Riforme necessarie per ripartire. Nuovo Governo, vecchi problemi - QdS

Riforme necessarie per ripartire. Nuovo Governo, vecchi problemi

Carlo Alberto Tregua

Riforme necessarie per ripartire. Nuovo Governo, vecchi problemi

sabato 07 Settembre 2019

E così il Governo pentastellato-piddino ha visto la luce. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha consegnato a se stesso il secondo Governo, suonando due volte la campanella.
I ministri sono ventuno: dieci stellati, nove Pd, un tecnico ed un redivivo di Leu. Per la maggior parte non sono persone conosciute e ci riserviamo di visionare i loro curricula per constatare se essi hanno le competenze necessarie a gestire i rispettivi dicasteri.
Dopo i voti di fiducia alla Camera, lunedì, e al Senato, il giorno successivo, il Consiglio dei ministri procederà a nominare una discreta quantità di viceministri e sottosegretari. L’assegnazione delle deleghe agli stessi ci dirà ancor più se viene seguito il principio di competenza o quello di appartenenza politica.
La competenza di ministri, viceministri e sottosegretari dovrebbe essere accertata in base a idonee documentazioni ed esperienze lavorative in campo professionale, imprenditoriale, artigianale o di servizi.

Oltre ai ventuno ministri, verosimilmente, verrà nominata una cinquantina di loro collaboratori, per cui la macchina della Presidenza del Consiglio e del Governo sarà formata da 65/70 componenti, che avranno a disposizione 10/15 mila dirigenti e dipendenti, di cui solo cinquemila a Palazzo Chigi.
Le competenze di ministri, vice e sottosegretari, sono sempre di più indispensabili per evitare che di fatto i disegni di legge vengano confezionati dai burocrati, sia che appartengano al loro staff, ovvero ai dipartimenti.
Se i membri del Governo non hanno competenze o le possiedono in maniera modesta, non vi è dubbio che saranno imbeccati anche inconsapevolmente dai burocrati.
Si è già verificata, e si verificherebbe, l’anomalia di leggi costruite non dai legislatori, bensì dai loro collaboratori.
Questo sarebbe un danno, come lo è stato fino a oggi, perché non vedranno mai la luce le necessarie riforme nei diversi settori, primo fra i quali quello della Pubblica amministrazione. Ciò per il semplice motivo che la riforma dovrebbe inserire i tre valori più volte citati: merito, responsabilità e produttività. Ma da questo orecchio i burocrati non ci sentono.
Il Governo deve affrontare, oltre alla Legge di Bilancio del 2020 per la quale occorrono una quarantina di miliardi, il cambiamento radicale del funzionamento della macchina pubblica, accelerando sulla sua digitalizzazione e sulla compatibilità dei software fra le diverse amministrazioni, consentendo così alle stesse di dialogare senza intoppi e di tracciare tutte le informazioni che si trasmettono.
Vi è poi la grande riforma degli appalti, per eliminare quei nodi della rete che impediscono la loro realizzazione in tempi ragionevoli. Non è più accettabile che quando si mette in programmazione una qualunque opera, nuova o di ristrutturazione, passino anni prima che i cantieri vengano aperti ed altri anni prima che i lavori vengano consegnati ai cittadini.
Altra ulteriore riforma urgente e sostanziale riguarda i meccanismi del lavoro. Non è più possibile che il datore di lavoro, pubblico o privato, paghi uno stipendio al dipendente e un altro allo Stato. Tutti hanno sempre parlato del cuneo fiscale, ma nessuno fino ad oggi è riuscito a ridurlo.

Altre riforme urgenti e radicali riguardano l’ambiente, l’energia, il territorio, le infrastrutture ed i rifiuti. Per questi ultimi la situazione da Roma in giù è diventata insostenibile per l’assenza dei termocombustori, cioè di quegli impianti che consentono di smaltire i rifiuti solidi urbani, producendo biocarburante, fertilizzanti, sotto asfalto, energia ed altro.
Non c’è più dove sistemare gli Rsu e sarebbe dissennato cominciare a pensare di esportarli con un costo addizionale che può arrivare fino a duecento euro a tonnellata, mentre se venissero utilizzati come risorsa, non solo non avrebbero costi, ma produrrebbero cospicui ricavi, occupazione, ricchezza e imposte per lo Stato.
Sappiamo che l’attuale ministro, Sergio Costa, è contrario a questi impianti, ma auspichiamo che egli voglia informarsi su come quelli di ultima generazione non inquinino.
Poi va approntato un piano per le infrastrutture e la riparazione del territorio.

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