CATANIA – Con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea il 29 luglio 2024, il Regolamento Ue 2024/1991 sul ripristino della natura è entrato ufficialmente in vigore lo scorso 18 agosto, ponendosi come uno degli strumenti normativi più ambiziosi degli ultimi anni in materia ambientale. Voluto dalla Commissione nel quadro del Green Deal e della Strategia per la Biodiversità 2030, ha come obiettivo non solo la conservazione, ma il ripristino attivo di ecosistemi degradati in tutto il territorio europeo. Una sfida che arriva anche in Sicilia, dove prende forma un progetto di ricerca di rilevante interesse nazionale (Prin 2022) che coinvolge le università di Catania, Messina e Palermo.
Individuare misure di ripristino ambientale
Esso si propone di individuare misure di ripristino ambientale in ambito urbano e naturalistico, mediante un’analisi preliminare delle aree potenzialmente interessate e lo sviluppo di specifici casi studio, e di dialogare con le istituzioni locali per stabilire le linee d’azione e gli obiettivi in materia di recupero e risanamento degli ecosistemi. Tra i casi studio individuati: il complesso delle Aree umide di Lentini e Gelsari, nella Piana di Catania, un tempo parte di un vasto sistema fluviale e palustre, oggi in gran parte compromesso da attività di prosciugamento delle acque e da interventi di drenaggio, colmata e distruzione di habitat. Abbiamo intervistato Marisa Meli, professoressa di diritto privato dell’Università di Catania e principal investigator del progetto, per comprendere i risvolti giuridici e politici della nuova normativa europea e le prospettive per la Sicilia.
Professoressa Meli, il nuovo Regolamento Ue rappresenta una svolta rispetto alla normativa precedente?
“Non del tutto. La tutela della biodiversità non è certo un tema nuovo in ambito europeo. Già con la direttiva Habitat (1992, ma in verità ancor prima) il legislatore europeo aveva individuato nella perdita e nel degrado degli habitat naturali alcuni gravi fattori di rischio, introducendo misure volte ad assicurarne la conservazione, ma prevedendo anche misure di ripristino. La novità del Regolamento è di avere ampliato lo sguardo e di mettere in risalto la centralità che gli ecosistemi (tutti, anche quelli agrari, forestali, fluviali, marini, urbani) rivestono per la vita dell’uomo, intervenendo con un apposito Piano di ripristino per cercare di ovviare alle tante situazioni di degrado”.
Quali strumenti giuridici concreti offre il Regolamento per fermare, ad esempio, i prosciugamenti e le attività di distruzione degli habitat nei pantani?
“Il Regolamento non si occupa direttamente di questo. Esso mette in evidenza l’importanza delle zone umide, anche nella lotta contro i cambiamenti climatici, sollecitando gli Stati membri ad incrementare la superficie delle zone protette. È nell’ambito di quella disciplina che si trovano le risposte alle domande”.
Creare una riserva potrebbe portare benefici anche allo sviluppo economico sostenibile dell’area?
“Certamente. Oltre al valore più squisitamente naturalistico, l’istituzione di una riserva può promuovere turismo naturalistico, educazione ambientale, valorizzazione delle comunità locali”.
Come conciliare la tutela dell’ambiente con la tutela della proprietà privata e delle attività economiche (ad esempio quelle agricole)?
“La risposta non è univoca. Dipende dal contesto. In linea teorica le due cose possono non solo coesistere, ma recare reciproco vantaggio l’una all’altra, se si tratta di agricoltura realmente sostenibile. Se l’attività agricola si sostiene grazie al prosciugamento delle acque, elemento consustanziale all’esistenza della zona umida, è chiaro che il discorso cambia e che si dovranno trovare altre soluzioni”.
È realistico raggiungere l’obiettivo di proteggere il 30% del territorio entro il 2030, come previsto dalla Strategia europea per la biodiversità?
“Qui la risposta è semplice: no. Il 2030 è dietro l’angolo e tutti gli obiettivi, che traggono la loro fonte dall’Agenda sostenibile 2030, sono lontani dall’essere raggiunti. Oltretutto a livello europeo il Green Deal sta vivendo un momento critico. Anche il Regolamento sul ripristino ha avuto un iter legislativo complicato ed è stato approvato per il rotto della cuffia. L’Italia ha votato contro”.
Le parole della professoressa Meli restituiscono il senso di un’opportunità concreta, ma anche di una corsa contro il tempo. A livello europeo, il regolamento 2024/1991 impone agli Stati di identificare priorità di intervento entro il 2030, dando precedenza ai Siti Natura 2000: i pantani di Gelsari e Lentini, parte della Zona di protezione speciale ITA070029, rientrano dunque perfettamente nei criteri europei. L’Università di Catania, nel suo ruolo di coordinatore scientifico del Prin 2022, propone, dunque, l’inserimento dei pantani di Gelsari e Lentini tra gli obiettivi di ripristino e, come misura consequenziale, l’istituzione di una riserva naturale. La sfida è concreta, e anche il mondo accademico ha deciso di giocare la propria parte.

