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Carriere, non temere il Popolo Sovrano

Carriere, non temere il Popolo Sovrano
Corte dei Conti – magistratura – rendiconti e concorsi – foto da Imagoeconomica

Riforma costituzionale

Il Senato, nella seduta di martedì scorso, ha approvato in prima lettura la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati, così arrivando a metà del percorso parlamentare. In autunno comincerà la fase conclusiva, ovvero quella che prevede il voto in “seconda lettura” e l’approvazione del testo di legge da parte dei due rami del Parlamento.
Se essa ricevesse i voti dei due terzi delle Camere sarebbe definitivamente approvata, ma quasi probabilmente la maggioranza qualificata non sarà raggiunta, per cui sarà necessario il referendum confermativo, previsto dall’articolo 138 della Costituzione, se sarà richiesto da un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali.
Dal percorso che abbiamo descritto si capisce chiaramente l’intento dei Padri fondatori di rendere complessa un’eventuale modifica della Carta, in modo da evitare colpi di testa o decisioni affrettate. Ecco spiegato il percorso parlamentare.

In ogni caso, come previsto dal già citato articolo 138, la parola definitiva spetta al Popolo degli/delle elettori/trici, il quale deciderà se approvare o meno in via definitiva la legge costituzionale in rassegna.
Tenuto conto di questa prescrizione, non si capisce il comportamento di tutte le parti politiche che hanno contrastato il disegno di legge e lo contrasteranno in seconda lettura, se non che possano avere paura del Popolo Sovrano. Ma è proprio lo stesso che avrà l’ultima parola e dunque, se esso sarà d’accordo con quanto proposto dall’attuale maggioranza, lo confermerà e se invece sarà in disaccordo, tutto questo lavoro cadrà nel nulla perché la legge non potrà entrare in vigore.

Quanto precede è molto semplice, quindi non si capisce la polemica, che ha anche accenti quasi cruenti, su una materia limpida che deve essere trattata in modo sereno e non accanito come fanno le due parti, le quali si beccano anche con toni non appropriati all’educazione istituzionale, dimenticando – lo ripetiamo ancora una volta – che l’ultima parola sulla materia sarà del Popolo Sovrano, che ha sempre ragione.

Fin dall’inizio del percorso parlamentare di questo disegno di legge non abbiamo voluto esprimere alcuna opinione per evitare che essa fosse assimilata all’una o all’altra parte. Tuttavia, la nostra lunga esperienza comporta il dovere di enunciare alcuni punti, che non vogliono dar ragione a questo o a quello, ma riteniamo essere oggettivi.
Il primo è che in quasi nessuna democrazia ad economia avanzata i magistrati di accusa e quelli giudicanti fanno parte della stessa categoria. Addirittura, negli Stati Uniti i procuratori (ed anche gli sceriffi) sono frutto di elezioni. I giudici di quel Paese e di tantissimi altri considerano accusa e difesa sullo stesso piano, con le stesse prerogative e con gli stessi doveri, per cui nessuna delle due ha vantaggi sull’altra.
Nel nostro Paese il protagonismo di alcuni procuratori, una stretta minoranza, ha gettato una luce non positiva su tutti gli altri colleghi e colleghe che invece sono bravi/e, saggi/e ed equilibrati/e. La parte distorta in questa vicenda è stata l’informazione.

L’Ordine nazionale dei giornalisti ha pubblicato il Codice dei doveri lo scorso primo giugno. Non sappiamo quanti iscritti all’albo – a prescindere dal fatto che poi confluiscano nell’elenco dei pubblicisti o in quello dei professionisti, distinzione secondaria – abbiano letto tale Codice.
Non averlo letto significa non applicarlo, mentre dovrebbe essere una costante nell’attività degli/delle iscritti/e a quell’albo tenerne conto in ogni momento del proprio lavoro.
Molti iscritti all’albo dei giornalisti si sono prestati ad un gioco quantomeno bizzarro, quello di tentare la celebrazione dei processi sulla carta stampata o nelle televisioni, cioè fuori dai tribunali. Questa è stata la distorsione che poi è ricaduta su tutti i pubblici ministeri, mentre i responsabili sono di una strettissima minoranza.
Purtroppo la cattiva luce si è estesa anche alla magistratura giudicante, del tutto incolpevole, anzi meritoria, perché molto spesso annulla le attività delle procure assolvendo gli/le imputati/e.