CATANIA – Quello di un revival della “Margherita”, il fu partito fondato con Francesco Rutelli, per adesso è soltanto una suggestione. Eppure, da mesi, gli incontri tra le varie anime cattoliche, liberaldemocratiche e riformiste che hanno rappresentato una fetta importante dell’allora coalizione di centro-sinistra, L’Ulivo, si fanno sempre più frequenti. Nei giorni scorsi l’occasione per ritrovarsi tutti insieme è arrivata dal battesimo di “Progetto civico Italia”, il movimento dei civici riuniti dall’assessore ai Grandi eventi di Roma, Alessandro Onorato. Al Parco dei principi si sono visti, tra gli altri, i sindaci di Genova e Napoli, Silvia Salis e Gaetano Manfredi. Ma anche tanti nomi di area, da Goffredo Bettini a Stefano Bonaccini. Per capire cosa succede e se l’obiettivo sia quello di creare un nuovo contenitore per quanti non si riconoscono più nella linea di Elly Schlein, abbiamo intervistato Enzo Bianco, ex ministro dell’Interno e più volte sindaco di Catania, tra i “padri” della Margherita (era il presidente del Consiglio nazionale) e che oggi guarda con interesse a questo nuovo fermento dell’area di centro trattino sinistra. Prima del colloquio, il già senatore ci manda una foto della Fontana di Trevi dall’alto. È l’ora del tramonto e un cielo rosso-arancione fa da sfondo alla piazza e ai tetti della Capitale.
Che ci faceva a Roma?
“Abbiamo fatto una cosa molto bella nella casa di Pertini, dove abitava con la moglie Carla Voltolina. Il presidente Pertini non volle mai abitare al Quirinale, perché la Carla non voleva. Diceva: ‘Io non vado a vivere al Quirinale dove qualcuno la mattina mi dice a che ora mi devo alzare, se devo andare in bagno, cosa devo mangiare per colazione, quando mi devo muovere. Io voglio stare a casa mia’. E così presero un appartamento proprio sopra la Fontana di Trevi, all’ultimo piano, molto bello. Lì hanno vissuto. Lei, tra l’altro, controllava il Quirinale: c’è una bandiera italiana che si alza quando il Presidente è dentro e si abbassa quando esce. Così lei controllava se il marito era al Quirinale oppure no”.
E perché si trovava lì?
“Abbiamo presentato un libro sui Presidenti della Repubblica, scritto da Valdo Spini. L’ho presentato insieme a lui e c’erano molte personalità delle istituzioni. È stata una cerimonia molto bella e mi ha fatto davvero piacere prendervi parte”.
Negli ultimi mesi si è parlato insistentemente di un progetto – animato da gruppi cattolici, riformisti e amministratori locali- per ricostituire una sorta di “Margherita”. È una strada percorribile?
“C’è l’esigenza che questo mondo abbia più voce. In un momento come questo, con tante tensioni ed estremismi, non solo in Italia ma nel mondo, serve un approccio riformatore. Bisogna collaborare tra persone di storie diverse per scegliere le soluzioni migliori, e non considerare chi la pensa diversamente come un nemico. L’idea non è quella di fondare subito un nuovo partito, ma di far contare di più questa anima riformista dentro il Pd, sia a livello nazionale sia nei territori. È presto per parlare di ‘ricostituzione’ della Margherita, ma è il momento di far sentire la voce di quella tradizione riformista, di cui oggi c’è grande bisogno”.
Circolano diversi nomi che sarebbero già della partita, da Graziano Delrio al suo amico Paolo Gentiloni.
“Ho contatti con diversi amici che la pensano come me, tra cui sicuramente Graziano. Paolo Gentiloni ha un profilo più istituzionale, meno esposto politicamente. È, a mio parere, il candidato naturale quando ci saranno competizioni importanti, come quelle di governo. Non deve schierarsi in una corrente o in un partito: deve mantenere un profilo politico-istituzionale. È la figura di riferimento indispensabile con cui possiamo pensare di candidarci a governare il Paese”.
Era presente all’iniziativa al Parco dei Principi promossa da Alessandro Onorato, assessore ai grandi eventi di Roma, che ha visto la presenza di diversi esponenti del mondo liberaldemocratico?
“Non ero presente fisicamente perché avevo un impegno internazionale, ma li ho incoraggiati e mandato un messaggio. Siamo in contatto anche con loro. Poi c’è ‘LiberalPD’, di cui sono tutt’ora presidente: un’associazione riconosciuta nello statuto e nella direzione del Partito democratico fin dalla sua fondazione, che rappresenta proprio l’anima liberal-democratica”.
Una delle critiche rivolte al Partito democratico è quella di essere nato con un vizio originario, cioè come una “fusione a freddo” tra anime diverse. Oggi quella scelta può considerarsi, se non fallimentare, comunque deludente rispetto alle aspettative?
“No, al contrario. È la strada giusta. Non possiamo creare un soggetto politico per ogni sottocorrente di pensiero. Abbiamo bisogno di unire le forze per affrontare un avversario molto forte, la destra che oggi governa. Ciascuno deve mantenere la propria identità, ma lavorando insieme. L’esperienza originaria della Margherita fu esattamente questo”.
Elly Schlein è capace di tenere insieme le varie anime del centrosinistra?
“Schlein ha molti meriti. La conosco da tempo, è stata un’ottima eurodeputata e abbiamo presentato il suo libro a Catania. Ho per lei stima e considerazione. Penso però che la sua posizione non sia centrale all’interno del Partito democratico né della coalizione. Rappresenta un’anima molto radicale, utile per certe battaglie, ma una cosa è essere un buon musicista, un’altra è essere un direttore d’orchestra. Il direttore deve saper mettere insieme le varie anime e non esprimerne solo una. Ecco perché, naturalmente, vengono in mente altri nomi come quello di Gentiloni, non come segretario di partito ma come punto di riferimento di una grande coalizione”.
Lei nega che in questo momento si stia pensando a costituire un nuovo partito. Forse non è ancora il momento, ma non crede che se c’è una cosa che la sinistra debba imparare dalla destra è la capacità di dividersi per “colpire uniti”?
“Lo vedremo. Le tattiche vengono dopo le strategie, ma in Italia, purtroppo, spesso avviene il contrario. Prima si decide se partire col piede destro o sinistro, invece di chiarire dove si vuole andare. Abbiamo bisogno di definire bene, nelle prossime settimane e mesi, i punti su cui caratterizzare il Partito democratico. Ma se il Pd dovesse scegliere una linea radicale, estrema, allora penseremo seriamente a ricostituire un partito riformista che unisca le altre anime: quella liberal-democratica, cattolico-democratica, ambientalista e socialista. Lo faremo lavorando sui contenuti, non sulle etichette o sui posizionamenti. Prima la strategia, poi la tattica”.
Nella sua esperienza amministrativa catanese lei è stato da molti percepito come un sindaco, mi passi il termine, “tra la gente”. Ecco, a tal proposito, non crede che oggi il Partito democratico sconti una mancanza di radicamento nei territori?
“Sì, e so anche perché. Purtroppo, in molte realtà territoriali — e in Sicilia in particolare — ci siamo organizzati per correnti. Anziché lavorare per il partito, si lavorava per la corrente dei ‘Franceschiniani’, per quella di ‘Anthony Barbagallo’, o di altri. Queste correnti hanno una presenza nel territorio, ma su base settoriale. Io penso invece che lo sforzo principale debba essere collettivo: rimettere al centro il partito, così come si faceva ai tempi della Margherita o del Pd delle origini, dove le tradizioni riformiste collaboravano insieme, nel rispetto reciproco”.
Quindi il problema è stato un correntismo eccessivo?
“Sì. Si è arrivati a scegliere i candidati in base alle appartenenze correntizie e non al merito o alla rappresentanza. Questo ha portato a una personalizzazione del partito a livello territoriale. In Sicilia, questo fenomeno assume anche tratti sgradevoli. Lo dico con franchezza: sono molto critico verso la conduzione del Partito democratico da parte di Anthony Barbagallo, che di questa deriva correntizia è stato uno dei protagonisti. Peccato!”.
Insomma basta correnti personali, sì a quelle di “area” (politica, si capisce).
“Dobbiamo parlare di politica, non di segreterie. Prima di scegliere un’etichetta, scegliamo i contenuti su cui mobilitarci. C’è grande bisogno di progetti e idee: oggi c’è una povertà di visione, non solo da noi ma anche a destra, dove spesso trovano intese solo quando si tratta di spartire il potere, ma non sui temi concreti”.
A proposito di spartizione del potere, cosa ne pensa dell’ultima inchiesta della magistratura sulla sanità regionale, che ha coinvolto Totò Cuffaro, e ha messo ancora una volta il dito nella piaga dell’intreccio perverso tra questa e la politica?
“Innanzitutto, rispetto la magistratura e non emetto sentenze prima che i fatti siano accertati. Tutti hanno diritto alla presunzione d’innocenza. Detto questo, sono rimasto molto amareggiato nel vedere che Totò Cuffaro – che nella sua vicenda giudiziaria precedente si era comportato con grande dignità, non attaccando mai la magistratura – oggi, se davvero ha commesso ciò che emerge, abbia nuovamente tenuto un comportamento politico e clientelare disdicevole. Se lo ha fatto, ha commesso un grave errore e lo sta già pagando in termini di immagine e credibilità. Sulla sanità siciliana, si conferma una cosa: è stata troppo spesso usata come strumento di potere, per ottenere consensi o — peggio — per gestire risorse pubbliche in modo improprio, in alleanza con imprenditori spregiudicati. Spero che l’inchiesta vada fino in fondo, senza guardare in faccia nessuno”.
Secondo lei il presidente Schifani dovrebbe dimettersi come stanno chiedendo con insistenza le opposizioni all’Ars?
“Credo che dovrebbe riflettere seriamente sulla piega che ha preso la sua alleanza e valutare se ci sono ancora le condizioni per andare avanti. Forse è il momento di fare un passo indietro e aprire una fase nuova, di rigenerazione, di cui la Sicilia ha grande bisogno”.
In caso di elezioni anticipate in Sicilia, come dovrebbe organizzarsi il centrosinistra per vincere?
“Innanzitutto, ripartendo dai contenuti programmatici. Bisogna rimettere al centro la questione meridionale, le infrastrutture, l’industrializzazione, il lavoro, l’ambiente e soprattutto i giovani. Serve mettere da parte il correntismo e scegliere i candidati in base alla competenza, non alle appartenenze”.
Ha già in mente qualcuno?
“Non voglio fare nomi per non ‘bruciare’ nessuno, ma sto pensando a persone di valore che hanno avuto ruoli importanti — nel mondo universitario, produttivo, istituzionale — e che hanno dimostrato cultura di governo”.
Lei stesso sarebbe disponibile a tornare in campo?
“No, in questo momento non penso a me stesso. Penso al partito e alla costruzione di qualcosa di più grande. Molti mi chiamano ancora “u sinnacu” — lo dico sorridendo — e se passeggia con me per un quartiere di Catania sentirà la gente dire ‘usinnacuBianco!’ (tutto unito, ci tiene a sottolineare, nda). C’è tanto affetto, e questo mi commuove. Ma oggi il mio obiettivo è aiutare a costruire qualcosa di migliore, non qualcosa per me”.
E dunque, visto che ha preso lei l’argomento, parliamo di Catania. Come vede oggi la città?
“Mi viene in mente un modo di dire siciliano: ‘cu tuttu ca sugnu orbo, la viru niura’. Cioè ‘anche da cieco, la vedo nera’. È il colmo del pessimismo, ma descrive bene la situazione. La città ha fatto passi indietro enormi sotto molti aspetti. Non è solo responsabilità dell’amministrazione attuale, ma anche di un sistema più ampio. Oggi Catania, dal punto di vista della pulizia, degli investimenti, del lavoro, rischia di perdere un’occasione dopo l’altra ed è un peccato, perché ha potenzialità enormi. Se sapremo risvegliare l’orgoglio dei catanesi, potremo farcela”.
Eppure non riconosce comunque uno sforzo di Trantino, dalle pedonalizzazioni alla legalità, nel provare quantomeno a cambiare le cose, seppure spesso frenato dalla sua stessa maggioranza?
“Non attribuisco a Enrico Trantino tutte le colpe. Ha certamente delle responsabilità, perché la squadra l’ha scelta lui — assessori, dirigenti, partecipate — e molte cose non vanno. C’è ancora troppa logica di corrente e poca logica di bene comune. Ma gli riconosco anche impegno, e su alcune scelte non ho difficoltà a dire che le condivido. Se davvero si vuole mettere ordine nella ‘Catania notturna’, ben venga. Ricordo com’era la città prima che diventasse viva: alle sette di sera era deserta. Poi, da sindaco, con Franco Battiato direttore artistico, riuscimmo a trasformarla in un punto di riferimento culturale e musicale. Bisogna ritrovare quel coraggio e lavorare insieme, anche tra persone con idee diverse, perché la città merita una svolta”.
Quindi che fa? Si ricandiderà?
“Ci penserò al momento giusto. Me lo chiedono in tanti, ma non è una scelta facile. Quando arriverà il momento, ascolterò la città e poi decideremo. Di certo, sono pronto a dare una mano a chiunque governi, purché abbia un progetto serio di rilancio di Catania”.

