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Riformismo cooperativo

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Riformismo cooperativo

Giovanni Pizzo  |
martedì 22 Novembre 2022

Lo schema di proposta Bonaccini è forte, ma divisivo per un PD organizzato su altre forme dello stare insieme.

Stefano Bonaccini incarna due distinte vocazioni. La prima è quella riformista, attenta alle imprese ed al mercato, alla competitività. La seconda è l’attenzione al territorio, alle comunità intermedie, ai loro bisogni aggregabili e non singoli. Lo slogan potrebbe essere, parafrasando la Conad, “il PD sei Tu”.

C’è molto del cooperativismo Emiliano in questa visione solidale ma attenta al mercato, che ha plasmato l’azione di Legacoop nella sua lenta, neanche tanto, ma progressiva attenzione ai temi ed agli strumenti del libero mercato. Una crescita che ha consentito ai giganti Tosco-Emiliani di diventare dei player di livello internazionale.

Sono passati lustri dalla famosa frase “Abbiamo una Banca!” pronunciata dal segaligno e mitico Fassino, e questa è stata forse l’unica sua profezia andata a buon fine. Unipol, la Bper, le Fondazioni Emiliane, le Multiutilities, l’universo Legacoop è differente, è competitivo ma cerca di non lasciare indietro le persone. È questo il senso del messaggio del substrato culturale dietro alla candidatura di Bonaccini.

Per molti la differenza tra il pragmatismo di Bonaccini e quello di Zaia è minima. E non potrebbe essere diverso. Entrambe sono pianure operose irrorate dal Fiume nazionale, il Sacro Po, entrambe sono state animate dal dopoguerra da uno spirito solidale e cooperativistico, le cooperative rosse Emiliane e le cooperative bianche Venete, Peppone e Don Camillo si fronteggiavano in un’emulazione virtuosa che ha fatto crescere quest’area del Paese ogni più rosea prospettiva.

Sono terre in cui il concetto di lavorare insieme per lo sviluppo della comunità è un mantra, rispetto all’individualismo sterile ed egoista di altri parti del Paese oggi Nazione. Di questa matrice identitaria è lo spirito autonomistico, nelle sfumature di declinazione, che accomuna Emilia e Veneto. Entrambi hanno indetto referendum sull’autonomia, solo che gli uni è differenziata, avendo una maggiore spinta liberale, per gli altri è differente, avendo un maggior approccio pacioso alla competitività.

L’Italia in questo momento ha bisogno di entrambi questi spiriti per riprendere un cammino, per la Ripresa e la Resilienza, solo che dovrebbero convincere, cosa tutt’altro che facile, altre aree con ispirazioni culturali diverse, se non opposte. I consorzi, le reti, sono molto distanti dai modelli meridionali di produzione e lavoro, o dal mondo del Nord-ovest dominato dal capitalismo classico individuale.

Tornando al PD, questo pianeta in cerca di identità, la proposta Bonaccini di candidatura è totalmente differente da quella della sua vicepresidente, una sfida tutta Emiliana, Elly Schlein, che invece di rivolgersi alle comunità intermedie che aggregano interessi legittimi, si rivolge ai singoli, seppur numerosi, che intendono avvalersi di una difesa ed una crescita dei loro singoli diritti civili.

I singoli, essendo sparpagliati, spesso sono aggregabili in piattaforme, virtuali o meno. Come è stato per i diritti di cittadinanza al reddito dei 5stelle. Il riformismo cooperativo invece è di prossimità, la cascina accanto, i colleghi con cui si costruisce un edificio o una strada, i paesi interni dove si condivide la creazione di qualcosa che rappresenta il sostentamento della comunità.

Lo schema di proposta Bonaccini è forte, ma divisivo per un PD organizzato su altre forme dello stare insieme. Rompe le correnti e gli accordi storici come precedentemente ha fatto Matteo Renzi. E proprio questa similitudine di modus operandi è quella che potrebbe generare un rigetto di trapianto del cuore emiliano. Anche perché, simbologicamente, la pelata e la mascella volitiva di Bonaccini, pur ingentilita da occhialoni a goccia, il suo decisionismo pragmatista, paventerebbero per il PD ad uno spauracchio assimilabile, sotto altre forme, ad un corregionale nato a Predappio.

Pertanto la pur alternativa Schlein, nemmeno iscritta al Partito, nel suo approccio diverso dalla Storia dei democratici, potrebbe essere incredibilmente più rassicurante, per il ferrarese Franceschini o il thailandese romano Bettini, non parliamo del piacentino Bersani. Lei non spaccherebbe correnti e accordi, sovrapporrebbe una visione valoriale dietro cui difendersi e sopravvivere, come una copertina di Linus.

È chiaro come il sole anche il modello di alleanze possibili. Una va verso i neo progressisti Contiamo, l’altro viene visto come prossimo a Renzi e Calenda. Due visioni chiaramente opposte ma identitarie. Opposte alla non scelta rappresentata da Nardella.

In tutto questo dibattito il Sud, le sue classi dirigenti, le sue proposte sono drammaticamente assenti. In questo c’è un vulnus culturale che rappresenta un divario superiore a quello dell’unità d’Italia. È dalla morte di Moro che non abbiamo una figura che rappresenti il mezzogiorno di questo Paese nel dibattito politico. Il Sud è morto in via Fani e non resuscita certo tramite Bellocchio.

Così è se vi pare.

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