Ricordate la famosa canzone che cantava Enzo Jannacci, il non dimenticato cantautore milanese: “Perché ci vuole orecchio”? Aggiungeva: “Bisogna averne tanto, anzi parecchio”.
Che vogliono dire queste due frasi? Tante cose, fra cui che la musica può diventare un metodo da utilizzare nella vita comune, in quella di tutti i giorni. Perché la musica può essere un metodo? Poiché essa si basa su tempi certi, i quali scandiscono le sette note. A pensarci bene, sembra incredibile che quelle stesse sette note, in miliardi di combinazioni, diano le musiche più svariate, più diverse.
Sembra incredibile anche una seconda cosa, che la musica sia universale, vale a dire utilizzata da tutte le popolazioni del mondo. Se esistesse un linguaggio della parola sul modello di quello musicale, tutti i popoli si capirebbero e non avrebbero bisogno di tradurre alcunché, soprattutto di tradurre segni, simboli e scrittura.
Il metodo musicale è anche importante perché, scandendo i tempi, forma una sorta di cronoprogramma. Se tale metodo fosse utilizzato per qualunque attività, anche ludica, i risultati sarebbero quantitativamente e qualitativamente migliori.
Che cosa accade invece? Che molta gente non solo non adotta il metodo musicale, ma non adotta alcun metodo per vivere, per lavorare, per agire, per divertirsi o per altro. Cioé, si abbandona al nulla, al niente e si adagia, come un fiume sul proprio letto, a trascorrere inesorabile il tempo, il quale, però, a un certo punto, vicino o lontano, cessa.
Proprio la limitatezza del tempo, che ognuno di noi ha a propria disposizione, dovrebbe indurci a utilizzarlo al meglio, facendo più cose e sempre migliori. In altri termini, ognuno di noi dovrebbe ricordarsi di quel breve detto popolare che racchiude un significato ricchissimo: “Fare di più con meno”.
Se tutti adottassero il senso concreto di questo detto, aumenterebbe il numero e la qualità delle cose che si fanno e quindi vi sarebbe un forte miglioramento della Comunità in cui si vive. Così però non accade perché tanti rimangono inerti e si fanno trascinare dalla Comunità stessa, diventandone un peso.
La musica, si scriveva, deve andare a tempo e il tempo può essere o scandito mentalmente oppure da uno strumento noto, che lo batte più o meno velocemente e che viene chiamato “Metronomo”.
A qualcuno questo strumento appare asfissiante proprio perché marcia continuamente, a una velocità variabile, definita dalla persona che lo utilizza; ma non è lo strumento che può creare nocumento, bensì la nostra testa, che non è abituata e allenata a marciare a tempo.
Anche lo sport insegna ad andare a tempo. Nello sport vi è l’elemento competitivo che spinge chi lo pratica a fare di più e meglio, continuamente. L’agonismo dello sport è un sentimento sano e nessuno si lamenta quando si deve sottoporre a sforzi, anche forti, perché l’obiettivo è appunto quello di migliorarsi per superare gli altri.
Perché anche nella vita comune le regole della musica e dello sport non vengono osservate, se non sporadicamente e senza continuità?
La maggior parte delle persone non le applica poiché marciare a tempo non è solo frutto di educazione familiare o scolastica, ma anche una sorta di emulazione dei comportamenti di chi sta ai vertici della Comunità.
Responsabili delle istituzioni, professori universitari e scolastici, dirigenti pubblici e privati, imprenditori, professionisti; insomma, tutti coloro che costituiscono la classe dirigente di un Paese, dovrebbero dare l’esempio di lavorare e funzionare col metodo musicale, al ritmo di Metronomo, che batte, ripetiamo, inesorabilmente il tempo.
Lo sviluppo di una Comunità è conseguenza della sua classe dirigente, che deve non solo fare e fare bene, ma operare con il miglior rapporto fra costi e benefici e soprattutto seguire la suprema regola etica che è quella di soggiacere senza tentennamenti all’interesse generale.
Purtroppo quanto descritto non è comune realtà e ne constatiamo le conseguenze.
Tuttavia, bisogna guardare con ottimismo il futuro sperando che venga compreso quanto descritto.

