Inchiesta

Sanità: investimenti e personale “sacrificati”, ecco perché il malato è diventato incurabile

La Corte dei conti rileva che l’Italia in campo sanitario continua a spendere meno dei partner europei, pur garantendo una significativa efficienza nel confronto. Questo importante risultato però non basta e non ci consola ma soprattutto non ci impedisce di ammettere che nel nostro Paese il sistema salute vive oggi una crisi profonda: alle carenze strutturali già note si aggiungono la mancanza di personale e un’assistenza territoriale che ancora è solo pura teoria.

La magistratura contabile ha provato ad offrire una chiave di lettura di questa crisi che affonda le sue radici su investimenti e personali, due aspetti “che sono stati sacrificati” (queste le parole usate dai giudici) innescando una spirale da cui sembra non si riesca più ad uscire: tra il 2008 e il 2019, la Sanità ha visto un taglio agli investimenti sanitari del 37,8%, parliamo di quattro miliardi di euro in meno. Nel 2021 gli investimenti sono tornati a salire del 66% rispetto al 2019 (+1,6 miliardi) ma i giudici insistono su un “volume insufficiente di risorse assegnate”.


Nello stesso arco di tempo, anche la spesa per il lavoro dipendente ha subito tagli (-3%): “Dal lato dei costi – si legge nel report della Corte dei conti sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali Esercizi 2020-2021 – (…) è stata riscontrata una maggiore incidenza della spesa relativa alle prestazioni sanitarie e sociosanitarie di carattere interinale rispetto a quella affrontata per il personale. Nell’esercizio 2020, infatti, per il raggruppamento delle Regioni in piano di rientro, l’incidenza della spesa emergenziale della voce ‘Consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie’ rispetto a quella totale dell’esercizio, è complessivamente pari a circa il 19%, oltre al 50% per il Molise, quasi il 32% per la Regione siciliana, circa il 29% per la Puglia, il 26% per l’Abruzzo e per la Calabria”.

Da ciò si deduce che l’esternalizzazione di prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie acquistate come servizi sanitari che ci riporta allo scandalo dei medici a gettone “arruolati” dagli ospedali attraverso cooperative rispetto al quale il ministro della Salute Orazio Schillaci ha annunciato “provvedimenti urgenti e straordinari”, in realtà affonda le sue radici nell’emergenza pandemica.
La spesa sanitaria, tra il 2020 e il 2022 è cresciuta mediamente del 5%. Spendere di più non significa necessariamente spendere meglio ed effettivamente la percezione è quella di una sanità uscita “viva” dall’emergenza pandemica ma con le ossa rotte.

Eppure proprio il Covid-19 avrebbe dovuto insegnarci l’importanza di un sistema sanitario efficiente e “in buona salute” al fine di tutelare i cittadini da crisi pandemiche come quella che ci ha colto di sorpresa e che con grande affanno stiamo provando a lasciarci alle spalle. La lezione non l’abbiamo imparata, evidentemente, e dal mondo della Sanità arrivano quotidianamente segnali che lasciano intendere che siamo di fronte a qualcosa di molto più grave di semplici “criticità” da risolvere: dalle aggressioni ai medici alla carenza di personale sanitario.

Ma c’è un altro aspetto altrettanto drammatico, forse meno “mediatico”, che è quello dei debiti che ammontano a 42,6 miliardi di euro, di cui circa 17 sono verso i fornitori che pesano per il 40% sul totale: “Osservando la composizione delle singole voci che compongono la macrovoce ‘Debiti’ – si legge nel documento della Corte dei Conti – la voce ‘Debiti verso fornitori’è quella di maggior valore, con 17.064,45 mln nel 2020 ed un peso sul totale pari al 40%”.
“Anche per i debiti verso i fornitori – prosegue il report – si registra un trend in diminuzione fino al 2019, con una riduzione complessiva, nel biennio 2018-2019, pari 6,25%, che, tuttavia, si interrompe nel 2020 quando la voce cresce del 4,77% rispetto al 2019”.

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