Cronaca

Rosalia Messina Denaro, i segreti della sorella del boss e “cassa” di Cosa nostra

Scattano le manette per Rosalia Messina Denaro, sorella del boss mafioso arrestato lo scorso 16 gennaio e arriva l’ordinanza a suo carico, che svela dettagli importanti sul ruolo della donna nella vita dell’ex superlatitante.

Il gip Alfredo Montalto, su richiesta del Pubblico Ministero nelle persone del Procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, del Procuratore Aggiunto Paolo Guido e dei Sostituti Procuratori Dott.ri Gianluca De Leo e Pierangelo Padova, ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti perché, come indicato dai pm, “sussistono gravissime esigenze cautelari che impongono l’adozione della più grave delle misure cautelari, e ciò a prescindere dalla ricorrenza, nel caso di specie, della presunzione di cui all’art. 275 n. 3 c.p.p.”.

Rosalia Messina Denaro, sorella “fedele” del boss

I pm, inoltre, indicano nell’ordinanza che “deve evidenziarsi che Rosalia Messina Denaro vanta una serie di stretti rapporti familiari di elevatissimo lignaggio mafioso, di talché, se lasciata in libertà potrebbe – anche in via indiretta – pesantemente inquinare le prossime e complesse acquisizioni in corso che riguardano la documentazione sequestrata il 16 gennaio” in quanto “Cosa nostra, in particolare i mandamenti di Castelvetrano e Mazara del Vallo, ma soprattutto la famiglia Messina Denaro con ben due componenti (padre e figlio) rimasti latitanti uno fino alla morte l’altro per ben 30 anni dimostrano che la capacità di darsi alla fuga non solo è altamente probabile ma anche assolutamente praticata. Nessun dubbio dunque sulla sussistenza del pericolo di fuga“.

L’ordinanza nei confronti di Rosalia Messina Denaro è stata emessa, indica il gip Montalto, “per avere, unitamente a numerosissimi altri associati per i quali si è proceduto e si procede separatamente, fatto parte dell’associazione mafiosa Cosa nostra, avvalendosi, insieme, della forza d’intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e omertà che ne deriva, per commettere delitti (contro l’incolumità individuale, la libertà personale e il patrimonio), per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici, per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri, per intervenire sulle istituzioni e la pubblica amministrazione”.

L’aiuto ai familiari mafiosi

Nello specifico, secondo l’ordinanza, Rosalia Messina Denaro è accusata di “avere posto in essere negli anni le seguenti molteplici condotte: aiutava, unitamente ad altri sodali e familiari per i quali si è proceduto o si procede separatamente, il capo della provincia mafiosa di Trapani Matteo Messina Denaro, latitante dal 2 giugno 1993, a sottrarsi all’esecuzione di numerosi ergastoli per i quali è stato ripetutamente condannato”, consentendo al fratello “di continuare a esercitare le funzioni apicali di Cosa nostra provvedendo, in un lungo arco temporale, a gestire per suo conto e in suo nome la ‘cassa’ della famiglia mafiosa, da cui traeva sostentamento per la sua latitanza anche lo stesso Messina Denaro”.

Inoltre “garantiva a diversi associati mafiosi, e nel complesso all’intera Cosa nostra, di poter comunicare con il loro capo sebbene questi si trovasse in stato di latitanza, costituendo – quale collettrice e distributrice di messaggi da e per quest’ultimo – un punto di riferimento della riservata catena di trasmissione dei cosiddetti ‘pizzini’, utilizzati dal medesimo latitante, da numerosi altri sodali e dai suoi familiari per scambiarsi comunicazioni scritte su questioni economiche e strategiche relative alla vita associativa”.

La perquisizione e le scoperte sui Messina Denaro

Nel corso della perquisizione dell’abitazione a Campobello di Mazara, via CB n. 31, acquistata tramite Andrea Bonafede e utilizzata da Matteo Messina Denaro nel periodo immediatamente precedente e sino al momento del suo arresto, stati rinvenuti e sequestrati numerosi scritti e pizzini utilizzati dal latitante per mantenere i contatti con i sodali e tra questi anche alcuni che, unitamente ad altre precedenti acquisizioni probatorie anche documentali, hanno consentito di delineare il ruolo centrale svolto nel sistema delle comunicazioni del latitante dalla sorella Messina Denaro, Rosalia. Contestualmente alla cattura del latitante, e nelle fasi immediatamente successive, la polizia giudiziaria ha compiuto un’imponente attività d’indagine, disponendo decine di perquisizioni in una serie di luoghi, alcuni dei quali nella disponibilità di Messina Denaro e del suo nucleo familiare. Il materiale raccolto in occasione di dette perquisizioni consta di una serie di elementi indiziari di eccezionale rilevanza, la cui analisi consentirà certamente nel prosieguo, allorquando sarà completata la complessa attività investigativa già delegata da quest’Ufficio, di ricostruire ruoli, compiti e funzioni svolte da numerosissimi soggetti che hanno consentito per 30 anni a Messina Denaro di sottrarsi all’esecuzione della pena e di continuare a esercitare il suo enorme potere mafioso”.

Il lavoro di “cassa” di Rosalia Messina Denaro

I pm, inoltre, indicano che “da subito, una serie di importanti acquisizioni all’interno dei luoghi in uso o frequentati dai familiari di Messina Denaro consente di cristallizzare a carico innanzitutto della più grande delle 4 sorelle del latitante, Rosalia, detta “Rosetta”, un ricco e articolato quadro indiziario da cui emerge con chiarezza il delicato e fondamentale ruolo da ella svolto per la gestione del flusso di denaro contante a disposizione della famiglia mafiosa, tradottosi innanzitutto nell’esecuzione degli ordini del fratello e nella consegna di denaro a una serie di soggetti (la cui identificazione e successiva collocazione mafiosa è pienamente in corso) e, poi, nella puntuale rendicontazione di anno in anno delle entrate e delle uscite correnti” e che “la preziosa disponibilità materiale degli stessi ha consentito di accertare – ad esempio – che trattasi di bigliettini arrotolati, sigillati con il nastro adesivo, spesso veicolati e avvolti in piccoli pacchetti, in cui si fa ricorso a nomi in codice per indicare i mittenti, i destinatari e i terzi oggetto della trattazione epistolare, e che vengono consegnati brevi manu da una catena, più o meno lunga, di soggetti di comprovata fiducia, definiti dallo stesso Messina Denaro, nei suoi scritti, ‘tramiti’”.

Le premure verso il fratello malato

Dall’odierna ordinanza si apprende inoltre che “nell’Informativa del R.O.S. del 9 febbraio 2023 vengono dettagliatamente illustrate tutte le acquisizioni investigative relative alla patologia di cui era (ed è) affetto Matteo Messina Denaro, agli interventi chirurgici subiti e da ultimo alla prenotazione, decisiva per il suo arresto, alla clinica ‘La Maddalena’ di Palermo il 16 gennaio scorso. Va premesso che, nel corso dell’intero 2022, dal complesso delle attività d’intercettazione svolte sul contesto familiare del latitante erano emerse diverse indicazioni (spesso riferite a terzi soggetti, ma con l’evidente scopo di camuffarne la riferibilità a quest’ultimo) secondo le quali Matteo Messina Denaro potesse soffrire di una violenta riacutizzazione di alcune malattie croniche che interessavano il colon (definite di volta in volta ‘colite ulcerosa’ o ‘morbo di Crohn’)”.

“Il che, naturalmente, aveva indirizzato le investigazioni nel contesto diagnostico/curativo al quale il latitante avesse potuto eventualmente rivolgersi. Ma l’indicazione fondamentale circa l’iter sanitario che ha seguito il latitante (utilizzando come è noto l’identità del sodale Andrea Bonafede) è giunta da attività tecnica svolta dal R.O.S., che, in occasione di un accesso riservato per installare microspie e telecamere all’interno dell’abitazione di Castelvetrano di Rosalia Messina Denaro (in esecuzione a un decreto di intercettazione tra presenti disposta da quest’Ufficio proprio all’interno di quelle mura domestiche), si imbatteva in un appunto posto all’interno di una gamba cava di una sedia di alluminio, sito dove gli ufficiali di polizia giudiziaria e i tecnici stavano provando a posizionare una microspia autoalimentata. Lo scritto, recante annotazioni confuse e in quel momento poco intellegibili, veniva precauzionalmente fotografato dagli operanti e lasciato occultato esattamente nel luogo ove si trovava al fine di non pregiudicare le future attività di ascolto delle intercettazioni (…) Proprio partendo dalle indicazioni sulla patologia sufficientemente precise e dalle date in cui l’ammalato aveva subito più interventi chirurgici, la polizia giudiziaria, attraverso riservatissimi accertamenti prima al Ministero della Salute e poi su banche dati sanitarie nazionali {tutti analiticamente illustrati nella Informativa citata, cui può farsi integrale rimando), giungeva agevolmente all’identificazione del maschio adulto di età prossima a quella del latitante che si era sottoposto a detti interventi, cioè apparentemente Andrea Bonafede, compiutamente identificato”.

I Pm indicano che sia “dunque certo che sia stata Rosalia ad annotare sul ‘pizzino’ di volta in volta la progressione della malattia, delle cure effettuate e delle condizioni fisiche del fratello; ed è altrettanto certo che la scelta di conservare un grezzo diario clinico di Messina Denaro ha di fatto consentito alla polizia giudiziaria di acquisire fondamentali e decisive informazioni sulla possibilità di localizzare il latitante”.

Come Rosalia Messina Denaro aiutava il fratello boss

Secondo il gip la richiesta del Pubblico Ministero “delinea, a parere di questo giudice per le indagini preliminari, un quadro indiziario a carico dell’odierna indagata di estrema gravità e, comunque, sicuramente idoneo a integrare le condizioni di applicabilità della chiesta misura cautelare personale” e che “risulta inconfutabilmente accertato, innanzitutto, che Rosalia Messina Denaro ha costituito un importantissimo punto di snodo delle comunicazioni del fratello latitante, non soltanto con i membri della sua famiglia di origine (fatto che, di per sé, sarebbe privo di rilevanza penale), ma, soprattutto, ed è ciò che qui rileva, con un elevato numero di soggetti a vario titolo coinvolti nelle attività di interesse dell’associazione mafiosa ‘Cosa nostra’ operante nel territorio di Castelvetrano e comuni limitrofi di cui il latitante medesimo costituiva – ed ha continuato a costituire sino al suo arresto – il vertice incontestato ed incontrastato”.

Pertanto “la condotta ricostruita sinora a carico di Rosalia Messina Denaro trascende indubitabilmente quella del semplice favoreggiatore, che, peraltro, nel caso in esame sarebbe non punibile ai sensi dell’art. 384 c.p.p., dovendosi pienamente condividere la conclusione del Pubblico Ministero riguardo alla configurazione, in termini di gravità indiziaria, del reato di partecipazione all’associazione mafiosa già facente capo a Matteo Messina Denaro”.