Centinaia in Cattedrale per ricordare Ezio Vittorio, tecnico biancorosso stroncato da un infarto a 56 anni. L'ultimo miracolo di un uomo capace di creare forti legami umani. VIDEO E INTERVISTE
Lunghi applausi all’ingresso del feretro nella Cattedrale di Catania e ancor più lunghi all’uscita, con i suoi ragazzi, i giocatori dell’Amatori rugby, che era quasi come se non volessero lasciarlo andar via.
Questo è stato il saluto della città a Ezio Vittorio, allenatore biancorosso che, da tecnico, aveva saputo riportare la squadra in serie A, quasi ai fasti degli anni d’oro, quando lui stesso vestiva la maglia dell’Amatori e giocava in terza linea.
E proprio con una maglia biancorossa i suoi ragazzi hanno ricoperto la bara, appena riposta nel carro funebre, dopo una straziante cerimonia alla presenza delle autorità cittadine, in testa il sindaco Salvo Pogliese.
Dietro la bara la moglie Claudia, affranta, come i due figli ventenni e lo zio, Pippo Puglisi, uno degli emblemi del rugby siciliano.
Sì, perché Ezio Vittorio se l’è portato via un infarto, assolutamente inaspettato, a soli cinquantasei anni. E questo ha sconvolto l’intero movimento rugbistico catanese.
Centinaia di persone sono giunte in piazza Duomo per salutarlo, coloro che lo avevano conosciuto come giocatore e quelli che aveva guidato come tecnico.
La Cattedrale di Catania si trova a pochi passi da quel mercato della Pescheria in cui l’allenatore dell’Amatori Catania era di casa. Qui si trovavano infatti sia la macelleria della famiglia Puglisi, regno di suo zio Nino, anche lui colonna biancorossa, e il banco del pesce di suo padre “Foffuccio” Vittorio, oggi gestito da Lorenzo, il fratello.
Rugbisticamente, Ezio era cresciuto sotto l’ala protettrice di Nino, straordinario pilone-filosofo, prematuramente scomparso a sessant’anni per un infarto, e dell’altro zio, Pippo, divenuto un mito perché, oltre a essere una bandiera dell’Amatori, era anche un punto di forza della nazionale azzurra.
Centinaia e centinaia di persone sono affluite in piazza Duomo, come dicevamo, ma non tutte sono riuscite a entrare in chiesa, per via delle limitazioni anti-Covid, e sono rimaste davanti al sagrato, a raccontarsi chi fosse Ezio, che il primo cartellino con l’Amatori lo aveva avuto a dieci anni, poi era passato al Cus Catania e successivamente era tornato in biancorosso esordendo in prima squadra a quindici anni.
Aveva disputato undici campionati di serie A prima di tornare a giocare nel Cus, e dopo qualche anno, per un problema ai legamenti del ginocchio, aveva abbandonato l’attività agonistica.
In rossazzurro aveva cominciato il suo lavoro come tecnico. E aveva saputo segnare con la sua signorilità quel mondo etneo della pallaovale non sempre amabile.
Nino Puleo, responsabile della sezione rugby del Cus Catania, ha ribadito il rapporto di sostegno paterno che sapeva dare ai ragazzi, puntando su valori come l’amicizia e la solidarietà. Che sono alla base della creazione di una squadra. E lo faceva con il suo caratteristico buonumore, con la sua schiettezza, con la sua determinazione.
La caratteristica di Ezio era sempre stata quella di saper creare dei forti legami umani in un ambiente, quello del rugby catanese, troppo spesso attraversato da malumori e persino incomprensibili faide. E un ultimo miracolo lo ha fatto riuscendo a mettere insieme persone che non si parlavano da anni. Venute a dirgli addio.
In piazza Duomo, oggi, c’erano alcuni personaggi mitici del rugby catanese, dallo storico allenatore dell’Amatori Turi Gemmellaro a Luciano Catotti, da Totò Trovato a Pio Failla, da Sergio Pugelli a Salvo Minio, da Turi Forte a Roberto Lizzio, da Pippo Minnella a Johnny Allegra, dai fratelli Sapuppo a Maurizio Balbo, da Umberto Trebar a Roberto Cafaro, da Mario Privitera a Carlo Trischitta, da Michele Amore a tanti altri.
Tra i quali il compagno di stanza di Ezio Vittorio nelle trasferte, Orazio “Bimbo” Arancio, visibilmente commosso.
“Con Ezio – ha detto – ho condiviso gli anni migliori del mio rugby. Lui aveva già iniziato a giocare un paio d’anni prima di me e aveva fatto parte delle giovanili. Poi, con Elio Taschetta, Luca Ferlito, me e naturalmente Jannie Breedt, il sudafricano scelto da Benito Paolone per rilanciare l’Amatori Catania, costituimmo un settore delle terze linee tra le più importanti del rugby italiano di quegli anni. Gran parte dei risultati conseguiti dai biancorossi in quei tempi d’oro veniva da questo gruppo così ben amalgamato”.
“Il nostro rapporto – ha ricordato Arancio, noto per aver segnato la prima meta italiana al Sudafrica, in un’incontro giocato proprio a Catania – non si limitava al campo: per anni abbiamo condiviso gioie, dolori. Sono stato il compagno di stanza di Ezio perché ero l’unico che riusciva a sopportare il suo russare. E su questo scherzavamo spesso”.
“Con Ezio – ha aggiunto – abbiamo anche fatto, insieme, il corso di allenatore di primo, secondo e terzo livello e lui è diventato un grande tecnico. Ha dimostrato di valere tanto anche fuori dal campo e ha contribuito a tenere alta l’immagine di questa città. Un tecnico di altissimo livello, come non ce ne sono tanti in Sicilia. Ci mancherà una persona dalla grande umanità come lui”.
“I ragazzi dell’Amatori – ha concluso – hanno dimostrato sui social quanto bene gli volessero. I loro messaggi sono commoventi. Addio Ezio”.
E l’addio è stato quell’applauso che sembrava non dover mai finire. Perché quando si fosse esaurito, allora sarebbe stato il vero momento di salutare per sempre Ezio Vittorio.
Come hanno fatto i suoi ragazzi: “Ciao Coach, non ti dimenticheremo mai”.