Censis e Confcooperative fotografano gli “acrobati della povertà” che il Covid ha messo ko.Nel post lockdown paura e sconforto: il 55% degli italiani teme la diffusione di odio e rabbia. Al Sud il maggior numero di famiglie con solo occupati irregolari
Baratro povertà assoluta per altri 2,1 milioni di famiglie a causa del coronavirus. Lo rileva il nuovo Focus realizzato da Censis e Confcooperative dal titolo “Covid, da acrobati della povertà a nuovi poveri”. Sfruttati, mortificati, mal pagati, “senza una rete di protezione sociale e risparmi cui attingere, con un futuro previdenziale da incubo. Sono i lavoratori che durante il lockdown hanno visto crollare all’improvviso il loro reddito andando a ingrossare la sacca di povertà assoluta”.
Sono loro “gli acrobati della povertà, che hanno sempre guadagnato il minimo per sbarcare il lunario, ma il lockdown li ha messi ko. Lo stress test socio-economico della ‘lockdown economy’ mette a dura prova il paese e apre crepe profonde in aree di fragilità già acute in fase pre-Covid. Sono 2,1 milioni le famiglie con almeno un componente che lavora in maniera non regolare”.
Circa 1,059 milioni di famiglie “vivono esclusivamente di lavoro irregolare (sono il 4,1% sul totale delle famiglie italiane). Di queste, più di una su tre (350mila) è composta da cittadini stranieri. Un quinto ha minori fra i propri componenti, quasi un terzo è costituito da coppie con figli, mentre 131mila famiglie possono contare soltanto sul lavoro non regolare dell’unico genitore”.
La presenza di famiglie con solo occupati irregolari “pesa al Sud, dove si concentra il 44,2%, ma le percentuali che riguardano le altre aree danno conto comunque di una diffusione considerevole anche nel resto del paese: il 20,4% nel Nord-ovest, il 21,4% nelle regioni centrali e il 14% nel Nord-est”.
“Il paese – afferma il presidente della Confcooperative, Maurizio Gardini – vede la sua competitività ferma al palo dal 1995. Abbiamo un’occupazione più bassa della media europea. Un deficit che è cresciuto di 20 punti e un Pil che chiuderà con un rosso a due cifre sfondando il tetto del 10%. Abbiamo una geografia sociale ed economica molto sbilanciata con poco meno di 23 milioni di lavoratori, oltre 16 milioni di pensionati, 10 milioni di studenti (con una formazione che non è sempre d’eccellenza) e oltre 10 milioni di poveri”.
“Il problema non è il deficit – aggiunge Gardini – ma la capacità o meno di poterlo pagare. In merito al Recovery fund, subito risorse per politiche strutturali che tendano alla salvaguardia dell’attuale occupazione ma soprattutto alla creazione di nuovo lavoro. Solo rilanciando innovazione, competitività e occupazione potremo far fronte ai debiti che abbiamo contratto, ridurre le disuguaglianze e costruire un modello di paese più equo, più sostenibile”.
Nel 2019, secondo il rapporto di Censis e Confcooperative, “le persone in povertà assoluta erano 4,6 milioni, di cui il 40,5% residente nelle regioni settentrionali e il 45,1% nel Mezzogiorno. Tra gli individui assolutamente poveri, uno su quattro erano minori (1,14 milioni di persone), mentre gli stranieri quasi uno su tre (1,4 milioni). Le persone senza fissa dimora erano stimate in 112mila, ma l’area dell’indigenza che faceva ricorso agli aiuti alimentari arrivava a comprendere 2,7 milioni di persone”.
Durante i mesi di stretto lockdown, “15 italiani su 100 hanno visto ridursi il reddito del proprio nucleo familiare più del 50%, mentre altri 18 italiani su 100 hanno subito una contrazione compresa fra il 25 e il 50% del reddito, per un totale di 33 italiani su 100 con un reddito ridotto almeno di un quarto. Ancora più drammatica la situazione fra le persone con un’età compresa fra i 18 e i 34 anni, per le quali il peggioramento inatteso delle propria situazione economica ha riguardato 41 individui su 100”.
La metà degli italiani (50,8%) “ha sperimentato un’improvvisa caduta delle proprie disponibilità economiche, con punte del 60% fra i giovani, del 69,4% fra gli occupati a tempo determinato, del 78,7% fra gli imprenditori e i liberi professionisti. La percentuale fra gli occupati a tempo indeterminato ha raggiunto il 58,3%”.
Le attese degli italiani sul proprio reddito familiare, per i prossimi 12 mesi, “assumono in ogni caso una connotazione tendenzialmente negativa. Se il 49,2% prevede una sostanziale invarianza del reddito rispetto a quello precedente il Covid, il 47% considera probabile una contrazione (per il 7% superiore al 50%) e solo il 3,8% prevede un aumento”.
Fra i giovani “le attese negative salgono al 51,9%, mentre per le persone con un’età fra i 35 e i 44 anni la riduzione del reddito appare probabile nel 53,2% dei casi. Per i lavoratori indipendenti e i liberi professionisti, la percentuale raggiunge il 72,1%”.
Il 55% della popolazione “teme l’eventualità che si possano diffondere rabbia e odio sociale come conseguenze delle difficoltà economiche”. Il 50% prevede un forte aumento della disoccupazione “e un numero crescente di persone costrette a dipendere da sussidi e sostegni da parte dello Stato, mentre il 33,9% teme che proprio l’intervento dello Stato possa essere insufficiente per la sanità e per le misure di contrasto alla povertà, alla disoccupazione e ad altre emergenze sociali”.
Più concentrato sugli aspetti della sanità il 27,2% delle persone “che rimandano al rischio che il coronavirus possa ridurre l’attenzione rispetto ad altre patologie gravi, mentre il 25,5% teme di veder svanire i risparmi di una vita”.