Rifondare la sanità pubblica o la pandemia non avrà insegnato nulla - QdS

Rifondare la sanità pubblica o la pandemia non avrà insegnato nulla

redazione

Rifondare la sanità pubblica o la pandemia non avrà insegnato nulla

giovedì 11 Giugno 2020

I tre mesi di emergenza pandemica hanno visto, dalle Alpi alle Piramidi, tutto un susseguirsi di elogi nei confronti degli operatori sanitari che, nonostante le gravi carenze strutturali presenti negli ospedali pubblici hanno in ogni modo triplicato gli sforzi

I tre mesi di emergenza pandemica hanno visto, dalle Alpi alle Piramidi, tutto un susseguirsi di elogi nei confronti degli operatori sanitari che, nonostante le gravi carenze strutturali presenti negli ospedali pubblici di molte Regioni italiane e, soprattutto, nonostante il tragico sottodimensionamento degli organici, hanno in ogni modo triplicato gli sforzi, fornendo con un’abnegazione senza precedenti una risposta straordinaria incuranti di fronte ad un pericolo che, in particolar modo nelle prime fasi, era del tutto sconosciuto e quindi ancor più temibile.

Numerose si sono levate le voci dal mondo politico, dalle istituzioni, dalla Chiesa, dai media, dalla gente comune, in un coro di celebrazione degli eroi della pandemia cui sono stati tributati gli onori e manifestata una gratitudine che in Italia, in troppi casi, ha assunto i drammatici contorni della commemorazione.

Abbiamo ascoltato i nostri parlamentari, i membri del Governo e lo stesso Presidente Mattarella sottolineare la qualità della risposta che è riuscito a dare il nostro Servizio Sanitario Nazionale a dispetto del sottofinanziamento messo in atto ormai da decenni, in barba ai tagli di Unità Operative, di Posti Letto e dello scarso personale presente in Corsia e tutti, nessuno escluso, ha più volte rimarcato come sia necessario un deciso cambio di rotta sulla sanità, avendo finalmente capito che il venerato “modello Lombardia”, fondato sul privilegio del Privato accreditato di qualità e sullo smantellamento della medicina territoriale, è stato una delle cause principali degli effetti catastrofici provocati dal Coronavirus, decisamente più attenuati in Veneto ed Emilia Romagna dove il territorio era preparato ed è stato in grado di dare una risposta adeguata anche nell’emergenza pandemica.

La Sicilia rispetto alla Lombardia la sanità del territorio non l’ha smantellata, per il semplice motivo che non l’ha mai costruita e quindi abbiamo rischiato grosso anche noi. Nella nostra Regione (3.454 contagiati e 278 morti al 9 giugno 2020) l’epidemia da Coronavirus non è quasi arrivata o è comunque arrivata sotto forma di rivoli epidemici certamente non paragonabili a quelli delle Regioni del Nord e della Lombardia in particolare (ad oggi quasi 56.000 contagiati e oltre 16.000 deceduti).

Abbiamo avuto la fortuna di non vivere di persona l’esperienza arrivata soltanto dal riflesso delle immagini agghiaccianti trasmesse dai Telegiornali di mezzo mondo dei camion militari che trasportavano fuori Regione le bare dalla Provincia di Bergamo e, a parte qualche focolaio contenuto, i casi si sono limitati alla sporadicità. Considerando l’estrema fragilità della sanità pubblica isolana e, soprattutto, la quasi totale assenza della medicina territoriale possiamo dire, non senza avere prima tirato un profondo sospiro di sollievo, che finora ci è andata alla grande.

Tuttavia, va riconosciuto come, oltre alla fortuna della scarsa diffusione epidemica nelle Regioni del Sud Italia sicuramente dovuta al lockdown imposto dal Governo Conte, la risposta delle Istituzioni Regionali è stata comunque pronta e soddisfacente e nel giro di poche settimane o di pochi giorni sono state riconvertite strutture ospedaliere pubbliche, attrezzatesi in fretta e furia ad affrontare l’imminente arrivo di un nemico invisibile ma anche per questo estremamente pericoloso e che alla fine non si è palesato con la stessa furia omicida con cui ha investito altre parti d’Italia e del Mondo.

Certo, il pericolo non è del tutto alle nostre spalle perché a dispetto dei variegati e spesso asimmetrici pareri di virologi e sedicenti esperti, non è ancora dato sapere se la fase acuta della pandemia sia veramente passata. Non sappiamo se il nemico Coronavirus sia stato definitivamente sconfitto o se cova sotto la cenere pronto a riattizzare fiamme in grado di far divampare un nuovo incendio.

In questa situazione di incertezza e di imprevedibilità, non possiamo in ogni caso dimenticare le solenni promesse e gli impegni assunti dalle Istituzioni nazionali e regionali durante l’angosciante fase iniziale della pandemia in cui in tanti sono corsi a recitare il doveroso mea culpa per l’imperdonabile e abnorme sottovalutazione delle grida di allarme che da anni venivano lanciate dagli addetti ai lavori, da quegli operatori e professionisti della sanità che erano da tempo ben consapevoli dei pericoli che si correvano continuando a sottofinanziare il nostro SSN, a smantellarlo ed eroderlo ogni giorno di più fino a renderlo inefficace e inefficiente a tutto vantaggio di un Privato che ha il privilegio di scegliere le prestazioni più remunerative e di lasciare la parte più complessa e delicata dell’assistenza sanitaria ad una sanità pubblica sempre meno competitiva ed attrattiva per gli stessi medici e non solo.

L’attuale timido avvio verso una ripresa della vita “normale” cui tutti aneliamo nella speranza che si possa raggiungere sempre più rapidamente e con maggiore completezza, non deve essere l’equivalente di una scrollata di spalle per tornare ad agire come in epoca pre-Covid. Non si può non fare tesoro di un’esperienza tanto dura e terribile che, nella sua drammaticità, ha comunque il merito di aver fatto aprire gli occhi anche ai più ostinati detrattori della sanità pubblica.

Non si può, già da adesso, non pretendere dalle istituzioni nazionali e regionali che si mantengano gli impegni e si realizzino tutti gli obiettivi che riportino il nostro SSN ad accettabili livelli di sicurezza, di universalità ed accessibilità alle cure, tali da renderci orgogliosi per lo standard qualitativo abituale e non soltanto per la capacità di reazione dei suoi operatori mandati a mani nude e a volto scoperto a fare da ultimo baluardo sul fronte della difesa di uno dei beni più preziosi dell’umanità, la salute e la vita stessa.

E allora aspettiamo con fiducia rinnovata che le nostre istituzioni realizzino programmi e progetti in grado di risollevare le sorti della fin troppo bistrattata sanità pubblica consentendo a chi vi opera di poter svolgere il proprio compito in serenità e sicurezza a tutto beneficio dei fruitori del prodotto delle loro attività, quel bene Salute su cui è indispensabile investire non considerandolo un costo ma un investimento per le generazioni di oggi e per quelle future.

Giuseppe Riccardo Spampinato
Segretario Organizzativo Nazionale Cimo

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