Da alcuni rapporti ufficiali (Ragioneria generale dello Stato; Ufficio parlamentare di bilancio) emerge un ritardo nella spesa dei fondi PNRR nel nostro paese. A giugno 2025 sono stati spesi 79 miliardi; restano da spendere 110 miliardi entro il 2026. Si parla di deficit organizzativi, di deficit di competenze e di risorse umane. Tutto vero. Lo stesso problema si è verificato per altri fondi europei. Ma c’è una domanda che occorre farsi. Perché queste risorse sono state pianificate se non si era certi sulla capacità (o necessità) di spenderle? A questa domanda non si può rispondere che altri hanno pianificato quelle risorse. L’Italia partecipa, con un certo peso, alle decisioni europee. La domanda resta.
Ogni volta che si decide di destinare risorse ad un fine (territoriale o settoriale), quelle risorse vengono sottratte ad altri fini. Deve essere stata fatta una valutazione per la quale quella destinazione è migliore di altre. Chi riceve risorse deve quindi assumersi la responsabilità di destinarle allo scopo condiviso. Se non le utilizza, o ritarda ad utilizzarle, sta venendo meno ad un impegno assunto, ottenendo un risultato complessivo peggiore di quello che era stato immaginato al momento della programmazione di quelle risorse. A causa dell’inutilizzo o del ritardato utilizzo, la destinazione che era stata scartata prima diventa preferibile. In altri termini, sarebbe stato meglio fare un’altra cosa con quelle risorse. Questa è la perdita. Il ritardo riduce il valore di quella spesa e la rende inferiore ad altre. Su chi ricade questa perdita? Se non ricade su chi si è impegnato a fare quella spesa nei tempi prescritti, siamo di fronte ad un incentivo perverso. Nessuna sorpresa se si presta scarsa attenzione al rispetto dei tempi. I programmi di spesa prevedono spesso sanzioni per i ritardi, perfino la restituzione delle risorse, ma evidentemente non sono stati sufficienti se ancora quei ritardi persistono.
Se si guarda bene, il caso dei ritardi è solo un esempio di un problema più generale che riguarda la responsabilità nell’uso di risorse pubbliche. Si tratta di un problema vecchio come il mondo che intreccia politica, giustizia, etica, economia, cultura. L’Europa – solo per un esempio di grandi questioni – in questo periodo discute della opportunità di aumentare le spese militari. Come si fa a dire che questa spesa è meglio di altre? Ci sono opinioni diverse. I governi quando agiscono pensano di fare la cosa giusta, ma raramente forniscono spiegazioni convincenti che una cosa sia migliore di un’altra. Un problema troppo grosso per affrontarlo in poche righe. Ma c’è un piccolo problema che fa il paio con quello dei ritardi, ossia le accelerazioni di spesa. Anche queste possono essere fonte di inefficienza e di costi, che è difficile far pagare ai responsabili.
La mia esperienza di consigliere comunale a Catania mi ha messo di fronte ad alcune situazioni interessanti. Come è noto (art. 149 del Tuel) i Comuni si finanziano principalmente con risorse proprie e con trasferimenti statali e regionali. A queste vanno aggiunte le risorse destinate agli investimenti. Succede a volte che i trasferimenti siano vincolati ad una destinazione precisa. Ed ecco qui l’accelerazione. Si osserva: poco importa la natura della spesa; esistono le risorse; perché sprecarle? Si osserva pure che queste spese non alterano gli equilibri di bilancio perché la spesa è già coperta dall’entrata vincolata. Si osserva infine che quelle risorse non potrebbero essere utilizzate altrimenti. Quindi, o si spende adesso o non si spende. È un ragionamento privo della più elementare logica economica.
Se non si è convinti di una spesa, se non si ravvisa una utilità certa, quella spesa non va fatta. È quindi un classico esempio di spreco di risorse, che sarebbe stato meglio impiegare in altro modo. Quelle risorse non vanno richieste o vanno restituite, indicando finalità migliori.
Si tratta di una pratica diffusa, soprattutto per quegli enti, come il Comune di Catania caratterizzati da difficoltà finanziarie, che impongono di destinare ingenti risorse al pagamento dei debiti. L’entrata straordinaria, seppur vincolata, è quindi accolta con molto favore, poiché consente di fare delle spese, che generano sicuramente qualche beneficio, ma senza considerare che esistono sempre delle alternative, possibilmente migliori, che non possono essere esplorate. Ecco la perdita, non molto diversa da quella che si genera per un ritardo nella spesa. Succede a volte che si introducono meccanismi che incentivano la responsabilità, come il cofinanziamento della spesa, ma è raro.
Un esempio, non certo virtuoso, l’ha offerto la Giunta comunale di Catania quando ha proposto al Consiglio di approvare un unico provvedimento con 13 variazioni di bilancio, di natura molto diversa tra loro, incluso una integrazione agli emolumenti degli amministratori e dei consiglieri comunali. Non si è voluto e non si è potuto discutere la opportunità della singola specifica spesa. Ci sono le risorse. Evvai. Ecco come si generano le perdite. Ma questo è solo un piccolo esempio.
Maurizio Caserta
Ordinario di Economia politica all’Università degli studi di Catania

