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Sanità siciliana, il caso dell’ospedale di Bronte fa esplodere le contraddizioni del sistema

Sanità siciliana, il caso dell’ospedale di Bronte fa esplodere le contraddizioni del sistema
Katia Ceraldi durante la riunione dei sindaci a Bronte

Dalla protesta contro i tagli all’ospedale Castiglione-Prestianni emergono criticità logistiche e abbandono dei territori.

La sanità siciliana continua a mostrarsi come una macchina in affanno, sempre più lontana dai cittadini e vittima di una gestione poco lungimirante. Gli scandali sulle liste d’attesa, le inchieste, le denunce su carenze croniche e ritardi, non sono che la punta dell’iceberg di un sistema fragile. L’ultima miccia è scoppiata con la nuova proposta di riorganizzazione della rete ospedaliera regionale, e in particolare con i tagli annunciati all’ospedale Castiglione-Prestianni di Bronte.

Un piano che ha mobilitato dieci Comuni del versante nord dell’Etna e dei Nebrodi meridionali, preoccupati per una drastica riduzione dei servizi in una delle poche strutture ospedaliere accessibili. Ma dietro questa protesta si è aperta una finestra su una realtà ancora più grave: quella di territori già oggi tagliati fuori dal sistema sanitario pubblico per questioni logistiche.

Cesarò, il paese dimenticato dal sistema sanitario

Uno dei casi più emblematici è quello di Cesarò, piccolo Comune nebroideo della provincia di Messina. A soli 17 chilometri da Bronte, risulta però amministrativamente assegnato al distretto sanitario di Taormina, distante oltre 100 chilometri e quasi due ore di viaggio lungo strade impervie e poco agevoli. Una scelta amministrativa che si traduce in disagio quotidiano, disservizi, e – come ha denunciato la stessa comunità – in una sanità negata.

A raccontarlo, con parole dense di amarezza, è stata Katia Ceraldi, sindaca di Cesarò, durante il vertice dei sindaci convocato dal primo cittadino di Bronte, Pino Firrarello. “Ma come si può pensare che un residente di Cesarò debba andare a Taormina per ricevere i servizi sanitari essenziali? È ovvio che si rivolge a Bronte – ha dichiarato -. E da Bronte, grazie al suo ospedale, vite sono state salvate”.

La sindaca ha ricordato di aver chiesto sin dall’inizio del proprio mandato che Cesarò venisse integrato nel distretto di Bronte, più vicino e più coerente con le esigenze reali dei cittadini. La richiesta è rimasta inascoltata, ignorando del tutto la situazione limite di un Comune che fatica perfino a garantire la presenza di un medico di base, e che – ancora oggi – non ha un pediatra per i più piccoli.

“Siamo noi amministratori a sobbarcarci il viaggio per andare a Taormina a prendere i presidi sanitari – ha spiegato Katia Ceraldi -. A spese nostre. È una condizione indegna. Ho protestato pubblicamente con la fascia tricolore per l’assenza di un medico di base. Ma nulla è cambiato”.

San Teodoro nella stessa situazione

Cesarò, però, non è un caso isolato. A pochi chilometri, San Teodoro vive disagi analoghi, condividendo con Cesarò lo stesso isolamento. Per questo, la sindaca Ceraldi ha lanciato un appello all’intera Area interna affinché si faccia carico di una battaglia unitaria: “Chiederò a tutti i sindaci di unirsi per chiedere che Cesarò e San Teodoro vengano inseriti nel distretto sanitario di Bronte. Non possiamo continuare a vivere in una terra di nessuno, ignorata da Palermo e separata da logiche burocratiche che calpestano il diritto alla salute”.

Una sanità a due velocità

La vicenda rappresenta plasticamente le falle di un sistema regionale che, in nome della razionalizzazione, finisce per creare una sanità a due – o forse tre – velocità. Da un lato le aree urbane e costiere, meglio servite; dall’altro, i territori montani e interni, sempre più marginalizzati e condannati all’abbandono. La proposta di tagliare ulteriormente i servizi a Bronte (e non solo) rischia di peggiorare ulteriormente la situazione, colpendo anche chi – come Cesarò – già oggi sopravvive grazie a quei pochi chilometri che lo separano dal presidio Castiglione-Prestianni.

Il caso Bronte, dunque, ha fatto da detonatore a un malcontento più ampio. La battaglia per la sanità pubblica, da Bronte a Cesarò, è appena cominciata. Ma da questi paesi dimenticati sale ora una voce chiara: “Non possiamo più aspettare. La salute è un diritto, non un favore concesso dalla geografia”.