Roma, 15 dic. (askanews) – Le interviste di SGUARDI ci portano da Francesco Murano, light designer che ha illuminato oltre duecento mostre, inclusa quella spettacolare sui Tesori dei Faraoni adesso alle Scuderie del Quirinale. Dal Perseo di Canova alla Tempesta di Giorgione, da Vittorio Sgarbi a quanto costa montare una mostra: ricordi, imprevisti, bellezza ma anche gli usi dell’intelligenza artificiale. SGUARDI è la rubrica di approfondimento di Askanews curata da Alessandra Quattrocchi.
“La luce nell’arte ha due aspetti. La prima è la luce delle opere e l’altra è la luce sulle opere. La luce in una mostra può danneggiare molto più di quello che può fare e può fare molto più male che bene. Perché sei una mostra illuminata male veramente si perde il gusto di vedere un’opera. Purtroppo non sempre non sempre questo viene compreso”, dice Murano. “Ma questo non lo dico perché per me, ma in generale, se una mostra illuminata male vuol dire che qualcuno non ha chiamato la persona giusta”.
Sulla mostra “I tesori dei Faraoni” spiega, “ha dei reperti d’oro di infinita bellezza; ha come caratteristica principale quella di voler richiamare l’attenzione sulle varie dinastie che si sono succedute in epoca egizia e quindi di far vedere come questo passaggio ha significato la produzione di opere meravigliose. L’oro fa parte di quei materiali che si chiamano fototropici cioè che si nutrono di luce. In generale tutti i metalli si nutrono di luce, quindi vivono di luce e non solo, ma come tutti i materiali riflettenti, l’oro deve essere illuminato in modo che crei riflessi al contrario dei dipinti. Quindi in questo caso è stato particolare cura mia e di Domenico Arnaldi che è il mio assistente, evitare che l’oro non venga illuminato e in più illuminare soltanto l’oro lasciando per contrasto i fondi perché in questo caso diventava l’oro stesso fonte di luce”.
Murano poi racconta delle complessità e dei costi dell’organizzazione di una mostra; delle sfide che comporta una simile operazione culturale: della Tempesta di Giorgione e di Vittorio Sgarbi; dei suoi brevetti per l’intelligenza artificiale nell’illuminazione delle mostre: e conclude, “un quadro lo vedi meglio su un catalogo se la riproduzione è bella. Le persone vanno a vedere una mostra per entrare in relazione con l’artista. E quindi anch’io sono in qualche modo in relazione con l’artista. Mi ricordo una mostra di Monet a Milano in cui quando sono uscito, c’era una gigantografia di Monet e guardava – non è che guardava me, ma io l’ho guardato. Ho detto, speriamo gli sia piaciuta…”.
