Negli Stati Uniti è tempo dello "sciopero degli scrittori": ecco perché questo fenomeno preoccupa le autorità.
In America c’è un grande sciopero che preoccupa il sistema: è quello della Writers Association, il sindacato degli sceneggiatori del cinema, della TV e delle piattaforme. Perché la preoccupazione, direte voi? Perché nel mainstream globale la realtà viene governata non per quella che è, ma per come viene raccontata.
Guerre, pandemie, politiche economiche, fatti sociali, orientamenti politici vengono fortemente influenzati dai media. Vengono orientati non i fatti, ma la percezione di essi. Per cui la criminalità diventa “Gomorra” o “Narcos”, la politica “House of Cards” o “Diplomat”, per quanto riguardano guerre e pestilenze i cinema sono pieni di film anticipatori della realtà.
Lo scrittore diventa, nel mondo delle Major, influencer, e vuole una giusta retribuzione connessa al suo ruolo di “addomesticatore” del gregge mondiale. Non vuole stare come gli altri meno pregiati workers, come un pollo in batteria con la luce accesa. Se non ci fossimo noi magari le pecore si risvegliano e per chi è al potere, più multinazionali e fondi sovrani che Stati, e non rispondono più ai conducenti. Il sonno delle coscienze è fondamentale per un giusto andamento globale, e se la realtà non collima basta renderla distopica. A questo servono i narratori, il loro non è più il ruolo degli Zola di “J’accuse”, o dei Tolstoj, un ruolo di coscienza morale, a volte critica del potere. Sono la centrifuga con cui ci beviamo il beverone della realtà. Certo se i Writers americani si battessero anche per la libertà di parola e coscienza, come fece Dalton Trumbo negli anni del maccartismo, sarebbe una vera rivoluzione. Ma pecunia non olet, e un accordo al ribasso si troverà. “The Show must go on”.
Così è se vi pare.