Significative differenze nella trasparenza e accessibilità delle informazioni sui tempi di attesa per le prestazioni sanitarie tra le regioni italiane. Questo quanto evidenziato da uno studio della Fondazione Gimbe, organizzazione indipendente che dal 1996 si occupa di salute pubblica, sanità, ricerca e formazione a livello nazionale.
A essere promosse soltanto cinque regioni e una provincia autonoma: Puglia, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e la Provincia autonoma di Bolzano. Diverse regioni del Sud, tra cui proprio la Sicilia, non soddisfano affatto i criteri richiesti. La crisi dei tempi di attesa aggrava la disuguaglianza nell’accesso alle cure e, secondo Gimbe, le soluzioni fin qui adottate dalla Regione non hanno ancora prodotto i benefici sperati.
“I tempi di attesa – dichiara Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe – sono oggi il sintomo più grave ed evidente della crisi organizzativa e professionale del Servizio sanitario nazionale”, che “crea pesanti disagi per i pazienti, peggiora gli esiti di salute” e, in aggiunta, “fa lievitare la spesa privata”.
Intanto, sul medesimo tema, è pronta la bozza del decreto attuativo del dl Liste d’attesa, in cui vengono fissate le linee guida per la costruzione della Piattaforma nazionale liste di attesa (Pnla), che servirà appunto a monitorare il rispetto dei tempi di attesa per le prestazioni sanitarie.
Tra le misure adottata con l’entrata in vigore della legge, anche l’istituzione di un organismo di verifica e controllo sull’assistenza sanitaria che avrà la facoltà di valutare l’attività delle singole strutture sanitarie, anche avvalendosi dei Nas.
Le Regioni manterranno la responsabilità del rispetto dell’efficienza di erogazioni dei servizi sanitari. Entro il primo ottobre la Sicilia – come le altre Regioni – dovrà istituire una Unità dedicata che dovrà individuare entro 90 giorni un Responsabile unico regionale per l’assistenza sanitaria (Ruas).
Lo studio della Fondazione Gimbe rileva che l’Isola non rispetta i criteri di trasparenza per le liste d’attesa sanitarie. Le informazioni sui tempi di attesa non sono facilmente accessibili né aggiornate in modo adeguato, evidenziando una situazione critica per la gestione della sanità pubblica, travolta anche da recenti scandali con al centro alcune figure di spicco dei principali ospedali siciliani coinvolti in un giro di favoritismi. Secondo Gimbe, questa mancanza di trasparenza contribuisce a creare disuguaglianze nell’accesso alle cure, peggiorando ulteriormente i tempi di attesa per le prestazioni sanitarie nella regione.
Il caso della Sicilia risulta essere emblematico. Proprio come la Puglia, anche la Sicilia dispone di un sistema di monitoraggio generale. Il problema è che quel sistema non è aggiornato e non consente dunque di elaborare dati certi nel merito. Proprio come avviene per Abruzzo, Friuli Venezia Giulia e Provincia autonoma di Trento. Basilicata, Campania e Lombardia sono invece state escluse dal monitoraggio della Fondazione perché non dispongono di un portale unico con i dati ex ante, ma rimandano ai siti delle singole Aziende sanitarie.
La sanità pubblica in Sicilia si trova in una fase critica, con le liste d’attesa che continuano a rappresentare un ostacolo significativo per i cittadini in cerca di cure. Un tema affrontato anche a palazzo d’Orleans, dove si è tentato di concedere vincoli più stringenti ai nuovi direttori sanitari delle Asp della Regione. Come confermato anche dal presidente Schifani, chi non rispetterà i criteri e/o raggiungerà gli obiettivi, sarà costretto alle dimissioni.
Nel frattempo, però, i pazienti in tutta la regione segnalano ritardi considerevoli per esami diagnostici, visite specialistiche e interventi chirurgici. Le tempistiche, spesso insostenibili, rischiano di mettere a repentaglio la salute di chi ha bisogno di assistenza tempestiva. Questo problema è amplificato dalla carenza cronica di personale medico e dalle strutture sanitarie in difficoltà, soprattutto nelle aree periferiche.
Emblematico è il caso della provincia di Messina. Nella città dello Stretto sono rimasti chiusi in contemporanea il pronto soccorso dell’ospedale Piemonte (che ha riaperto solo il 23 settembre dopo 10 giorni, ndr) e quello dell’ospedale Policlinico (che ha riaperto ma è stato costretto a richiudere a causa di lavori non eseguiti a dovere, ndr) con un surplus emergenziale che è stato dunque smistato al pronto soccorso dell’ospedale Papardo, di fatto l’unico disponibile per una città da oltre 220 mila abitanti.
Non va meglio alla provincia. Sul versante ionico, il “Sirina” di Taormina è costretto a lottare con cadenza annuale per evitare la chiusura di un reparto di eccellenza per l’Isola come quello della cardiochirurgia pediatrica. Spostandoci lato Palermo, il “Fogliani” di Milazzo resta sotto assedio di un territorio troppo vasto per far sì che un unico ospedale possa risultare sufficiente nella gestione delle emergenze. Questo perché il pronto soccorso dell’ospedale “Cutroni – Zodda” di Barcellona Pozzo di Gotto, dopo lo scandalo che ha travolto il nosocomio durante il periodo Covid, non è più tornato pienamente operativo.
Nessun dirigente è stato infatti reperito dall’Asp messinese – come confermato dallo stesso direttore generale, Giuseppe Cuccì. Dunque, nessuna riapertura, neppure parziale, del pronto soccorso locale. “Per i pronto soccorso è prevista come specializzazione l’emergenza-urgenza, che va spesso deserta e con pochi posti occupati. I partecipanti provengono dalle discipline mediche o chirurgiche e, in questo caso, le Scuole di specializzazione non concedono l’autorizzazione”.
A proposito del Policlinico di Messina, è ancora il sindacato Nursind a lanciare un nuovo allarme. Sotto la lente dei riflettori la solita carenza di operatori sanitari, numericamente incapaci di garantire una corretta assistenza ai pazienti. Temi che avevano spinto proprio il sindacato a scendere in piazza per chiedere alla Regione lo stanziamento di fondi sufficienti per contravvenire ai tagli imposti dal governo centrale (200 milioni di euro per la Sicilia, ndr).
Adesso, scrive il Nursind in una nota a firma del segretario territoriale Ivan Alonge, del segretario aziendale Massimo Latella e dei rappresentanti sindacali aziendali, “la nota dello scorso 13 settembre prevede l’incremento di posti letto nelle Unità operative di Pneumologia e Chirurgia vascolare, e nello specifico 4 posti letto aggiuntivi in Pneumologia e 6 posti letto aggiuntivi in Chirurgia vascolare, di cui 3 dedicati al “piede diabetico” e 3 posti ordinari. Inoltre si aggiungono ulteriori sale operatorie per Ortopedia e Odontoiatria. Siamo perplessi e sgomenti di fronte a tali decisioni che gravano sul personale, già insufficiente per i pazienti attualmente ricoverati, che si troverà a dover garantire assistenza nonostante un aumento esponenziale del rischio clinico”.
Per il sindacato siamo di “fronte di una gravissima carenza di personale infermieristico e la quasi assenza di operatori sociosanitari, soprattutto nei turni notturni e festivi in reparti quali Ortopedia, Terapia intensiva neonatale, Pneumologia, Chirurgia d’urgenza, Epatologia, Ematologia, Urologia, Nefrologia, Oncologia chirurgica e Chirurgia toracica. Abbiamo purtroppo constatato che, nonostante l’aumento dei posti letto e dei reparti, non sono previste nuove assunzioni. Dopo aver dichiarato lo stato di agitazione sin da giugno e non essendo mai stati convocati dal Prefetto per una possibile conciliazione, proclameremo uno sciopero con manifestazione nel prossimo mese di ottobre”.
La situazione della sanità risulta al momento compromessa in tutta la Sicilia, come raccontato nel corso dell’ultimo anno in una serie di inchieste pubblicate proprio dal Quotidiano di Sicilia (LINK). La spinta sembra propendere nella direzione di una ampia e generale privatizzazione del sistema, come dimostra l’ultima decisione riguardante lo smaltimento proprio delle liste d’attesa per tramite delle strutture private convenzionate. Ergo: quelle pubbliche sono al collasso e la Regione ne è a conoscenza.
La causa dei ritardi cronici nelle liste d’attesa è possibile ritrovarla ancora nella pandemia di Covid-19. Durante l’emergenza sanitaria, gran parte delle risorse straordinarie a disposizione sono state destinate alla gestione dell’infezione e alla cura dei pazienti colpiti dal virus, lasciando in secondo piano la gestione delle patologie croniche e delle procedure diagnostiche non urgenti. Molti pazienti, infatti, sono stati costretti a rimandare interventi programmati, creando un effetto domino che ancora oggi grava sul sistema.
Un altro tema delicato resta quello dell’accessibilità. Molti siciliani, soprattutto nelle aree rurali, denunciano difficoltà a raggiungere i centri vaccinali. La rete sanitaria è spesso insufficiente per coprire le esigenze delle fasce più deboli della popolazione, come gli anziani e i malati cronici. Nonostante gli sforzi delle autorità sanitarie locali per potenziare il servizio, rimane la necessità di migliorare l’efficienza della distribuzione e della somministrazione dei vaccini.
Per affrontare il problema delle liste d’attesa, è necessario un piano strutturale che includa l’assunzione di nuovo personale, il miglioramento delle infrastrutture sanitarie e l’ottimizzazione delle risorse disponibili. Il governo regionale, insieme al Ministero della Salute, dovrebbe implementare soluzioni innovative come il ricorso a tecnologie digitali per monitorare e ridurre i tempi di attesa.
Un aspetto cruciale sarà anche l’introduzione di sistemi di telemedicina e consulti a distanza, che potrebbero alleggerire la pressione sugli ospedali e garantire assistenza a chi vive in zone isolate. Tuttavia, questo richiede investimenti importanti in infrastrutture digitali, oltre che una formazione adeguata per il personale medico e amministrativo.
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