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“Shareholder value maximization”

“Shareholder value maximization”
impresa economia sviluppo

L’impresa e il management sono profondamente influenzati dal contesto in cui operano

continua dal QdS del 21/5/2025

Le tre rotelle dello sviluppo ruotano su un perno che chiamiamo strategia e il funzionamento di questo perno è profondamente influenzato dalle spinte, dagli umori, dalle necessità, dalle idee, dalle scelte collettive della comunità nazionale e internazionale.

L’impresa e il management sono profondamente influenzati dal contesto in cui operano. Ma la loro azione non è, come qualche volta io stesso ho affermato, pura azione di adattamento al mutamento del contesto esterno. Essi sono anche soggetti attivi di tale mutamento. Io credo, per esempio, che la crisi degli anni Settanta, l’esplosione del prezzo del petrolio, l’ondata inflazionistica, la grande paura, siano stati i fattori esterni che hanno spezzato un certo tipo di cultura collettivizzante e di arbitrario potere sindacale che stava affondando il paese. Ma questa rottura sarebbe stata una rottura e basta, se il management italiano in primo luogo (seguito poi anche da alcune componenti sindacali, politiche, culturali) non avesse, attraverso la sua azione, cercato, ed in parte ritrovato, una nuova via di sviluppo. E la dimostrata capacità del management di far fronte alla crisi ha cambiato in positivo gli umori, la volontà, la mentalità stessa di gran parte del Paese.

Col tempo emergeva, a livello internazionale, nel mondo delle maggiori imprese, e soprattutto nel mondo anglosassone, un modello di impresa, e di comportamenti strategici e di valori profondamente diverso, caratterizzato da: visioni e strategie sempre più a breve termine, “star system” per i Ceo, logica finanziaria dominante in tutte le fasi aziendali, spregiudicato uso della leva e dell’ingegneria finanziaria.

Pilastro di questo modello era il principio che il compito prevalente, se non esclusivo, del management fosse quello di massimizzare il valore per gli azionisti. Come, con che metodi, con che effetti sull’impresa e sulla sua capacità di durare nel tempo e sul contesto, erano questioni del tutto secondarie ed anzi rimosse. Questo principio e il relativo modello non apparvero all’improvviso ma si andarono formando in un certo numero di anni, nel corso degli anni Ottanta ma fu, poi, divulgato rapidamente nel corso degli anni Novanta, attraverso le grandi banche d’affari, le grandi società di consulenza, i grandi studi legali internazionali, una parte importante della dottrina soprattutto nelle grandi università americane, ma anche nelle nostre sempre pronte a ricevere acriticamente qualunque cosa venga dall’America, e divenne così dominante nel corso degli anni Novanta.

Negli anni Ottanta, la differenza tra i due modelli non era così netta e delineata. Ma era già chiaramente percepibile che il nostro modello stava diventando minoritario, tanto che mi domandai se facevamo bene ad indirizzare i nostri allievi in una direzione che stava diventando minoritaria. Non è che rischiavamo di danneggiarli? Ma conclusi che il nostro dovere professionale era di mantenere alta la bandiera che ritenevamo corretta, a prescindere dalla veemenza e dalla forza degli attaccanti . Sul tema decisivo del principio della “Shareholder value maximization”, come compito primario del management, fui uno dei primi, in Italia, ad assumere una posizione fortemente critica.

continua…