Frigeri, presidente del Centro Studi di Politica Internazionale: “Ma al Sud si parte svantaggiati”. In Italia ci sono 77.541 cinesi e 75.801 rumeni che hanno deciso di investire nel Belpaese
ROMA – L’imprenditoria migrante può dare linfa vitale all’artigianato italiano. “Il nostro Paese, in questo settore, ha molte eccellenze e una lunga tradizione ma sempre meno giovani decidono lavorare in questo comparto”, dice Daniele Frigeri, presidente del CeSPI (Centro Studi di Politica Internazionale) e dell’Osservatorio nazionale sull’inclusione finanziaria dei migranti.
“Qui il passaggio di competenze e avvio di piccole attività imprenditoriali può essere importante”. In Italia il settore con più imprenditori nati all’estero è il commercio, con 235 mila (31,0% del totale), seguono servizi e costruzioni, rispettivamente col 24,2% e il 22,4% del totale.
La Sicilia è la quartultima regione per “incidenza” di imprenditori stranieri con il 6,2% (10,1% la media nazionale). Pochi incentivi al Sud?
“Va fatta una premessa rispetto al tema, che segue naturalmente quelle che sono le dinamiche territoriali. Sappiamo che l’Italia meridionale ha un tasso di sviluppo inferiore sia dal punto di vista finanziario che economico. Di conseguenza, l’imprenditoria migrante risente del contesto in cui si trova”.
Tra le prime dieci province italiane non ci sono siciliane. Scarsa inclusione finanziaria al Sud?
“In Sicilia e, in generale al Sud Italia, si parte svantaggiati. In questo contesto è chiaro che l’accesso al credito, soprattutto per le startup, è decisivo. Ci sono meno risorse e questo rappresenta un fattore importante. Il secondo elemento riguarda il tessuto a supporto dello sviluppo dell’imprenditoria: dalla formazione al mentoring, a tutti i servizi di supporto delle associazioni di categoria. Anche qui il Sud vede un livello più basso e deficitario. Il terzo elemento è rappresentato dal tipo di migrazione, se è transitoria o stabile, e l’impiego tipico delle diverse comunità presenti. I filippini, per esempio, hanno un tasso di imprenditorialità inferiore rispetto ai rumeni”.
La provincia siciliana con la più alta percentuale di imprenditori stranieri è Agrigento (8,1%), seguono: Messina e Ragusa (7%), Palermo (6,4%), Trapani (5,9%), Siracusa (5,6%), Caltanissetta (5,3%), Catania (5,1%) ed Enna (5%). In che modo si può cambiare passo?
“Le percentuali andrebbero incrociate con il peso degli stranieri su popolazione locale per vedere se effettivamente sono sottorapresentati nella comunità imprenditoriale. In generale serve: maggiore consapevolezza delle potenzialità dell’imprenditoria migrante, maggior dialogo sul territorio con comunità migranti coinvolgendo associazioni di categoria per aprire su quali settori investire in un coi volgarmente degli stranieri e non esclusivamente usarli come manodopera e maggiore risorse sul territorio dalla formazione alla disponibilità di fondi per lo startup”.
A livello nazionale, i primi due Paesi per numero di imprenditori sono Cina (77.541) e Romania (75.801). Nell’ultimo anno le comunità con gli aumenti più significativi sono state Albania (+7,4%), Egitto (+3,9%) e Pakistan (+3,5%). Cosa aspettarsi nei prossimi mesi.
“Anche l’imprenditoria segue gli andamenti della migrazione nel territorio italiano. In questi ultimi anni sono aumentate le comunità indiane, pakistane e bengalesi. È chiaro che è un fenomeno in continua evoluzione. Nell’ultimo triennio abbiamo dovuto affrontare pandemia e guerra tra Russia e Ucraina, con i prezzi delle materie prime che hanno modificato il mercato, fattore che incide soprattutto sulle micro attività imprenditoriali fragili”.