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Fondi Ue 2021-2027: in Sicilia spesa inceppata. Pochi anni alla scadenza e pagamenti all’1,7%

Fondi Ue 2021-2027: in Sicilia spesa inceppata. Pochi anni alla scadenza e pagamenti all’1,7%

Importi da certificare entro la fine del 2029, ma tra Fesr ed Fse+ l’Isola ha impiegato solo 125 milioni su 7 miliardi

ROMA – Tanti, troppi ritardi di spesa dei fondi europei. E più passa il tempo, più si affievolisce la speranza di recuperarli, soprattutto nel Mezzogiorno, chiaramente anche in Sicilia. Un potenziale flop che non riguarda solo il Pnrr. L’Isola, nell’ambito della programmazione regionale 2021-2027, è talmente indietro con i principali strumenti finanziari messi a disposizione dall’Unione europea, da aver impiegato soltanto il 4,74% del Fse+ (71,9 milioni su un fondo di 1,5 miliardi) e appena lo 0,91% del Fesr (53,3 milioni su ben 5,8 miliardi). La situazione attuale, dunque, è quella di una regione ferma, in termini di pagamenti, all’1,7% del plafond complessivo (cioè, appunto, Fesr e Fse+ messi insieme), avendo speso, nell’ambito del programma 21-27, appena 125,2 milioni di euro su una dotazione totale di oltre 7,3 miliardi. Questo il quadro dopo quasi cinque anni dall’inizio del ciclo di investimenti e quando ne mancano poco più di quattro alla scadenza, fissata, secondo i patti con Bruxelles, alla fine del 2029. Una lentezza davanti alla quale è difficile ipotizzare cause diverse da quelle imputabili alle carenti capacità di programmazione degli apparati burocratici regionali.

Il monitoraggio del Mef e la situazione nazionale

A offrire una panoramica dettagliata di questi ritardi è il monitoraggio sulle politiche di coesione pubblicato dalla Ragioneria generale dello Stato. Il dipartimento del Mef ha fotografato l’avanzamento della spesa al 31 agosto di quest’anno. Le performance deludenti della Sicilia, a essere precisi, si collocano in una cornice di ritardi diffusi in tutta la Penisola. In Italia, infatti, la spesa dei fondi europei è ferma all’8,14%, se si considerano sia i programmi nazionali che quelli regionali, e al 9,78% per quanto riguarda i soli programmi regionali: in generale, nel Paese il ciclo di spesa del Fesr e del Fse+ ricadente nel segmento temporale 21-27 ha visto, su un totale di 72,65 miliardi, pagamenti per soli 5,91 miliardi di euro.

Sicilia fanalino di coda nel Mezzogiorno

Sebbene nessuna regione italiana stia rispettando la tabella di marcia, però, è anche evidente come i ritardi siciliani siano peggiori rispetto alla media nazionale. Con un avanzamento all’1,7%, l’Isola guarda da lontano risultati (seppur, nell’insieme, a loro volta insufficienti) come quelli del Veneto, che raggiunge il 14,77% del programma, o della Lombardia, che arriva al 19%. Ma il livello di spesa della Sicilia è, in base al rapporto del Mef, uno dei più bassi anche nel solo contesto del Mezzogiorno. La Campania, ad esempio, con una spesa del Fesr e del Fse+ pari a 544,23 milioni su una dotazione di 6,97 miliardi, registra un avanzamento del 7,8%. Anche la Puglia, spendendo quasi 413 milioni di euro su un plafond di 5,57 miliardi, riporta un indice di pagamento al 7,4%. Entrambe le regioni, benché a loro volta inserite nel quadro economico meridionale e segnate da seri ritardi, hanno speso tra i 400 e i 500 milioni in più della Sicilia, staccandola in quanto a volume dei pagamenti di circa 6 punti percentuali.

Trend di spesa e rischi per il futuro

Preoccupa anche il trend dell’Isola, dove si scorge un’evidente difficoltà a imprimere un’accelerazione alla spesa. Un precedente monitoraggio ministeriale, che rilevava impegni e pagamenti al 30 aprile 2025, descriveva una situazione non molto diversa da quella di fine agosto. In Sicilia, la scorsa primavera, risultavano spesi 33,34 milioni del Fse+ (2,20%) e 53,30 milioni del Fesr (0,91%): tirando le somme, in quattro mesi sono stati spesi 38,6 milioni del solo Fse+, incrementando i pagamenti del 2,54%. Tuttavia, nello stesso periodo di tempo, del Fesr 21-27 non è stato speso un solo euro. Considerando dunque la dotazione complessiva di entrambi i fondi, in Sicilia la spesa ha avuto nel quadrimestre un incremento pari a circa +0,5% (la media italiana è stata di +2,34% su programmi nazionali e regionali). Insomma, l’Isola è passata dall’1,2% del 30 aprile, all’1,7% del 31 agosto. Senza invertire questa tendenza, la regione potrebbe ritrovarsi alla fine del programma con pagamenti per circa 502 milioni di euro su 7,3 miliardi disponibili, chiudendo il ciclo 2021-2027 con una spesa del 6,8%.

Il nodo della progettazione e dell’efficacia amministrativa

Più che sull’adeguatezza delle misure economiche che spronano la coesione territoriale (cioè che puntano a colmare il divario tra le regioni più ricche e quelle svantaggiate), bisogna riflettere sull’efficacia progettuale delle azioni messe in campo dalle pubbliche amministrazioni beneficiarie dei fondi. Indicativo, ad esempio, è il fatto che dopo anni di politiche di coesione, le regioni del Mezzogiorno continuino a essere classificate come “meno sviluppate”, in quanto il loro Pil pro capite è inferiore al 75% della media europea. Parametro, questo, impiegato proprio per stabilire l’ammontare dei fondi strutturali da destinare ai singoli territori. Più lenta è l’economia della regione, infatti, più generoso sarà il contributo da parte dell’Unione europea. Ciononostante, la fatica dei territori arretrati nel recuperare terreno rispetto a quelli più avanzati è rimasta immutata negli anni, segno che un’ingente mole di risorse economiche in sé può fare comunque poco, quando a spadroneggiare sono i deficit di progettazione e le difficoltà delle amministrazioni locali nell’attuazione delle opere pubbliche.

La chiusura del programma Fesr 2014-2020 e i nuovi rischi

In tema di capacità di spesa dei fondi strutturali europei, d’altronde, la Sicilia ha già dato prova ufficiale della sua lentezza. La chiusura del precedente programma Fesr, quello 2014-2020, completato con un ammontare di 3,8 miliardi di euro, è stata proclamata dalla Regione siciliana a dicembre 2024 come una “sfida vinta”. Tuttavia, tra una rimodulazione e l’altra “per non perdere le risorse”, a volte anche ricorrendo al “trasferimento in altri programmi della politica di coesione (Poc e Psc) di alcuni progetti non più in linea con la chiusura”, in Sicilia il Fesr 2014-2020 è stato ultimato in ritardo rispetto sia alle tempistiche del ciclo di investimenti, sia alle norme di verifica dei pagamenti stabilite in Europa: la cosiddetta regola N+3 (prevista dall’articolo 136 del regolamento Ue 1303 del 2013) secondo cui la spesa dovrebbe essere certificata alla Commissione europea entro la fine del terzo anno successivo all’impegno, e quindi, nel caso del Fesr 14-20, non oltre il 31 dicembre 2023.

La regola N+2 e la scadenza del 2029

A parte la chiusura tardiva, comunque, anni e anni per spendere con la vecchia programmazione meno di 4 miliardi, rappresentano un indice poco incoraggiante visto che, per il nuovo ciclo 21-27, ci sono ancora 7 miliardi di euro (tra Fesr e Fse+) ancora chiusi nel cassetto. Tanto più se si considera che per completare la spesa i tempi sono ancora più stretti di quelli concessi nella finestra 2014-2020. Mentre per quest’ultima, come detto, Bruxelles fissava la regola N+3, e dunque aggiungeva ulteriori tre anni al settennio di base, per l’attuazione dei progetti relativi alla programmazione 2021-2027 (non ostacolata da pandemie e crisi economiche) è tornata invece la norma N+2, già in vigore per il ciclo 2007-2013: insomma, gli attuali investimenti potranno essere portati a termine con uno slittamento di soli due anni, uno in meno rispetto al vecchio pacchetto.

Il rischio disimpegno dei fondi europei

Entro il 31 dicembre 2029, quindi, i pagamenti del programma 21-27 devono essere certificati mediante la presentazione alla Commissione europea della richiesta di rimborso delle spese sostenute. La pena, in caso di mancato rispetto di questo termine, è il disimpegno automatico delle somme non certificate e la conseguente riduzione del finanziamento europeo. Con l’attuale ritmo di spesa, senza imprimere una vera accelerazione all’avanzamento dei programmi, il rischio che corre la Sicilia è quello di perdere fondi per circa 6,9 miliardi di euro.