Un incremento sostanziale della disponibilità di servizi per la prima infanzia ha un effetto positivo e statisticamente significativo sull’andamento delle nascite, confermando l’ipotesi che una decisa espansione dell’offerta permetta di rimuovere uno degli ostacoli alla realizzazione dei progetti riproduttivi delle coppie, contribuendo così a contrastare il calo delle nascite. A rivelarlo è Istat nel volume “L’impatto dell’espansione dei servizi educativi per la prima infanzia sull’andamento della natalità in Italia”, pubblicato negli scorsi giorni. In questo panorama, come se la cava la Sicilia? Quali sono i numeri della Regione?
Tra deficit di strutture pubbliche nei grandi centri, chiusura delle sedi più distaccate e calo demografico, sempre secondo Istat la Sicilia potrebbe avere meno di 4 milioni di abitanti nel 2050, con un calo significativo dalle attuali circa 4,8 milioni nel 2023, riflettendo un trend di spopolamento e invecchiamento demografico.
Calo demografico, una serie di motivazioni
Se “in Italia il numero medio di figli per donna, in calo ormai da molti anni, è tra i più bassi dell’Unione europea (1,24 nel 2022; 1,18 nel 2024, ndr) (…) oltre alla riduzione della natalità per motivi legati alle scelte riproduttive delle coppie, assistiamo a un declino più strutturale, legato anche all’invecchiamento della popolazione“, spiega la ricerca dell’Istat parlando di “trappola demografica”.
I fattori da prendere in considerazione sono molteplici e non solo di ordine sociale ed economico. “Tra queste vanno ricordate le difficoltà incontrate dai giovani a inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro e a rendersi indipendenti dalla famiglia di origine, la limitata efficacia delle politiche per le famiglie con figli, l’elevato costo delle case e altri fattori che contribuiscono a ritardare l’età media delle donne al primo figlio e, in alcuni casi, a rinunciare completamente alla genitorialità”, aggiunge il volume.
Il calo demografico “è in buona parte collegabile all’esistenza di barriere strutturali alle nascite che possono essere rimosse tramite politiche pubbliche appropriate” per “permettere un’adeguata conciliazione tra lavoro e compiti di cura familiari, tema particolarmente delicato per le donne, ma sempre più anche per gli uomini”. Uno dei temi, al di là dello smartworking, passa soprattutto attraverso l’assenza di una infrastruttura adeguata al sostegno parentale.
Servizi per l’infanzia e calo delle nascite, il caso italiano
I servizi comunali o convenzionati con i Comuni, laddove esistenti, privilegiano l’accesso nei nidi dei bambini con entrambi i genitori lavoratori. Questo punto alimenta il circolo vizioso che vede la nascita del primo figlio non solo subordinata all’ottenimento di un lavoro stabile, ma soprattutto a un lungo percorso formativo e di ricerca del futuro genitore.
Per l’assenza di adeguate, storiche politiche per la famiglia, l’Italia si colloca nelle ultime posizioni in Europa occidentale per l’accesso al nido dei bambini sotto i tre anni – il cosiddetto Early Childhood Education and Care (ECEC). Secondo Eurostat, l’Italia ha un tasso di frequenza ECEC medio-basso, intorno al 28% se si escludono gli anticipatari e si considerano i soli servizi educativi specifici per i bambini sotto i tre anni.
L’ultimo rapporto Istat che investiga gli aspetti demografici evidenzia un trend chiaro: aumentano le aspettative di vita della popolazione, crolla il numero delle nascite, che tocca il suo record storico negativo nel 2024. Con 1,18 figli per donna viene superato il minimo di 1,19 del 1995, anno nel quale sono nati 526mila bambini contro i 370mila del 2024.
La speranza di vita alla nascita è pari a 83,4 anni, quasi 5 mesi di vita in più rispetto al 2023. Ma le famiglie – complici il mancato aumento dei salari e le difficoltà economiche dettate dall’inflazione e dalle congiunture geopolitiche in atto – sono sempre più ristrette: la loro dimensione media scende in 20 anni da 2,6 componenti agli attuali 2,2 (media 2023-2024).
Il calo demografico più sensibile si registra nei Comuni delle aree interne del Mezzogiorno, per una variazione che incide su circa il 5 per mille in meno sull’anno precedente. In questo caso la riduzione della popolazione avviene, numeri alla mano, in quattro Comuni su cinque.
La manna del PNRR: possibilità o ennesima incompiuta?
Nel 2017-2018 i servizi per la prima infanzia in Italia garantivano accesso solo a un quarto dei bambini sotto i tre anni, con forti squilibri tra le diverse aree del Paese (dati Istat, 2020). Una percentuale ben al di sotto sia della media europea (35%) sia della soglia minima del 33% fissata dall’Unione Europea già nel 2002 con gli obiettivi di Barcellona, oggi rivisti alla luce delle nuove sfide sociali. La scarsità di asili nido rappresenta un nodo critico: incide sul calo demografico, ostacola la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e frena la crescita economica complessiva.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha inserito l’ampliamento e il potenziamento dei servizi educativi 0-6 anni tra le sue linee prioritarie. L’obiettivo non è soltanto ridurre la distanza con gli altri Paesi europei, ma anche contribuire agli impegni dell’Agenda 2030. Tra questi, in primo piano il Goal 4 (garantire un’educazione di qualità, equa e inclusiva) e, in maniera indiretta, il Goal 5 (promuovere la parità di genere), alleggerendo il peso delle cure familiari che grava soprattutto sulle madri.
In origine il PNRR aveva stanziato 4,6 miliardi di euro, con l’intento di creare 264.480 nuovi posti complessivi nelle strutture per l’infanzia, senza differenziare tra nidi (0-2 anni) e scuole dell’infanzia (3-6 anni). Con la revisione del 2023, però, le risorse sono state ridotte a 3,24 miliardi e il traguardo ridimensionato a 150.480 posti.
Qual è la situazione in Sicilia
In Sicilia la situazione non è positiva. Soprattutto per le donne, la cui serenità risulta determinante nella scelta di mettere al mondo nuove vite. Questa la situazione evidenziata dall’Istituto a proposito delle possibilità di emancipazione femminile, accesso al mondo del lavoro, equità salariale ed eliminazione del gender gap, tutt’altro che sconfitto nell’Isola.
La Sicilia emerge come una delle regioni più problematiche per quanto riguarda il lavoro femminile. In base ai dati di ottobre 2024, il tasso di occupazione femminile nell’Isola risultava fermo al 32,5%, tra i più bassi d’Italia e di tutta Europa. A fronte di un dato nazionale che si avvicina al 50%, la Sicilia registra una distanza significativa non solo con il Nord, ma anche con altre regioni del Sud come la Puglia e la Basilicata, che presentano tassi leggermente più elevati.
Il rapporto evidenzia che in Sicilia il 9% delle coppie non dispone di alcun reddito da lavoro, il doppio rispetto alla media nazionale. Le donne siciliane non solo lavorano meno, ma guadagnano anche meno rispetto agli uomini. Il rapporto CNEL – ISTAT evidenzia che il 40% delle lavoratrici in Sicilia ha uno stipendio inferiore del 20% rispetto ai colleghi uomini con la stessa mansione. Questa disuguaglianza si manifesta soprattutto nei settori dell’istruzione, della sanità e dei servizi alla persona, dove la componente femminile è predominante ma le retribuzioni rimangono inferiori alla media nazionale.
Il part-time involontario è un altro aspetto critico: il 38% delle donne occupate in Sicilia lavora con contratti a tempo parziale. Questo non per scelta, ma per mancanza di alternative a tempo pieno. O contratti farlocchi, che richiedono un impegno doppio rispetto alle ore contrattualizzate. Su base nazionale, il dato del part-time involontario riguarda invece soltanto il 20% delle occupate. Un dato paradossale riguarda il livello di istruzione. Le donne siciliane sono mediamente più istruite degli uomini, ma lavorano di meno e guadagno molto meno di loro. Circa il 68% delle 25-64enni ha infatti almeno un diploma, percentuale che scende al 62,9% degli uomini. Eppure questo non si traduce in un maggiore accesso al lavoro: se possibile, evidenzia ancor di più i limiti di una società maschilista e patriarcale, come quella che mettono in luce le statistiche.
Le laureate in Sicilia hanno un tasso di occupazione del 55%, ma le donne laureate che vivono al Nord raggiungono l’80%. Anche nelle discipline STEM, che offrono migliori prospettive lavorative, le donne siciliane faticano ad affermarsi: solo il 22% delle iscritte ai corsi di ingegneria e informatica riesce a trovare un impiego entro un anno dalla laurea, contro il 40% delle loro colleghe settentrionali.
In Sicilia, il tasso di occupazione delle madri con figli minori è fermo al 42%, molto al di sotto della media nazionale del 61,6%. La carenza di servizi educativi per la prima infanzia rappresenta un ostacolo significativo: solo il 17% dei bambini tra 0 e 2 anni frequenta un asilo nido; al Nord è il 33%. La conseguenza diretta è che molte madri sono costrette a rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli.
Calo demografico e servizi per l’infanzia, cosa si sta facendo in Italia e in Sicilia
Il Governo sta provando a ridurre questo gap. Con il decreto per il nuovo Piano per gli asili nido del marzo 2024, sono stati stanziati quasi venti milioni di euro per tutte le strutture presenti in Sicilia. Arrivati 7,2 milioni di euro per Palermo, 5,76 milioni per Catania e 5,76 milioni per Messina, per un totale di 18.720.000 euro per le tre città metropolitane.
Questo finanziamento è parte del PNRR, che prevede un totale di 3,24 miliardi di euro per l’Italia per nuovi progetti di asili nido e scuole dell’infanzia. Il piano è progettato per aumentare il numero di posti negli asili nido, rispondendo così ad una crescente domanda di strutture educative per bambini sotto i tre anni.
Con un finanziamento di quasi 735 milioni di euro, il Governo si è prefissato l’obiettivo non solo incrementare i posti disponibili negli asili nido, ma anche di raggiungere gli standard europei stabiliti dal PNRR. La Sicilia, come altre regioni, deve affrontare carenze strutturali e organizzative che ostacolano la piena attuazione dei progetti previsti. Il tasso di copertura dei servizi per l’infanzia in Sicilia è tra i più bassi in Italia, con un valore minimo del 24% previsto in alcuni scenari.
Fondi stanziati ritenuti insufficienti dallo stesso Governo, che con il DM n.51 del 17 marzo 2025, ha dato l’avvio a una nuova “procedura di acquisizione delle adesioni e delle manifestazioni di interesse al fine della definizione di un nuovo Piano di interventi per asili nido nell’ambito della Missione 4 – Istruzione e Ricerca – Componente 1 – Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido alle Università – Investimento 1.1: ‘Piano per asili nido e scuole dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia’, finanziato dall’Unione europea – Next Generation EU£.
Il nuovo Piano finanzierà con risorse pari a circa 819 milioni interventi di nuova costruzione di nuovi asili nido o riconversione di edifici pubblici non già destinati ad asili nido, al fine di raggiungere il target fissato dalla Commissione Europea. I 14 Comuni sedi di città metropolitane avranno a disposizione una quota di risorse a prescindere dal livello di copertura del servizio già raggiunto per la fascia 0-2 anni. I Comuni ammessi a finanziamento dovranno rispettare il cronoprogramma procedurale, contenuto nell’accordo di concessione che prevede il termine di aggiudicazione dei lavori al 31 agosto 2025 e la conclusione dei lavori e collaudo al 30 giugno 2026.
Non è un caso se la Sicilia sia per lo più immobile di fronte a questo tema, anche per paura di non arrivare al completamento delle opere entro le date indicate, che quindi andrebbero poi finanziate con fondi extra PNRR. Proprio giovedì scorso il Comune di Palermo ha avviato formalmente l’iter progettuale per realizzare l’asilo nido comunale in via Alla Falconara con la nomina del Responsabile Unico del Procedimento, Roberta Romeo.
Secondo i dati presenti su Open PNRR, programma di monitoraggio della Fondazione Openpolis, all’ottobre 2024 la Regione Siciliana ha effettuato soltanto il 27% dei pagamenti, su complessive risorse per 2,6 miliardi di euro, per il capitolo “Scuola, università e ricerca”. Il numero di progetti risulta essere di 5713 da realizzare con 2,4 miliardi che provengono esclusivamente da fondi PNRR. Se non saranno ultimati entro il prossimo giugno, o decadranno da finanziamento o la Regione dovrà trovare altri canali di finanziamento per il completamento di quelle che rischiano di restare ennesime incompiute.
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