Istat: in Italia sono quasi 100 mila le persone senza tetto o senza fissa dimora, raddoppiate rispetto al precedente censimento. Un quarto si trova nella capitale, in Sicilia circa 4 mila
Si parte da un help center diocesano di qualsiasi città, si arriva sempre nello stesso punto. Nel mezzo si trova la vita delle persone che vivono per strada e ci si rende conto che tutto si risolve in una questione di scelte e di fortuna. È quello che vivono ogni sera le varie unità di strada che operano nelle città italiane per fornire sostentamento ai più sfortunati, a chi vive ai margini della nostra società. “Chi decide di stare per strada – ci spiega Marcel, 31 anni, in strada da quando ne ha 18 – deve capire che dovrà andare incontro a situazioni che non ha mai vissuto e deve essere pronto a saperle gestire in totale lucidità. Imbattersi in una rissa, prendere una coltellata, finire in galera o addirittura morire non è una cosa difficile”.
Ma quanto è ampio il fenomeno?
Sono quasi 100mila i senza tetto e le persone senza fissa dimora che vivono in Italia, per la precisione 96.197. È quanto emerge dall’ultimo censimento permanente della popolazione pubblicato a metà dicembre 2022 dall’Istat. Si tratta di un notevole aumento rispetto alla precedente rilevazione dell’istituto di statistica, risalente al 2014, secondo cui le persone in condizioni di precarietà abitativa erano la metà, circa 50mila.
Si concentrano soprattutto nelle grandi aree metropolitane
La gran parte dei senzatetto e dei senza fissa dimora si concentra soprattutto nelle grandi aree metropolitane, con notevoli divari tra una regione e l’altra. Il disagio più grande si concentra nel Lazio e in particolare a Roma, dove si contano 23.420 homeless sui 24.049 presenti in totale nella regione. Il dato della Capitale è pari dunque a un quarto di quello italiano. Proprio nei giorni scorsi due uomini sono morti a causa delle rigide temperature invernali. “Ancora in troppi rischiano di morire di freddo e di stenti in città. La strada è purtroppo ancora l’unica casa possibile per troppe persone in stato di bisogno”, ha commentato nell’occasione il Centro Astalli, sottolineando come “il 60% delle circa 250 persone che ogni giorno, in questo periodo, si rivolgono ai nostri servizi vive in strada. Si tratta di migranti, perlopiù giovani uomini”. L’età media, infatti, è di 41,6 anni: per gli italiani è più alta – 45,5 anni – mentre per gli stranieri, che rappresentano oltre il 50 per cento dei senzatetto sotto i 34 anni, scende a 35,2 anni.
Tornando alla numerosità, una presenza decisamente minore ma comunque importante si osserva nella provincia di Milano, dove i senzatetto sono 10.117 (in tutta la regione ne sono stati rilevati dall’Istat 16.346). E anche qui si assiste, ogni inverno, alla conta dei morti, strappati alla vita dal freddo di questi giorni. L’ultimo, in ordine di tempo, risale a una decina di giorni fa. “Sotto il cavalcavia ‘Mortirolo’ di via Tonale, nei pressi della Stazione Centrale, da troppi anni si sono creati una serie innumerevole di posti letto all’aperto – ha sottolineato il vice presidente della Commissione Affari Costituzionali alla Camera, Riccardo De Corato – dove dormono uomini e donne senza fissa dimora, indipendentemente dalle stagioni, con materassi buttati a terra ed una serie di rifiuti ammassati. Purtroppo, i clochard, si rifiutano di andare nei centri di accoglienza perché sono pieni di gente che delinque e verrebbero pestati e derubati dei loro pochi averi! In quei Centri nessuno fa rispettare le leggi ed ognuno è libero di fare ciò che vuole”.
Da Nord a Sud la situazione non cambia. La terza provincia italiana per numerosità di persone senza fissa dimora è Napoli, dove si concentra la quasi totalità degli individui censiti in regione: 7.247 su 7.828. Seguono nella top ten delle città con maggiore disagio abitativo Torino (6.011), Foggia (3.878), Genova (3.039), Bari (1.929), Firenze (1.463), Brescia (1.442) e Cagliari (1.365). Sopra le mille unità anche Sassari (1.265), Venezia (1.264) e Bologna (1.156).
In Sicilia il fenomeno è più contenuto
In Sicilia, nonostante la dilagante povertà eocnomica e sociale, il fenomeno appare più contenuto rispetto alle altre regioni, ma pur sempre di vasta entità. In tutta l’Isola si trovano circa 4 mila senzatetto o senza fissa dimora. La maggior parte (circa la metà) è concentrata nelle province di Trapani e Catania, dove ne sono stati censiti rispettivamente 951 e 935 persone. Seguono poi Palermo con 773 individui rilevati e Siracusa con 599.
Tra i comuni con più persone che vivono per strada spicca Marsala, dove l’Istat ne ha contati 722. Quindi, elaborando i dati Istat, possiamo affermare come la città trapanese, con poco meno di 80 mila abitanti, è quella con la più alta incidenza di senzatetto rispetto al totale dei cittadini (circa l’1%).
“Come Croce Rossa di Marsala – spiega il presidente del comitato territoriale, Silvio Bova – possiamo confermare questo numero. Con la nostra unità di strada abbiamo il polso della situazione e troviamo spesso volti nuovi a cui portiamo un pasto caldo, delle coperte e dei kit per l’igiene personale. Queste persone non hanno alcun tipo di assistenza sanitaria. Noi interveniamo per fornirgli un sostentamento, ma non in situazioni di estremo pericolo di salute. Su questo interviene il 118. La nostra unità di strada, con i nostri volontari, va ogni sera ad incontrare i senza tetto. Ci troviamo a parlare con loro e cerchiamo di capire quali sono le loro problematiche e quello che gli possiamo dare”.
Numeri enormi, dietro i quali ci sono storie di sofferenza, di perdita della dignità umana. Storie che permettono di toccare con mano l’emarginazione. Le persone che vivono stabilmente per le strade delle città italiane, però – va detto -, non sono realmente così tante. Questo perché l’Istat ha basato la sua indagine sui dati anagrafici e quindi sulle residenze fittizie che i Comuni assegnano ai clochard per fargli avere accesso ai servizi di prima necessità come l’assistenza sanitaria garantita da un medico di base o come il possesso dei documenti di identità. “Bisogna analizzare questi dati con molta attenzione – spiega al QdS il vicedirettore della Caritas catanese, Salvo Pappalardo -. A Catania ‘città’ non ci sono 693 persone in strada. Le persone in strada da noi censite sono dalle 58 alle 62. L’Istat quando riporta quei dati parla delle persone che chiedono la residenza anagrafica fittizia al comune di Catania. In molti casi si tratta di individui che hanno perso la residenza anagrafica storica originaria e vivono in dimore umili e fatiscenti come i depositi. Nel caso di Catania sono 630 le persone che vivono questa difficoltà e 60 quelle che vivono stabilmente in strada”.
Persone che senza l’aiuto delle associazioni del Terzo settore non avrebbero come sopravvivere e ogni anno la conta dei morti sarebbe decisamente più alta. Spesso il loro destino è legato all’impegno di singoli uomini come Biagio Conte, il missionario recentemente scomparso, che ha dedicato agli ultimi di Palermo e dell’Isola tutta la sua vita, riuscendo con le sue battaglie ad accendere i riflettori dei palazzi istituzionali sulla condizione dei senza fissa dimora. Luci che spesso sono spente.
Viaggio ai margini della notte
con l’Unità di strada Caritas
A Catania sono sessanta le persone che vivono per strada. Non saltano fuori da un excel dell’Istat, ma sono individui in carne ed ossa a cui ogni giorno la Caritas presta assistenza. Siamo saliti a bordo del furgoncino dell’Unità di strada per conoscere volti e storie di chi, spesso, fa una scelta di vita.
“Noi arriviamo dove la mensa della Caritas non può arrivare” ci saluta con questa frase il volontario che guida il servizio diocesano etneo, Raimondo Arena. Saliamo su un furgoncino e ci mettiamo in viaggio. “Oggi abbiamo la pasta con il minestrone, panini con prosciutto o bresaola, arance. Il nostro desiderio e compito è quello di instaurare, tramite il pasto, una relazione per cercare di levare i nostri fratellini dalla strada per portarli in uno dei nostri dormitori. Ma chi fa questa scelta, molte volte, lo fa perché non sopporta più le regole della società”.
Ci dirigiamo verso il primo fratellino, come i volontari chiamano le persone che abitano le strade di Catania. Si chiama Salvo e abita in una tenda accanto l’entrata del porto Rossi, dove paradossalmente ormeggiano le imbarcazioni dei catanesi più ricchi. L’essenzialità vicina di casa della ricchezza e del lusso. Ci fermiamo e suoniamo il clacson. Da una recinsione spunta improvvisamente Salvo. Dopo avergli dato un pasto completo ci fermiamo un po’ a parlare con lui. “Io sono venuto dall’Argentina dove mi hanno quasi ucciso e mi hanno rubato tutto – ci racconta -. Poi mi sono rivolto al consolato italiano che mi ha pagato il biglietto per tornare in Italia. Arrivato qui ho cominciato a raccogliere cani per la strada e adesso cerco di non fargli mancare nulla. La mia vita è questa e io sto bene così. L’unità di strada della Caritas viene ogni sera e non mi fa mancare mai un pasto caldo. Vivo per strada, ma si può dire che in strada non ci sono mai perché sto in un posto recintato con i miei cani, dove ho una tenda di cartelloni pubblicitari molto grandi fatti di una plastica molto spessa. Da qui non esco quasi mai. E poi sono molto fortunato perché c’è gente che mi aiuta. Tra poco mi arriveranno, sempre per i miei cani, grandi recinti sei metri per sei con tettoia. Quando a loro non manca niente sono la persona più felice del mondo. Ho venti cani a cui badare. Mi alzo verso le sei o anche prima, pulisco tutto, cambio l’acqua ai cani, gli preparo il mangiare. Poi verso le sei del pomeriggio vado nella tenda e non mi muovo più perché inizia il freddo. Mi metto a leggere un libro e passo il tempo. Non ricordo esattamente da quanto vivo in strada ma adesso sto toccando i nove o dieci anni”. A breve dovrebbe essere risanato il tratto di costa dove abita Salvo, che sta cedendo in alcuni punti. La richiesta è quella di “collocarlo in un altro posto”. Ma Salvo rifiuta, non può lasciare i suoi cani e la sua casa. Ci salutiamo e continuiamo il nostro giro.
Arriviamo a casa di un “fratellino” che non è mai presente all’arrivo dell’unità di strada, ma puntualmente il pasto lasciato non viene mai ritrovato il giorno dopo. La casa è una baracca di fortuna composta per lo più da materiali raccattati dalla strada (lenzuoli, lamiere, sedie, tavole di legno, coperte vecchie) che si trova in un vecchio campo di calcio nel quartiere di Picanello ormai abbandonato e trasformato in discarica a cielo aperto. Lo chiamiamo, nessuno risponde. Lasciamo una busta con il cibo su una sedia e risaliamo in macchina. “La settimana scorsa – ci racconta Raimondo Arena durante il viaggio verso la tappa successiva – abbiamo trovato una turista tedesca in via Reclusorio del lume. Questa ragazza, molto bella, aveva deciso di abitare lì. Lei diceva di stare bene, non era nemmeno sporca. Io ho cercato di convincerla ad andarsene facendole presente che poteva succederle qualcosa di brutto. Mi ha detto che sta studiando italiano ed è tranquilla perché i senza tetto che stanno accanto a lei sono suoi amici e la tutelano. Io penso che vorrebbero metterle le mani addosso anche loro. Un’altra ragazza si trova in via Bernini e sta vicino a dei rumeni che a volte ci sono, altre no. Questa ragazza dorme in mezzo alla spazzatura. Poi l’abbiamo vista a distanza quando siamo passati con il giro insieme al medico. Abbiamo cercato di instaurare una relazione. Ci ha detto di essere una trentenne di Adrano. A noi non sembrava nemmeno italiana. Il nostro informatore ci ha detto che la mattina la vanno a trovare assistenti sociali e associazioni per cercare di toglierla da quel posto, ma lei puntualmente si rifiuta”.
Arriviamo in via Bernini. Qui non troviamo nessuno, solo tende, materassi e divani immersi nella spazzatura. Lasciamo dei pasti caldi e andiamo via per andare a trovare Mimmo. Un uomo che vive tra i piani del vecchio stabilimento commerciale di Vulcania. Proprio vicino ai locali dove ora sorge una palestra. La sua casa è formata da un letto e un comodino dove tiene sempre la sua amata radio. Quando siamo arrivati lo abbiamo trovato seduto sul suo letto in compagnia di un giovane ragazzo ben vestito. Insieme sorseggiavano una birra. “Probabilmente suo figlio” mi spiega Raimondo Arena. Gli abbiamo chiesto se si sentisse di lasciarci una testimonianza della sua vita, di quello che significa vivere per strada, ma ha rifiutato. Forse proprio per la presenza di quel ragazzo. “Mimmo – ci spiega Raimondo Arena una volta tornati in macchina – soffre di lombosciatalgia. È venuto il nostro medico e gli ha prescritto dei farmaci che noi purtroppo non avevamo in quel momento. Dall’indomani gli abbiamo sempre portato i suoi farmaci”.
Durante l’ennesimo viaggio da un fratellino all’altro ci mettiamo a discutere sulla ricompensa dei volontari dell’Unità di strada. “Cosa ci danno in cambio? Cosa pretendiamo noi in cambio?”. Niente e va bene così. La ricompensa è ben diversa da quella che siamo abituati ad avere.
Dopo un paio di fermate arriviamo in piazza della Repubblica. “Per i più sensibili consiglio di indossare la mascherina”, dice uno dei quattro volontari. Una volta scesi dalla macchina troviamo un vero e proprio accampamento di fortuna. Il pavimento, una volta di marmo bianco, adesso completamente nero, era ormai intriso di urina ed escrementi. A terra si trovavano circa venti tra materassi e coperte. Sembrava non ci fosse nessuno, ma all’improvviso da un box ricavato da transenne rivestite di coperte e lenzuoli spunta un ragazzo che prende prontamente il cibo per lui e per le altre due persone che si trovavano dentro quel box di cinque metri quadri. Ci da indicazioni su quante porzioni lasciare per gli “assenti” e inizia a mangiare. Torniamo nuovamente in macchina per dirigerci verso un altro punto nevralgico per i senzatetto di Catania: piazza Giovanni Verga. “Le persone – spiega Raimondo Arena – quando incontrano i fratellini che si lasciano andare più di altri, che fanno puzza e sono sporchi, cambiano strada. Non possono vivere vicino a queste persone, gli danno fastidio. A volte le segnalazioni le fanno solo per farli spostare dal luogo in cui si trovano”.
Arrivati in piazza Verga ci dirigiamo verso un lussuoso hotel stellato catanese: i fratellini hanno trovato un riparo dalla pioggia proprio davanti all’entrata. Ancora una volta la ricchezza e la povertà si trovano ad essere vicini di casa. Qui troviamo una ventina di persone che riposa in materassi e coperte stese sul freddo marmo bagnato dalla pioggia e ci fermiamo a parlare con uno di loro. “La mia situazione è complicata – ci spiega Marcel -. Ho un padre che è stato un po’ cattivo: mi ha tenuto nascosta la morte di mia madre per cinque anni. La situazione familiare era diventata ingestibile. Ogni volta che entravo a casa mi mancava l’aria e non riuscivo più a percepire l’armonia. Solo quando uscivo dalla porta di casa riuscivo a respirare. Quando ho compiuto diciotto anni ho preso la decisione di dire a mio padre che non potevamo più continuare a fare quella vita e sono uscito di casa. Lui non mi ha fatto più rientrare, neanche quando mi sono pentito della mia decisione. Sono finito in questa realtà. Adesso ho 31 anni e da quando ho 18 anni vivo per strada. All’inizio non accettavo con me stesso la mia scelta e per punirmi ho fatto cose sbagliate finendo in galera. Il momento più duro è la notte. Quando piove non si dorme per il freddo e per la pioggia. Quando non piove gli altri che stanno in strada aspettano che ti addormenti e rubano un po’ di tutto. Non dormo perché sto attento alle uniche cose che mi sono rimaste. Mi hanno rubato quattro zaini in cui avevo l’essenzialità per poter andare avanti. Mi sono informato per andare a dormire nei dormitori della Caritas ma purtroppo non mi fanno entrare con il cane e non lo posso lasciare, l’ho preso per avere una compagnia. Ci sono serate in cui la testa comincia a viaggiare nei ricordi e sto male e in quel momento Alex lo sente e cerca di distrarmi. Certe volte mi strappa sorrisi che nessuno ormai riesce a strapparmi”.
Mentre parliamo piove sempre più forte. Siamo costretti a salutarci e continuare il giro. “Noi operiamo lo stesso con il brutto tempo – ci spiega il responsabile dell’Unità di strada -. I fratellini in ogni caso sono quasi tutti messi sotto i portici. Sono tutti protetti: sotto la pioggia non c’è nessuno. Non si potrebbe nemmeno sopravvivere”. Prima di finire il giro con l’unità di strada, tuttavia, qualcuno che non si trovava in zone riparate dalla pioggia lo abbiamo trovato. Il signor Giuseppe cercava di dormire in un marciapiede largo appena dieci centimetri, sotto il semaforo di un incrocio vicino piazza Verga. Le macchine gli sfrecciavano accanto. Qualcuno era già passato a dargli un pasto caldo, noi ci siamo fermati lo stesso per cercare di coprirlo con qualche coperta in più ma soprattutto per cercare di convincerlo a spostarsi da lì. Ci ha urlato di andarcene. Non voleva aiuto. Gli abbiamo lasciato una coperta di lana sopra un ombrello che si trovava accanto a lui e ce ne siamo andati nella speranza di trovarlo il giorno dopo.
L’ultima tappa prima del ritorno all’help center diocesano è quella degli archi della marina. Qui ci vivono da sette mesi due fratelli catanesi che sono finiti sul lastrico. “Prima avevano una casa, un cane e pagavano l’affitto con il reddito di cittadinanza – ci racconta Raimondo Arena -. Poi li hanno sfrattati e sono finiti in mezzo alla strada. Non ne hanno più trovata una. E purtroppo ci sono molte case sfitte a Catania. Ma a chi ha il reddito di cittadinanza difficilmente affittano”. Cerchiamo un posteggio e ci fermiamo per portare anche a loro un pasto caldo. Uno dei due fratelli, Antonio, si è avvicinato immediatamente.
“Vivo sotto gli archi da sette mesi perché mi hanno buttato fuori casa con uno sfratto – ci ha raccontato -. Viviamo con il freddo e con la pioggia. Non si può stare bene. Le coperte me le danno i ragazzi della Caritas. Anche un pasto caldo. Ma io spero di trovare una casa, pure una stanza, pur di andarmene da qui. Io sono disoccupato e vivo con il reddito di cittadinanza. La casa l’avevo trovata ma con il reddito non la posso prendere. Posso pagare l’affitto mensile ma prima vogliono i soldi contanti. E io dove li prendo? Non ho qualcuno che me li da e poi io glieli ritorno a poco a poco. Purtroppo, sono costretto a stare qui per adesso e vado in giro. Amici non ne ho, mia sorella è morta sei mesi fa. Vivo qui da solo con mio fratello e cerchiamo di vivere. La sera ci mettiamo a fare i posteggiatori e facciamo dieci o cinque euro. Quando si fanno, quando non si fanno pazienza. Ma non lo dovrei fare perché devo dare conto anche alla Questura. Spero di trovare una casa perché vivere qui con questo tempo è difficile. Oggi ho cercato di lasciare a qualcuno il mio cane ma non ci sono riuscito. Vedremo domani se ci riuscirò. Non lo posso tenere qui, con questo brutto tempo”.