bel pezzo di strada insieme. Era Alberto.

IL RITORNO VERSO CASA

Intanto Alberto aveva trovato un percorso alternativo molto
interessante, parallelo a un tratto di via Roma grosso modo all’altezza delle
scuole comunali: era un breve percorso lungo una specie di canaletto che
seguiva la linea delle case, forse destinato allo scolo delle acque, in cui
c’erano barattoli di latta vuoti che avevano contenuto pomodori pelati o tonno,
resti di camere d’aria, pentole e scolapasta inservibili e altre cose del
genere. Per esaminare meglio tutti questi nostri ‘reperti’, spostavamo i vari
oggetti con un pezzo di legno o il manico rotto di un ombrello.  Quello era il nostro mercato delle pulci e il
gioco consisteva nell’immaginare una nuova vita per tutto quel ciarpame; durava
pochi minuti, ma che avventura!

Tutto ciò mi sembrò di viverlo velocemente… quando finirono
i cinque anni delle elementari, presi consapevolezza di difendere i più deboli
e di dare il mio contributo personale contro le angherie dei più “Grandi”.

Si… posso dire con certezza alla soglia dei miei 64 anni,
che quel sentimento di impegno per la difesa contro i soprusi e le angherie l’ho
onorato… ho fatto il rappresentante d’istituto alle superiori, il rappresentante
sindacale in fabbrica, il difensore dei miei commilitoni durante il servizio di
leva e il segretario politico cittadino per la difesa delle idee di uguaglianza
e giustizia.

Tutto ciò ebbi inizio dalle Suore…

Salvatore Battaglia,
Presidente Accademia dei Prefi

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