Quarant’anni fa la strage di via Pipitone Federico. Mattarella ieri a Palermo per commemorare Rocco Chinnici
Era il 29 luglio 1983 quando Giovanni Paparcuri si affacciò al balcone di casa prima di uscire per capire se dovesse mettere, o meno, la giacca. “Era una giornata calda, anche se non come quelle dei giorni scorsi – racconta a QdS Giovanni Paparcuri, l’autista di Rocco Chinnici –. Uscito di casa mi recai all’Ucciardone per prendere l’auto di servizio, un’Alfetta. Quando arrivai in via Pipitone Federico, luogo dell’appuntamento, mancavano una decina di minuti alle 8. Il consigliere Chinnici era molto preciso e, nel momento della sua uscita dal palazzo in cui viveva, l’auto doveva essere pronta per partire, con il motore acceso. Al mio arrivo c’erano già sia l’appuntato Bartolotta e il maresciallo Trapassi sia la radiomobile di supporto, un Alfasud. Al mio arrivò pensai che sarebbe stata una giornata fortunata, perché trovai subito un ottimo spazio per parcheggiare. Salutai tutti e raggiunsi il portiere Stefano Li Sacchi per dare un’occhiata al giornale, che lui comprava tutti i giorni. Lo posai su una 126 color verde oliva che era parcheggiata lì davanti per sfogliarlo. Normalmente, al mio arrivo, la radio ricetrasmittente veniva portata nella mia auto ma quella mattina fu l’appuntato Bartolotta che mi chiese di andarla a prendere nell’Alfasud e metterla nella mia”. Le lancette dell’orologio si avvicinavano alle otto. Il consigliere Chinnici stava per uscire. La porta di casa alle sue spalle si chiuse. Premette il pulsante di chiamata dell’ascensore. Arrivò a piano terra.
“Normalmente quando il consigliere faceva il primo passo fuori dal portone, il maresciallo Trapassi faceva un gesto con la mano, un segnale che per me voleva dire portiere di destra aperte e motore dell’auto in moto, perché sta arrivando il consigliere – continua Paparcuri – Avevo appoggiato la radio sul cruscotto, guardai lo specchietto e lo vidi fare il gesto convenuto”. Un gesto abituale che, quella mattina, diventò l’ultimo saluto. Poi, all’improvviso, i 75 kg. di tritolo contenuti nella 126 color verde oliva furono innescati tramite un telecomando. “Ero all’interno dell’Alfetta blindata. Come tutti i sopravvissuti li vidi vivi per l’ultima volta e morti per la prima volta” conclude Giovanni Paparcuri.
Il Colonnello dell’Arma dei carabinieri Angiolo Pellegrini scrisse nel rapporto giudiziario che redasse “macchine danneggiate, vetrine e saracinesche danneggiate, le mura dei palazzi circostanti sembravano colpite da bombe o da colpi di mitragliatrice e di fronte al portone dove c’era l’abitazione del dottore Chinnici la strada risultava scavata, c’era una fossa profonda, abbastanza profonda e quindi si vedeva chiaramente che c’era stata una fortissima esplosione che aveva coinvolto per alcune decine di metri tutto ciò che esisteva sulla strada”. “Palermo come Beirut”, titolarono i giornali. A terra, senza vita, c’erano l’appuntato Salvatore Bartolotta, il maresciallo Mario Trapassi e Stefano Li Sacchi, il portiere dello stabile. A terra, senza vita, c’era il consigliere Rocco Chinnici, l’ideatore del pool antimafia, il nemico numero uno di Cosa nostra.
Ieri per ricordare il suo sacrificio, il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si è recato nell’aula magna della Corte d’appello del Tribunale di Palermo, dove è stato accolto dall’inno nazionale italiano, per assistere al seminario “Memoria e continuità. Il lavoro di Rocco Chinnici, dall’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo alla legislazione antimafia italiana ed europea”. Ad accoglierlo i figli di Chinnici, Giovanni e Caterina, il presidente della Regione Renato Schifani, il sindaco di Palermo Roberto Lagalla, il presidente del Tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini, il presidente della Corte d’Appello Matteo Frasca, il procuratore generale di Palermo Lia Sava e il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia.