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Ricordiamoci, il lavoro è dietro ai rovi

Ricordiamoci, il lavoro è dietro ai rovi

I giovani dovrebbero individuare un progetto di vita tale da consentire l’impiego delle proprie risorse mentali e fisiche verso l’obiettivo di tale progetto

“Partorirai con dolore, lavorerai con sudore”, dice la Genesi.
Quasi nessuno riporta questo ammonimento e proprio nessuno pensa quale sia l’antidoto al dolore e al sudore. Esso può sintetizzarsi in un modo di pensare, vale a dire che il dolore è una componente della nostra vita e altrettanto può dirsi del sudore.

Entrambi non sono una maledizione o una iattura, ma semplicemente una componente che fa parte del vivere, nonostante cerchiamo di attenuarla. Se si entrasse in quest’ordine di idee, con molta probabilità le sofferenze diminuirebbero quando c’è il dolore e il lavoro non sembrerebbe una cosa negativa, anzi si potrebbe addirittura cominciare ad amarlo. Il punto è proprio questo, con quale mentalità si affronta una costante della nostra vita e cioè la necessità di lavorare.

Non a tutti piace questa attività, per cui si resta in attesa di qualche cosa che dovrebbe capitare per evitarci questa fatica. Ovvero si vorrebbe che la fatica fosse ridotta al minimo, in modo da evitare di esserne oppressi.

Vladimiro ed Estragone aspettavano Godot e, nell’attesa, parlavano del più e del meno. Godot però non arrivò mai e così i due semplicemente se ne andarono come erano venuti.
Che vuol dire questa metafora? Che quando si aspetta qualcuno o qualcosa senza però che vi sia una certezza che essa arrivi, alla fine si rimane delusi dal comportamento altrui, mentre si dovrebbe essere delusi dal proprio comportamento.

Non a tutti i/le cortesi lettori/trici piaceranno queste considerazioni, ma abbiamo il dovere di portarle in evidenza per contrastare le lamentazioni di coloro che lavorano e che non capiscono quanto siano fortunati ad averlo, il lavoro. Costoro non realizzano la verità e cioè che “il lavoro è dietro ai rovi”.
È vero, bisogna faticare e sudare, ma importa con quale spirito si sopportano la fatica e il sudore e con quale spirito si affronta il lavoro, vale a dire se esso ci piace, poco o tanto, e se non ci piace, farcelo piacere. Poi, considerare se il lavoro che ognuno di noi fa (o dovrebbe fare) ha obiettivi per i quali bisogna impegnarsi.

Questa premessa parte dal presupposto che le condizioni di lavoro siano umanamente e legalmente accettabili, altrimenti le proteste sono più che legittime.
Ogni persona nella giovane età dovrebbe cominciare a ragionare, su impulso di genitori e insegnanti, su cosa voglia fare da grande; dovrebbe tentare di individuare, seppure in embrione, un progetto di vita tale da consentire l’impiego delle proprie risorse mentali e fisiche verso l’obiettivo di tale progetto.
Non possiamo incolpare i quindici/diciottenni se non hanno questa impostazione mentale perché non è intuitiva, bensì frutto di insegnamenti che gli adulti dovrebbero dare loro. La responsabilità, quindi, è proprio degli adulti se i/le giovani che arrivano a venticinque o trent’anni non hanno realizzato questo loro progetto di vita e stabilito verso quali traguardi vogliano andare, il che si riassume con la domanda comune: “Cosa farò da grande?”.

Per tentare di disegnare il progetto di vita bisogna capire che vanno immagazzinate numerosissime informazioni e conoscenze, le quali provengono da libri, da esperienze, dai/dalle maestri/e di vita e dagli/dalle insegnanti.

Anche in questo caso la questione che prospettiamo è di metodo, per cui al riguardo non possiamo fare a meno di ricordare René Descartes (Cartesio, 1596-1650) col suo volumetto Discours de la Méthode.
È proprio il metodo che gli/le insegnanti dovrebbero trasferire ai/alle propri/e alunni/e, a condizione che essi/e lo abbiano ricevuto dai/dalle loro insegnanti e dai corsi di formazione didattica, che purtroppo molti non fanno.

Il progetto di vita comporta la consapevolezza che, per raggiungere l’obiettivo che ognuno si propone, dovrà faticare e anche molto; rinunciare a ore di divertimento, di svago e di sonno; rinunciare ad attività ludiche, sapendo che tali rinunce sono propedeutiche per l’obiettivo indicato.
Oggi è venuto meno il concetto del sacrificio perché, al contrario, molti cercano solo lo svago lavorando meno, senza rinunciare ai piaceri. Ma questo non è possibile: una contraddizione evidente.