La scuola crolla se non si premia il merito. Ue, i Paesi virtuosi esistono: copiamoli - QdS

La scuola crolla se non si premia il merito. Ue, i Paesi virtuosi esistono: copiamoli

La scuola crolla se non si premia il merito. Ue, i Paesi virtuosi esistono: copiamoli

Adriano Zuccaro e Patrizia Penna  |
venerdì 27 Ottobre 2023

In Lettonia e Finlandia stipendi tarati su carico lavoro e rendimento. In Danimarca incide anche la componente territoriale

“Il sistema scolastico italiano non premia il merito degli insegnanti”. Una frase che abbiamo sentito pronunciare spesso, non solo agli addetti ai lavori, e a cui in più occasioni hanno fatto seguito promesse e auspici della politica: puntualmente caduti nel vuoto.

Il nostro Paese ha stabilito aumenti di salario automatici e basati sull’anzianità del docente, pochissimi margini per aumenti e bonus accessori che di solito derivano da prestazioni erogate per la scuola in orario pomeridiano e sulla base di progetti specifici.

“Appiattimento” verso il basso degli insegnanti

La tendenza ad un “appiattimento” verso il basso degli insegnanti che non guarda al merito, che non contempla meccanismi premiali per i docenti più capaci ma che piuttosto tende a trattare bravi e meno bravi alla stessa maniera, non è (per fortuna) la prassi in tutta l’Unione europea. A dircelo è il report della Commissione europea (Teachers’ and school heads salaries and allowances) e da cui emerge che alcuni Paesi adottano un sistema diverso e, in alcuni casi, guardarci attorno potrebbe essere un’occasione per trarre ispirazione dai modelli più virtuosi e possibilmente porre dei correttivi alle “storture” della scuola italiana.

Il sistema adottato in Lettonia

Emblematico, in tal senso, è il sistema adottato in Lettonia: i regolamenti ufficiali definiscono solo il salario minimo per una settimana lavorativa di 30 ore. I capi di istituto decidono sugli stipendi degli insegnanti che dipendono dal carico di lavoro, dal rendimento e dal budget della scuola. In Svezia, gli stipendi di base sono regolati sulla base di contratti collettivi, poi vi sono margini fissati individualmente.
Interessante anche l’aspetto territoriale che viene tenuto in considerazione, ad esempio, in Estonia e in Danimarca. In quest’ultimo Paese nei contratti collettivi, parte delle retribuzioni statutarie devono essere decise a livello locale. Un provvedimento che se introdotto in Italia aiuterebbe, ad esempio, gli insegnanti che lavorano al Nord a stare al passo con il costo della vita più alto rispetto a quello del Sud Italia.

In generale, nell’Ue i pagamenti aggiuntivi si riferiscono a bonus e indennità che possono essere concesse agli insegnanti in aggiunta al loro stipendio base, fissate in base ai loro titoli di studio ed alla loro esperienza. Lo stipendio medio effettivo è influenzato dal quadro legislativo che regola il reclutamento degli insegnanti al livello iniziale e il loro sviluppo di carriera. Gli stipendi degli insegnanti, in genere, aumentano con l’esperienza professionale, e quindi l’età del personale docente di un Paese finisce per essere un fattore determinante.

C’è infine una considerazione molto interessante nel report della Commissione europea sulla quale sarebbe opportuno riflettere alla luce di alcune considerazioni che riporta il documento stesso: “Sebbene gli stipendi iniziali siano un fattore importante per attrarre nuovi insegnanti, non sono l’unico fattore da considerare. Aumenti salariali significativi lungo tutta la carriera possono contribuire, anche se di piccola entità, alla fidelizzazione degli insegnanti. Gli aumenti che richiedono una significativa anzianità di servizio possono avere un effetto dannoso sull’attrazione e trattenere gli insegnanti. Al contrario, se gli stipendi aumentano rapidamente, non necessariamente uno stipendio iniziale basso deve essere un disincentivo economico a diventare insegnante”.

Bacchettata dall’Ue: “Modesto incremento delle retribuzioni nel corso della carriera”

Gli insegnanti italiani hanno perso in sette anni l’8% del proprio stipendio. Lo certifica la Commissione europea che ha elaborato le retribuzioni dei docenti dei vari Paesi europei verificandone la variazione percentuale tra il 2014/2015 e il 2021/2022 (a prezzi costanti).
Gli stipendi nel 2021/2022 sono stati divisi per l’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) per adeguarsi agli effetti dell’inflazione dei prezzi nei sei anni precedenti. In pratica, gli aumenti (quando sono stati erogati) non hanno retto minimamente l’inflazione dei prezzi.

Il salario effettivo lordo annuo medio degli insegnanti in Italia di età compresa tra 25 e 64 anni nelle scuole pubbliche nell’anno 2021/2022 era pari a 33.036 euro. In Danimarca la cifra è pari a 78.164 euro e in sette anni i colleghi “nordici” hanno visto un aumento pari al 14%. I salari sono rimasti stabili (aumento inferiore al 3%) in Francia, Polonia e Slovenia. C’è un aumento moderato (tra il 3% e il 30%) in 11 sistemi educativi.
L’aumento risulta maggiore (più del 30%) in altri quattro sistemi educativi: Bulgaria, Lettonia, Lituania e Serbia. In Bulgaria gli stipendi sono più che raddoppiati (116,1 %) e in alcuni casi in Lituania si arriva al 144,7 %.

Tuttavia, in nove Paesi, gli stipendi iniziali annuali legali degli insegnanti sono diminuiti rispetto al 2014/2015: Belgio (tutte le comunità), Grecia, Spagna, Italia, Cipro, Portogallo, Finlandia, Norvegia e Turchia. In altri tre il calo è limitato ad alcuni livelli di istruzione.

I bonus legati al raggiungimento degli obiettivi in Italia una chimera

Nella maggior parte dei sistemi educativi, le variazioni degli stipendi legali tra il 2014/2015 e il 2021/2022 sono più o meno gli stessi tra i livelli di istruzione. Tuttavia, in tre Paesi (in Repubblica Ceca, Lettonia e Lituania) gli insegnanti dell’istruzione preprimaria hanno beneficiato di un aumento percentuale più elevato rispetto agli insegnanti di altri livelli di istruzione. Da sottolineare che gli incrementi nel nostro Paese sono legati all’anzianità di servizio mentre i tanto discussi bonus legati al raggiungimento di obiettivi e al merito che sono una realtà consolidata in alcuni Paesi europei, in Italia continuano ad essere ancora una chimera.

Il confronto effettuato dividendo il salario lordo per l’indice del livello dei prezzi per la spesa finale delle famiglie, che potremmo sintetizzare con l’espressione “costo della vita”, non aiuta a risalire la classifica. Nel nostro Paese, infatti, il salario pari a 33.036 euro annui si scontra col citato indice che è quasi perfettamente in linea con la media europea portando dunque il cittadino a spendere molto di più in affitti, trasporti, cibo di quanto non si faccia, ad esempio, in molti Paesi dell’Est.
Avviene così che il Portogallo, con uno stipendio medio leggermente più basso di quello registrato in Italia, godendo di un costo della vita più basso, riesca a scavalcare l’Italia; nella piccola Cipro addirittura lo stipendio è pari a quasi 48 mila euro e il potere d’acquisto è maggiore.

L’Europa certifica il modesto incremento retributivo

Ad aggravare il quadro italiano il fatto che non solo l’Europa certifica il “modesto incremento retributivo nel corso della carriera”, ma anche che il “massimo stipendio è raggiunto dopo un lungo periodo di tempo”. In molti sistemi educativi, gli insegnanti necessitano di un’anzianità di servizio significativa (almeno 32 anni) per raggiungere questo obiettivo e incrementi salariali modesti (meno del 60%). L’incremento percentuale al vertice della carriera oscilla tra il 16% in Serbia e il 49% in Italia.

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