Riforma fallita e flop, l’errore dei Matteo soli contro tutti - QdS

Riforma fallita e flop, l’errore dei Matteo soli contro tutti

Carlo Alberto Tregua

Riforma fallita e flop, l’errore dei Matteo soli contro tutti

venerdì 06 Settembre 2019

La storia non insegna nulla. Se Matteo Renzi, prima, e Matteo Salvini, dopo, avessero letto quella degli ultimi venticinque secoli, non avrebbero commesso i due clamorosi errori che li hanno portati al declino politico.
Cosa recita la storia?
Anche i più grandi leader e condottieri, col passare del tempo, hanno perso contatto con la realtà. Si sono beati del plagio e del servilismo delle loro coorti e hanno ritenuto di essere invincibili, per cui potevano decidere e fare qualunque cosa.
Così ragionando sono caduti i grandi di tutti i tempi. Ve ne citiamo alcuni: Gengis Khan, Alessandro il Macedone, Annibale, Cesare, Napoleone e perfino Hitler. Prendiamo questi due ultimi, per esempio. Napoleone cadde con la campagna di Russia; Hitler, che era ignorante, commise lo stesso errore: cadde con la campagna di Russia.
Questi brevi cenni storici non sono stati d’esempio ai due Matteo e neanche la circostanza che il Popolo italiano non sopporta l’uomo solo al comando.

Matteo Renzi fece una buona riforma costituzionale, anche se approvata forzatamente mediante alcuni voti di fiducia. Quella riforma prevedeva il taglio di trecentoquindici senatori, con un risparmio di 200 milioni l’anno, il taglio del Cnel, con un risparmio di 30 milioni l’anno, e soprattutto ordinava le materie di competenza dello Stato, di competenza delle Regioni e di competenza mista, Stato-Regioni.
La Corte costituzionale denunzia che metà delle questioni sottoposte alla sua attenzione derivano proprio dalla mancanza di chiarezza che determina un numeroso contenzioso fra Stato e Regioni. Cosicché essa impiega moltissimo del suo prezioso tempo per dirimere questioni di competenze che l’attuale Costituzione non definisce con precisione.
Tornando al primo Matteo, la sua mancanza di realismo – forte del consenso alle elezioni europee del 2014 (il quaranta per cento) – fece sì che si proponesse in prima persona nel referendum confermativo della riforma. Il risultato fu che gli elettori non valutarono la stessa, bensì il consenso da dargli o da negargli.
Rivotò per lui lo stesso quaranta percento, ma tutti gli altri si coalizzarono e formarono quel sessanta percento che ne decretò la sconfitta.
Matteo Salvini quando vide i risultati delle elezioni Europee di maggio 2019, si gasò, con quel trentaquattro percento. Prese atto che il suo partner di governo, l’M5s, aveva dimezzato i propri voti, scendendo al 17 percento. Ritenne di avere l’Italia in pugno e cominciò a dettare legge all’impaurito partner ottenendo ciò che voleva. Ma tutto questo non gli bastava. Gli venne una sorta di bulimia del potere secondo la quale riteneva di poter fare tutto e di più.
L’ingordigia lo portò a dare l’ultimatum al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in pieno agosto (e fece bene perché costrinse i parlamentari a lavorare anziché fare i vacanzieri) innestando un processo che lo ha portato alla sconfitta.
Della sua défaillance ne ha approfittato il primo Matteo, il quale, essendo il padrone dei gruppi parlamentari diessini, ha colto l’occasione per intraprendere un rapido fidanzamento con i pentastellati, mettendo di fatto in minoranza il vertice del suo partito che aveva sempre esclamato: “Mai con i 5 Stelle”.
Il fidanzamento è sfociato nel matrimonio che ha visto la luce con lo scioglimento della riserva da parte del presidente Conte.

Riteniamo che il nuovo Governo, che presumiamo avrà la fiducia del Parlamento lunedì e martedì prossimi, possa mettere in campo le indispensabili riforme di cui ha bisogno il Paese.
Senza una Pubblica amministrazione totalmente digitalizzata, che funzioni in tempo reale, che sia trasparente, non è possibile attivare il meccanismo dell’economia e contestualmente dare un colpo forte alla corruzione. La riforma della burocrazia deve basarsi sui tre pilastri, che ripetiamo continuamente: merito, responsabilità e produttività.
Il secondo grande filone del nuovo Governo deve essere quello di spingere sugli investimenti pubblici e privati, questi ultimi con Industria 4.0 e con le reti immateriali; poi, sbloccare i cantieri mettendo nel circuito finanziario molti e molti miliardi che stanno ammuffendo nelle casse dello Stato e degli enti pubblici.

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