L'amministratore delegato Credito Valtellinese dialoga con il direttore Carlo Alberto Tregua. Una banca ben radicata nel territorio deve favorirne lo sviluppo
Milano – Lei è amministratore delegato di una realtà bancaria come il Credito valtellinese, che sta ottenendo ottime performance: un dato su tutti quello dell’utile netto, passato da 31,7 a 56,2 milioni di euro, in aumento di ben il 77 per cento rispetto al 2018. Tuttavia, vi dovete barcamenare in una situazione economica non proprio favorevole, soprattutto al Sud. La Sicilia, per esempio, ha un Pil in decrescita e i vostri risultati hanno qualcosa di miracoloso, in una regione oltretutto caratterizzata da una forte fuga di giovani. Come vede la situazione da qui ai prossimi tre anni?
“Faccio una premessa: io sono rientrato in Italia da poco più di un anno. Prima ho lavorato e vissuto per vent’anni in Polonia. Trovo interessante vedere le differenze tra un Paese che qualcuno definisce ‘emergente’, ma in grado, a differenza dell’Italia, di spendere ben il 95 per cento dei Fondi europei, e il nostro, già ampiamente industrializzato. Credo che da noi ci sia un problema di fondo che risiede negli scarsi investimenti nella formazione, la quale genera le competenze, che a loro volta sono l’elemento fondamentale per competere sul mercato internazionale. L’errore grosso che stiamo commettendo è il non essere capaci di formare con sufficiente attenzione la classe dirigente, lacuna che porta inevitabilmente a quella che comunemente chiamiamo ‘fuga di cervelli’. Nel periodo che ho trascorso in Polonia ho potuto verificare che molti giovani puntano a conseguire una laurea. E quando intraprendono un percorso di studi per acquisire una determinata competenza non accettando un incarico se non si sentono pronti. Da noi, viceversa, molti si sentono liberi di poter fare tutto, qualsiasi sia la competenza acquisita attraverso la formazione. Un altro elemento che considero importante è l’aspirazione: l’avere un sogno da realizzare. Se tu non ti poni un obiettivo, non troverai mai le vie che ti consentiranno di superare eventuali ostacoli. Però per poter ‘trasmettere’ delle aspirazioni a qualcuno, devi avere dei modelli positivi da proporre: per fortuna l’Italia, il Sud, la Sicilia, ne hanno diversi”.
Tuttavia i soldi sono stanziati e non si è in grado di spenderli…
“Il problema sta in un’eccessiva burocrazia. È chiaro che se si prende una decisione e dopo tre anni al tuo posto arriva un altro che critica tutto ciò che hai fatto, diventa più facile non assumere una posizione. La soluzione potrebbe essere quella di emanare leggi chiare per cui, se sono soddisfatte le condizioni indicate dalle stesse, non sei sanzionabile. Ma oggi in cui tutto è aleatorio e la burocrazia è fortissima, che vantaggio ha un amministratore pubblico ad apporre una firma e assumersi il rischio di sbloccare qualcosa che, poi, qualcun altro potrebbe criticare?”.
Quali strategie intende perseguire il Credito Valtellinese per mantenere e, magari migliorare ulteriormente, questi risultati?
“Semplice: noi crediamo fortemente che la banca debba fare la banca in senso tradizionale. Non ci sono altre ricette. E per essere ‘giusta’ una banca deve essere ‘commerciale’, non ‘finanziaria’. E Creval, realtà con forti tradizioni regionali e locali, lo è, rispettando peraltro la mission dei padri fondatori. Una banca ben radicata sul territorio capisce subito il cliente che gli sta di fronte, perché parla lo stesso linguaggio, ne comprende gli usi e i costumi. Le banche che sono molti forti sul territorio e con una governance molto attenta hanno un vantaggio enorme”.
Il 2019 è stato un anno importante, non solo in termini di utile. Attualmente Creval che posizione occupa nel panorama bancario italiano?
“A livello nazionale siamo tra le prime 15 banche. Un risultato raggiunto grazie a una policy di attenzione verso territori come la Sicilia, dove come numero di sportelli siamo addirittura il terzo istituto, o la Valtellina. Tutte realtà in possesso di un’imprenditoria che ancora ragiona in un certo modo e dove ci presentiamo con la voglia di ascoltare e di aiutare a sviluppare i business delle piccole e medie imprese locali. All’imprenditore-cliente, in sostanza, diciamo: crediamo in quello che stai facendo; ti diamo un feedback, sia esso positivo o negativo, cercando di farlo il più velocemente possibile e, anche di fronte a un ‘no’, te ne spieghiamo le ragioni. Il Credito Valtellinese ha una mentalità ‘clientocentrica’. E che sia vincente questa filosofia lo dimostrano i risultati. L’aumento, nel corso del 2019, trimestre dopo trimestre, della clientela retail. Certamente è una mission che richiede molto impegno, ma che è anche la leva del nostro successo. Un’attenzione alle singole realtà che si traduce anche nella concezione di un preciso modello organizzativo: quello applicato a Catania non deve necessariamente essere uguale a Sondrio o a Milano. Ogni territorio ha le proprie peculiarità. Però tutti i componenti dell’universo Creval hanno un elemento che li accomuna: i valori”.
Ci spiega meglio la differenza fra banca commerciale e banca finanziaria?
“È molto semplice. Prendiamo, per esempio, i cosiddetti Tltro, cioè quei fondi della Banca centrale europea mirati a sostenere le realtà che erogano prestiti a imprese e famiglie. Alcuni istituti di credito, con questi soldi, invece hanno acquistato titoli governativi o li hanno convogliati solamente verso le grandi aziende. Ecco, queste operazioni caratterizzano la cosiddetta banca finanziaria, che punta a fare grandi volumi e che ha all’attivo più titoli che crediti ai clienti. Ma questo non è ciò che intendo io quando dico che la banca deve fare la banca. Anche se, ovviamente, è un modo di agire che richiede uno sforzo maggiore”.
E in questo modo è più facile produrre utili?
“Direi di sì, anche perché è un metodo più veloce. Il problema sta proprio nei tempi a volte: se io faccio crescere una pianta, la annaffio tutti i giorni con pazienza, è chiaro che finché non vedrò la prima fogliolina sarò più preoccupato. Se, al contrario, compro un albero e lo pianto, ma senza radici, avrò un prodotto sicuramente più bello a vedersi ma che si ‘brucerà’ dopo tre-quattro giorni. La banca sostenibile mette in cascina ogni giorno un credito nuovo a un cliente e un risparmio nuovo da un altro. Dopo che, con pazienza, ne ha dieci, poi venti, poi trenta, anche se uno te lo portano via, il che è fisiologico, rimangono comunque tutti gli altri. Se, viceversa, punti a un solo grande cliente, con un volume che magari supera pure di molto la somma di tutti i piccoli, cosa succede se poi se ne va? Da qui l’importanza del radicamento sul territorio, con operazioni anche di piccole dimensioni che ti fanno crescere giorno per giorno. Ma per fare questo conta molto l’atteggiamento: devi essere soddisfatto per quello che fai, non per il ruolo che rivesti”.
Dunque lavorare lentamente, ma in prospettiva…
“Certo. Ma per farlo ci vogliono passione, rispetto e, soprattutto, il fattore che citavo prima: i valori. Che sono l’elemento, in un mondo che cambia in continuazione, che ti tiene ben ancorato al terreno. Senza i valori vieni trascinato dalla corrente o dal vento forte, e perdi di vista l’obiettivo. Le racconto un aneddoto: prima di entrare in Creval, come dicevo poc’anzi, ho lavorato in Polonia. La banca che guidavo, come tutte, erogava finanziamenti a chi desiderasse acquistare una casa. All’epoca i prodotti proposti alla clientela prevedevano la possibilità di prendere a prestito sia in zloty, la moneta locale, che in franchi svizzeri. L’opportunità pareva interessante: mentre lo zloty ‘costava’ dieci, la valuta elvetica aveva un onere pari a tre, un terzo in meno. Così molte banche decisero di indirizzare la clientela verso il franco. Tutti, tranne Bank Pekao, una realtà di 18 mila dipendenti, con oltre mille filiali e che aveva una quota di mercato di circa il venti per cento. Ricordo che venivano colleghi a chiedermi: ma perché voi non lo fate? La risposta che davo era semplice: non è etico. Non era sicuro che colui al quale veniva erogato un finanziamento in franchi svizzeri, magari un minatore della Slesia o un operaio di Lublino, potesse avere ben compreso il fattore rischio. Qualcuno capiva, qualcun altro no. Se non che accadde che nel 2012 la Banca Centrale Svizzera rinunciò alla sua politica di difesa del tasso di cambio con l’euro, così il cambio delle zloty con il franco svizzero peggiorò decisamente e i privati si trovarono il mutuo aumentare tantissimo. Al netto del fatto che tutti pensarono che io fossi un veggente, la mia banca ha guadagnato, tutti gli altri si sono trovati nella situazione di dover rimborsare i clienti sulla base di sentenze emesse dai Tribunali. Dunque nel medio termine Bank Pekao ha guadagnato anche più di altri istituti, e in maniera etica. Anche questo significa attenzione ad una crescita sostenibile”.