Pezzi di Pizzo

Scusi che ora è

Ero accoccolato ad ascoltare il fritto, e non il mare, ad un bancone di bar, con aria colpevole, accanto al carcere minorile del Malaspina.

Mentre ero nel mio senso del peccato, davanti ad un calzone fritto mignon, per pudore da reflusso, vengo apostrofato da un tizio.

  • Scusi mister che ora è? Erano anni, decenni, che non sentivo più questa frase, e non perché non si possa possedere, o portare, un orologio, a volte nemmeno io ne porto, ma perché abbiamo in Italia ormai 70 mln di cellulari su meno di 60 mln di abitanti. E lì l’ora la vedi. Costui evidentemente non ne era dotato. Lo guardo, a questo punto, incuriosito. Più o meno coetaneo, cinquantenne avanzato, capelli lunghi e non lavati di fresco, abbigliamento che potremmo definire dimesso, una sigaretta all’angolo della bocca. Costui non aveva, in quel momento, alcuna cognizione del tempo, si era preso un caffè continuando a fumare la sua sigaretta, e mi guardava come un pezzente, colpevole di fritto per giunta, che ero tenuto a tenere conto dello scorrere del tempo, mentre lui ne era padrone, perché, fondamentalmente se ne fo*****. Del tempo e degli altri, visto che non aveva un maledetto cellulare, lui era un uomo libero, un fuori tempo, non proprio un fuoriclasse, ma ricco di un lusso per pochi. Il tempo.

Ci sono professionisti, manager, ricercatori, che sarebbero qualunque cifra per comprarsi il tempo libero, loro parlano di tempo di qualità, per paludare il fatto che, non rinunciando alla schiavitù del lavoro, la quantità gli è preclusa. L’uomo della sigaretta laterale invece di tempo ne aveva, assai. Chissà quale sarà stata la sua vita, il suo percorso filosofico, quali approfondimenti e tormenti avrà provato per arrivare a questo grado di atarassia, e quindi di libertà. Gli comunico, quasi con vergogna, guardando l’orologio da walking comprato in un noto centro commerciale sportivo, l’orario e lui guardandomi con pietosa accondiscendenza mi ringrazia. La edotta cassiera, dall’esperienza psicologica di massa, mi sussurra mentre pago il mio conto.

  • Sta aspettando l’orario delle visite del carcere, vuole vedere suo figlio che è dentro. Lui è uscito da poco, si è fatto 15 anni.

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Rifletto che ormai il tempo non si ferma, accelera e si impadronisce di noi con il suo ritmo, a volte, spesso, insostenibile. Cronos, il Tempo, mangia i suoi figli, che è la metafora della nostra caducità mortale, terribilmente rappresentata nel dipinto di Francisco Goya. Forse solo in certe parti dell’Africa ed in carcere non si è schiavi di Cronos.

Così è se vi pare