Reti fatiscenti con dispersioni oltre il 50%. E le governance uniche in diversi casi ancora non sono partite...
Gli occhi, in passato rivolti al cielo, finiscono sempre più spesso sui cellulari a scrutare le mappe radar, nella speranza di individuare all’orizzonte un qualche fenomeno che potrebbe portare la pioggia. Quello che un tempo era un privilegio – vivere nel profondo Sud, dove il clima è quasi sempre buono – inizia a diventare una preoccupazione: “Pioverà nei prossimi giorni?”, è una di quelle domande che una volta, a maggio, ci si sarebbe posti sperando di ricevere una risposta negativa, così da evitare di vedere rovinati i piani per le gite fuori porta, e che oggi invece suonano come un auspicio. Tra questi, c’è stato di recente anche il presidente Renato Schifani.
In Italia, oltre una persona su due si dichiara intimorita dai cambiamenti climatici. La percentuale sale a due terzi se si guarda soltanto alla fascia dei giovani fino ai 24 anni. Tra le cause che maggiormente generano ansia c’è la siccità e tutto ciò che comporta in termini di desertificazione del territorio, compromissione degli habitat naturali e delle economie agricole. L’acqua, si sa, è vita.
All’interno di questa cornice, però, continua ad avere un ruolo da protagonista un problema che ha radici nel passato, in un’era in cui gli impatti ambientali dei sistemi economici che per decenni hanno trainato l’Occidente e che oggi i paesi in via di sviluppo pretendono di adottare, rivendicando il proprio diritto alla crescita. Il problema di cui parliamo riguarda la gestione della risorsa idrica e, nello specifico, la conclamata incapacità di far sì che l’acqua immessa nelle reti arrivi a destinazione. Nelle abitazioni e nei luoghi in cui trascorriamo le nostre giornate.
Le infrastrutture idriche della Sicilia sono pessime
Perché se è un dato di fatto che la siccità minaccia il futuro della Sicilia, è altrettanto vero che le condizioni in cui versano le infrastrutture idriche dell’isola continuano a essere pessime, complice anche una gestione amministrativa degli enti chiamati a governare il settore che, in più di un caso, fa i conti con ritardi quasi ventennali rispetto a ciò che la normativa aveva previsto a metà anni Duemila: un unico gestore per ogni ambito territoriale.
In Sicilia le perdite si aggirano intorno al 52,5 per cento
Gli ultimi dati Istat, divulgati nel 2023 e facenti riferimento agli anni precedenti, dicono che in Sicilia le perdite si aggirano intorno al 52,5 per cento dei volumi immessi in rete. Il dato, molto probabilmente, è al rialzo rispetto alla reale dispersione dell’acqua – per via dell’incidenza degli abusivi che riescono a usufruire dell’acqua senza però che i consumi vengano conteggiati dai contatori – ma resta comunque drammatico. “Nel 2020, sono immessi nelle reti comunali di distribuzione 8,1 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile (373 litri per abitante al giorno) – si legge in un report di Istat in cui si fotografa la situazione a livello nazionale –. A causa delle dispersioni in distribuzione, agli utenti finali sono erogati complessivamente 4,7 miliardi di metri cubi di acqua per usi autorizzati. Complessivamente il volume erogato è il 51,0% del volume prelevato”.
Altri dati, contenuti nel rapporto, risultano ancora più eclatanti: “La quantità di acqua dispersa in rete [è] quantificabile in 157 litri al giorno per abitante. Stimando un consumo pro-capite pari alla media nazionale, il volume di acqua disperso nel 2020 soddisferebbe le esigenze idriche di oltre 43 milioni di persone per un intero anno”.
Ad avere la responsabilità di mettere in campo le contromisure sono i gestori delle reti idriche. Già dal 1994, con la legge Galli, il legislatore ha disposto che nei singoli ambiti territoriali – in Sicilia ce ne sono nove e coincidono con i territori delle ex Province – operi un unico gestore. La disposizione è stata inclusa nel decreto legislativo 152/2006, meglio conosciuto come codice dell’Ambiente. Tuttavia da allora la situazione in più parti d’Italia, e specialmente nel Meridione, resta frastagliata. Nell’isola, per esempio, le province in cui esiste un gestore unico sono Palermo, Enna, Caltanissetta e Agrigento. Quattro su nove.
A Palermo l’intera provincia gestita da Amap
Nel primo caso, dopo l’originaria esperienza privata di Aps da circa un decennio il servizio in quasi tutta la provincia è gestito da Amap, l’Azienda municipalizzata acquedotto di Palermo. Le criticità non mancano e negli ultimi giorni la società è finita al centro delle cronache per quanto accaduto a Casteldaccia, dove cinque operai sono morti per le esalazioni mentre entravano in un tombino nell’ambito di un appalto bandito proprio da Amap. Ad Agrigento, invece, dopo la fallimentare e contestata esperienza privata targata Girgenti Acque, si è passati a una conduzione pubblica – Aica – che però dal punto di vista dei servizi ai cittadini continua a lasciare a desiderare. Nel centro della Sicilia – a Enna e Caltanissetta – AcquaEnna è la società mista pubblica-privata che a metà anni Duemila ha ottenuto la concessione trentennale, così come Caltacqua che nel Nisseno raccoglie invece soltanto privati con la guida di Aqualia, il colosso iberico dell’acqua.
La fotografia regionale si completa con le province di Ragusa e Trapani dove l’iter verso l’individuazione del gestore unico è ancora di là da venire e i casi di Catania, Siracusa e Messina dove passi più concreti sono stati fatti. Nell’area etnea, infatti, dopo vent’anni di liti giudiziarie, la società Sie, che per il 51 per cento è dei Comuni e per il resto dei privati con in testa le famiglie Cassar, Virlinzi e Zappalà, ha firmato la convenzione trentennale con l’Assemblea territoriale idrica, ma passerà ancora qualche anno prima che concretamente prenda in mano gli impianti sull’intero territorio provinciale. A Siracusa, invece, è attualmente in corso la gara d’appalto per individuare il socio privato della costituenda Aretusacque: l’unica offerta arrivata è quella formata dal tandem Acea Molise e Cogen, con quest’ultima società che fa capo alla famiglia Cassar.
Infine c’è Messina, dove negli ultimi mesi molti piccoli Comuni si sono rivolti al Tar per chiedere di stoppare la procedura da cui verrà fuori il privato della società mista che dovrà prendere in mano le reti in provincia. Dai tribunali, però, è arrivata la bocciatura e di conseguenza la gara d’appalto, che già una volta è andata deserta, andrà avanti. Per scoprire se stavolta qualcuno si farà avanti bisognerà attendere la prima metà di luglio.
Intervista a Gabriele Freni, professore di Ingegneria idraulica all’Università Kore di Enna
“In diversi casi fondi pubblici persi per mancanza del gestore unico”
ENNA – “Non esiste una regola per stabilire quale sia la versione migliore tra la gestione pubblica, privata o mista. Esistono casi di eccellenze che vedono protagonisti il pubblico e altri le imprese. Direi che piuttosto è importante dimostrare di saper fare le cose”. È questo il punto di vista di Gabriele Freni, professore di ingegneria idraulica dell’Università di Enna e tra i maggiori esperti di servizio idrico integrato.
Il tema delle governance delle reti idriche, negli ultimi mesi, è diventato sempre più centrale, complice il piano nazionale di ripresa e resilienza che sul fronte delle infrastrutture idriche offre importanti opportunità per investimenti che possono migliorare le condizioni spesso fatiscenti delle condotte. “L’acqua in Italia è un bene pubblico, lo ha ribadito il referendum popolare del 2021. Ciò che invece può essere privatizzata è la gestione del servizio – spiega Freni – La questione tra pubblico e privato è legata al caso specifico: il privato può avere un’efficienza dal punto di vista tecnico che difficilmente riuscirà a raggiungere un soggetto pubblico, ma al contempo ci sono situazioni, come quella in cui in un ambito esistono tantissimi piccoli comuni con un elevato numero di personale. Ecco in contesto di questo tipo il privato – continua – avrebbe scarso interesse a partecipare alla gestione perché non esistono sufficienti motivi economici per farlo, ed è qui che diventa fondamentale un contributo nella gestione da parte del pubblico”.
Quel che è certo è che la mancanza delle gestioni uniche rappresentano un rischio per il futuro della Sicilia: “Sono diversi i casi in cui già si sono persi fondi pubblici per mancanza del gestore unico. A Catania, per esempio, è capitato con il bando Eu React, ma anche con un capitolo di spesa del Pnrr. L’Europa – va avanti Freni – voleva la certezza del soggetto beneficiario dei fondi e anche garanzie rispetto all’utilizzo delle risorse in tempi brevi, come nel caso del termine del 2026 per il Pnrr”.
Inevitabile cercare un confronto con il resto del Paese: “C’è una forte separazione tra Nord e Sud. Nel Settentrione, si sono registrate aggregazioni di gestori che oggi rappresentano società protagoniste nel settore idrico, come nel caso di Iren”. Sui motivi all’origine delle difficoltà che in Sicilia si sono registrate nell’individuazione del gestore unico, per Freni va innanzitutto rintracciata nei risvolti anche politici di un servizio importante come quello idrico.
“C’è un tema amministrativo su cui ragionare. Noi scontiamo un difetto culturale, che è quello per cui ancora oggi, almeno fino ad ora, il pagamento della bolletta è un tema elettorale da noi. I sindaci che dovessero passare dal sistema forfettario a quello a consumo rischiano di vedere compromesso il consenso attorno a sé”. Ma con i privati le bollette aumenteranno? “Il privato non può immettere un margine di utile in bolletta, ma ovviamente l’impresa copre le proprie spese aziendali. Sulle bollette, però, il problema principale sarà – conclude il professore Freni – far comprendere a tutti che è giusto pagare per quello che si consuma”.