La terapia intensiva è, contemporaneamente, un ambiente di altissima specializzazione, tecnologia e in cui l’utilizzo dei ventilatori, delle pompe da infusione, da nutrizione, della dialisi, dell’ecografia e di nuovi farmaci rendono molto affascinante e stimolante il lavoro quotidiano. Nel 2019, nei Paesi occidentali, le donne iscritte alla Facoltà di Medicina e chirurgia erano circa il 70-80%, ma solo un 40% alla specializzazione in anestesia. Nei Paesi dove l’anestesia rappresenta una disciplina separata rispetto alla rianimazione, la percentuale delle donne che sceglie di lavorare in terapia intensiva si avvicina al 30% del totale degli iscritti annui. Nel 2017 le donne autrici di articoli scientifici, editrici di riviste scientifiche, dirigenti di aziende farmaceutiche o di biotecnologia, redattrici di linee guida e raccomandazioni nel campo dell’anestesia e della rianimazione erano meno del 10% e ad alcuni congressi internazionali il numero delle relatrici era inferiore al 5%.
Ciò significa che le modalità lavorative sono dettate da comitati principalmente costituiti da uomini, a fronte di una cura a letto del malato fornita da medici o infermieri che sono principalmente donne. Ma perché si è giunti a un gap così importante in questo settore della medicina? Cosa fare? Una prima risposta nasce da iWin, The International Women in Intensive and Critical Care Network. La terza edizione di iWin si svolge oggi e domani a Catania. E’ possibile iscriversi all’evento su www.iwinideal.com. La conferenza prevede gruppi di studio e tavoli tecnici, composti da piccoli team selezionati, per l’elaborazione di semplici e fattibili progetti. Il documento riassuntivo del congresso verrà proposto poi a riviste scientifiche per la pubblicazione.