La iena presenta il suo nuovo romanzo al QdS: “L’ho scritto di getto ma poi ci ho lavorato tre anni”
Dopo “Diario di una Iena” (2014), racconto intimo dei primi dieci anni di vita da inviato della nota trasmissione di inchiesta, e “Boomerang” (2020), romanzo la cui intrigata – e intrigante – vicenda si sviluppa intorno al triangolo amoroso Leo-Barbara-Elena, la “iena” Filippo Roma torna a vestire i panni dello scrittore con “Si ami chi può”, edito da Armando Curcio Editore. Un romanzo che racconta il viaggio di una madre, Anita, e di un figlio, Lorenzo. L’ultimo, insieme, della loro vita. Anita ha infatti scoperto di avere un male incurabile e vuole recuperare il tempo perduto. Lorenzo accetta la sua proposta di prendere la macchina e partire. Forse un’occasione per parlare.

Troppe incomprensioni, cose non dette, fantasmi del passato hanno compromesso il loro rapporto. Ma tra una madre e un figlio la connessione è troppo forte per essere interrotta, ed ecco che il viaggio è anche interiore. Su Anita incombe un segreto che ha nascosto per anni, una macchia che risale a un passato lontano e che deve confessare a Lorenzo. Lui fatica a ritrovare confidenza con la madre che nel frattempo ha scoperto il suo, di segreto. Un intreccio di non detti e crocevia della vita che alla fine, attraverso una serie di avventure in luoghi sconosciuti, trovano voce in un racconto di verità, in cui ognuno aiuterà l’altro a sciogliere i propri nodi, perché nessuno si salva da solo. E in cui ciascuno di noi può scorgere qualcosa di sé. Abbiamo chiacchierato con l’autore per “indagare” sulla genesi della storia e sui suoi progetti editoriali futuri.
Filippo, com’è nata l’idea di questo romanzo?
“L’avevo in mente ancor prima che uscisse il mio primo romanzo, ‘Boomerang’. Avevo in mente da parecchi anni questa storia di una madre e di un figlio che si ritrovano in quest’ultimo viaggio dopo un lungo periodo di silenzi e di incomprensioni. Ma soprattutto quello che avevo in mente e che ho scritto era l’idea che in qualche modo, in quest’ultimo viaggio, ognuno riuscisse a sciogliere un nodo nella vita dell’altro, ognuno salvasse l’altro insomma, attraverso la confessione di un segreto da parte della mamma nei confronti del figlio, mamma che aveva scoperto un segreto del figlio che aveva contaminato il loro rapporto. È un’idea che ho sempre avuto ma che ho lasciato per lungo tempo in disparte. Una volta uscito ‘Boomerang’ l’ho scritta quasi di getto”.
Era l’idea di cui mi hai parlato in occasione dell’uscita di “Boomerang”, quando alla domanda “Darai ancora voce alla tua vena da romanziere?” rispondesti “Speriamo! Se trovo l’editore che mi fa scrivere un altro romanzo sì, anche perché un’altra idea ce l’avrei già pronta ma non dipende da me”?.
“Esatto, ricordi molto bene”.
L’idea di “Si ami chi può” nasce quindi prima di “Boomerang”. Quanto tempo hai impiegato per trasferirla su carta?
“Ci ho messo un po’ perché, come sai, faccio un altro mestiere che assorbe molto tempo. L’ho scritto di getto in due, tre mesi ma poi ci ho lavorato tre anni”.
Ti piace essere un perfezionista quindi.
“Più che altro non mi convinceva e soltanto quando ho trovato la forma definitiva l’ho presentato perché la scrittura di getto aveva presentato dei limiti a livello narrativo, drammaturgico e di struttura dei personaggi. Tra una cosa e l’altra ho impiegato tre anni per arrivare alla versione definitiva”.
C’è una persona o un fatto che ha ispirato questa storia?
“C’è qualche vago riferimento che riconduce alla mia di madre ma non così delineato e nitido. È un elemento più ispiratore che preciso rispetto al personaggio e alle cose che accadono al personaggio”.
Uno dei temi principali sviluppato nel romanzo è la malattia. Senza il male incurabile che colpisce Anita, madre e figlio avrebbero mai fatto questo viaggio?
“Probabilmente no perché avrebbero trascinato per altri anni, stancamente, questo rapporto ammaccato dalla reciproca incomprensione mentre la scadenza della vita di Anita fa scattare qualcosa di urgente, un chiarimento nella propria vita da parte di Anita che ha commesso una malefatta da giovane e vuole raccontarla al figlio per renderlo partecipe. Soltanto la certezza della morte spinge lei a fare chiarezza ma, in questo modo, spinge anche il figlio a fare chiarezza con la propria vita. Per questo, come dicevo prima, ognuno dà una mano all’altro”.
Il tema principale del romanzo è però il perdono. Che rapporto ha Filippo Roma con il perdono?
“È un rapporto molto complesso perché sento il bisogno di essere perdonato spesso nella mia vita e da parte mia sono molto incline a perdonare. Penso che la capacità di perdonare sia un baluardo, un pilastro dell’esistenza umana ma non intesa in senso cristiano o religioso ma proprio esistenziale, di reciproco rispetto e amore, per cui chiedo continuamente perdono ma sono al contempo disposto a dare perdono”.
Quanto ti sei divertito – se di divertimento si può parlare di fronte a tematiche così profonde – a scrivere questa storia?
“Divertire è un termine giusto secondo me perché chi scrive lo fa per divertimento, inteso come passione. In questo caso, rispetto a ‘Boomerang’, ho dovuto affrontare il tema della morte, c’è stato quindi un maggior coinvolgimento personale, privato e quindi a tratti ci sono stati anche momenti difficili, pesanti nel descrivere certe scene perché mi ricordavano cose che ho veramente vissuto”.
Hai già in mente qualche altra storia da raccontare?
“Un’altra ce l’avrei ma vedremo. Mentre l’altra volta (in occasione dell’intervista su ‘Boomerang’, ndr) ero convinto che avrei scritto un secondo romanzo, oggi non sono affatto sicuro di scriverne un terzo. Anche se una storia in mente ce l’ho”.
Un’ultima domanda: tre parole per sintetizzare “Si ami chi può”.
“Viaggio, segreto e rinascita”.