Rincari, in Sicilia vacanze “salatissime” - QdS

Rincari, in Sicilia vacanze “salatissime”

Rincari, in Sicilia vacanze “salatissime”

martedì 06 Settembre 2022

La fotografia dell’Unione Nazionale Consumatori sui dati Istat relativi al mese di luglio. A Palermo i costi dei servizi degli alloggi sono aumentati del 18,5% su base annua

PALERMO – In Sicilia le vacanze sono costosissime. In una estate in cui i rincari sono stati generalizzati, le maggiori città siciliane non sono da meno dal resto d’Italia, anzi. Secondo i dati forniti da Unc, Unione Nazionale Consumatori, elaborando gli ultimi dati Istat relativi al mese di luglio, a Palermo i servizi di alloggio sono rincarati, su base annua, del 18,5%, ben al di sopra della media nazionale, che si ferma al 12,7%. A Messina gli aumenti si fermano al 10.9%, A Siracusa al 9,3%, a Catania al 7,9%. Solo a Trapani gli aumenti sono stati poco rilevanti, di appena lo 0,9%. Anche la ristorazione segna aumenti di prezzo piuttosto importanti. Palermo rimane sempre la città più cara, con rincari che arrivano al 7,8%, anche in questo caso ben oltre la media italiana, ferma al 4,8%. A Siracusa gli aumenti sono del 5,9%, a Trapani del 4,8%; ancora, a Catania si sale del 4,7%, a Messina del 3,3%, a Caltanissetta del 2,3%. A livello nazionale, gli alberghi più cari sono a Firenze (+38,5%), a Milano (+30,9%) e a La Spezia (+27%).

È quanto emerge, dicevamo, dallo studio dell’Unione Nazionale Consumatori che ha stilato la classifica completa delle città con i maggiori rincari per quanto riguarda i servizi di alloggio e di ristorazione: i ristoranti più cari sono a Verona (+8,8%), a Forlì-Cesena (+8,1%) e a Brescia (+7,9%). I servizi di alloggio, ossia alberghi, motel, pensioni, bed and breakfast, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù a luglio costano in media nazionale il 12,7% in più rispetto allo scorso anno. In particolare, prendono il volo gli alberghi e i motel (+16,6%) e le pensioni (+9,4%).

Un balzo non indifferente ma che diventa stellare in molte città, con differenze sul territorio notevoli, pari a quasi 40 punti percentuali tra la città peggiore e la migliore, addirittura in deflazione, indice di una ripresa della domanda turistica molto differenziata. Le città più virtuose sono Vercelli (-1,4%), Reggio Emilia (-1,2%) e Massa-Carrara (-0,5%). Per i servizi di ristorazione, ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria, l’inflazione annua è pari, per l’intera penisola, al 4,8%. La città più “economica” è Lodi (+1,4%), in seconda posizione Campobasso (+1,6%). Al terzo posto Teramo (+1,9%). Le motivazioni degli aumenti di prezzo sono molteplici: il conflitto in Ucraina, l’incertezza sui mercati, i rallentamenti nelle consegne, gli aumenti dei costi energetici.

Collegato alla questione guerra, è l’aumento di prezzo di molte materie prime alla base della ristorazione, come il grano, che ha visto rincarare i prezzi del 20%, o gli oli vegetali, aumentati del 23%. Non mancano gli aumenti per le carni, il latte e i derivati, a causa del prezzo più alto dei mangimi destinati agli animali da allevamento. Un circolo vizioso di spese che aumentano e giungono alle tasche del consumatore finale, già in piena crisi dopo due anni di emergenza sanitaria.

Già a inizio anno, prima ancora dello scoppio della guerra in Ucraina, l’ufficio studi di Fipe-Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici esercizi, nel suo tradizionale rapporto annuale, realizzato in collaborazione con Bain&Company e Tradelab, aveva scritto come il fatturato della ristorazione non sarebbe tornato ai valori pre Covid fino al 2023 per 6 imprese su 10. Per il secondo anno consecutivo, poi, è stata conferma la forte frenata della nascita di nuove imprese, 8.942 nel 2021, a fronte di un’impennata delle cessazioni di attività, 23mila. Tra 2020 e 2021 le imprese che hanno chiuso i battenti sono oltre 45mila.

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