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“Si può essere italiani anche con un cognome ‘strano’. In Iran la lotta delle donne non riguarda solo il velo”

“Si può essere italiani anche con un cognome ‘strano’. In Iran la lotta delle donne non riguarda solo il velo”
Da sinistra a destra: Pegah Moshir Pur, Ida Angela Nicotra e Michela Giuffrida (sr)

La testimonianza di Pegah Moshir Pour, ospite del Supertalks della Scuola Superiore dell’Università di Catania. I diritti umani, l’emancipazione femminile e i social al centro del dibattito che si è sviluppato al teatro Sangiorgi

CATANIA – I diritti umani, l’emancipazione femminile e il ruolo dei social media. Sono stati questi i temi affrontati mercoledì 10 dicembre al Teatro Sangiorgi di Catania in occasione del recente appuntamento dei SuperTalks, la rassegna promossa dalla Scuola Superiore dell’Università di Catania che invita gli studenti, e non solo, a confrontarsi con le voci più affascinanti del pensiero contemporaneo e che da ottobre ha già accolto nomi del calibro di Walter Veltroni, Cecilia Sala, Giovanna Melandri e Carlo Cottarelli.

Sul palco, un parterre interamente al femminile, a iniziare dall’attesissima Pegah Moshir Pour, consulente e attivista per i diritti umani e digitali e ospite d’onore dell’appuntamento dal tema “Libertà, identità, diritti: l’Iran e le nuove generazioni globali”.

Le istituzioni presenti e l’apertura dell’evento

A fare gli onori di casa sono state la presidente della Scuola Superiore dell’Università di Catania, Ida Angela Nicotra, e la Prorettrice dell’Università degli Studi di Catania, prof.ssa Lina Scalisi (in rappresentanza del Magnifico Rettore Enrico Foti), che hanno portato il saluto dell’Ateneo agli allievi che hanno affollato le poltroncine del teatro. Donne pure in prima fila, con la dott.ssa Grazia Pennisi, portavoce del Questore di Catania, Giuseppe Bellassai, e la dott.ssa Beatrice Casamassa, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Catania-Fontanarossa. A moderare l’incontro la giornalista Michela Giuffrida.

L’intervento di Pegah Moshir Pour

Ed è così che, per due ore, l’elegante complesso novecentesco di via Antonino di Sangiuliano si è trasformato in un athanor di idee e confronto. “Ho dovuto fare i conti con quello che significa libertà, ma anche con quello che significa giustizia e diritti”, ha esordito Moshir Pour, ricordando i motivi che, fin da giovanissima, l’hanno spinta a credere nel suo attivismo.

“Il momento di raccontarmi e presentarmi come italiana è arrivato proprio nel momento in cui mi è stato detto di non esserlo, perché non avevo la cittadinanza. Il motivo? Quelle persone che non riuscivano a capire che si può essere italiani anche con un cognome ‘strano’ o con tratti fisici un po’ diversi, anche se delle volte sono stata scambiata anche per siciliana. Ho compreso che bisognava raccontare un’ingiustizia per arrivare, poi, ad avere quel diritto che mi spettava e che non è un regalo come qualcuno vuole farci credere con certe narrazioni, soprattutto attraverso quella della remigrazione che, di per sé, fa venire i brividi”.

Il ruolo delle nuove generazioni

“In questi anni, però, è cambiato poco. Probabilmente i millennials non hanno gridato abbastanza e per fortuna ci siete voi, che mi rincuorate tantissimo”, ha aggiunto ancora Pegah, riferendosi direttamente ai giovani presenti in platea. “Non siete la ‘generazione futuro’, ma la ‘generazione presente’. Penso che ci sia tanto da imparare da voi, così come dai giovani dell’Iran. A iniziare da nomi come quello di Greta Thunberg, una persona così giovane che si batte per il clima e che, poi, viene bullizzata da una persona di 80 anni” come Donald Trump.

La situazione in Iran

“Pochi giorni fa in Iran, in occasione della Giornata nazionale dello studente, un universitario ha preso la parola in occasione di un incontro con uno degli alti funzionari del regime e ha detto ‘ogni suo gesto e ogni suo respiro è sporco di sangue’, e ha fatto i nomi dei ragazzi che sono stati uccisi per strada dal settembre 2022 in poi, quando è nato il movimento ‘Donna, vita, libertà’”. Un movimento “gridato soprattutto dagli uomini”.

Ma per Pegah Moshir Pour la “vera questione in Iran non è il velo. La vera questione è il sistema razzista e misogino che rende la popolazione sempre più povera. In Iran, per esempio, c’è una crisi idrica mai avuta prima. C’è anche un sistema religioso che non riesce a rispondere alla generazione Z che continua a disobbedire. E non è solo la disobbedienza dell’andare in piazza, ma anche quella quotidiana. Le donne la compiono non indossando il velo – che è uno dei tanti modi per dissentire -, gli uomini portando il pantaloncino. Si tratta di una libertà sentita, dalle grandi città come Teheran fino alle aree rurali”.

Diritti, femminismi e nuove narrazioni

“I diritti – ha aggiunto l’attivista – non sono né un regalo né un’eredità, perché possiamo perderli da un momento all’altro”. Dobbiamo capirlo “a iniziare dal corpo delle donne, perché su esso storicamente si scaricano tutte le responsabilità. C’è chi dice che se il mondo va a rotoli è colpa delle donne e delle femministe… serve, invece, andare in profondità, anche nei femminismi. Nel mondo musulmano sto scoprendo un femminismo incredibile, ci sono donne che educano gli uomini a interpretare bene la religione. Il velo non è un obbligo religioso ma una libera scelta della donna”.

Si tratta, dunque, di una serie di “rivoluzioni culturali che stanno facendo in tutti i Paesi del mondo ma che noi continuiamo a raccontare come degli spot”. L’errore più comune, dunque, è quello di raccontare il mondo “attraverso un’unica lente”.

Identità, social media e nuove sfide

“L’ho commesso anch’io sulla mia pelle – ha ammesso Moshir Pour -. Arrivata in Italia, all’età di 9 anni, ho studiato il mondo greco e romano, ma non sapevo niente del resto. Così come non conoscevo molto del mio Paese. Se non fosse stata per la mia curiosità, non avrei mai scoperto quante analogie potessero esserci con l’Italia. La bellezza delle nuove generazioni ci sta regalando un altro modo di rivedere il presente”.

Un progresso veicolato anche – e soprattutto – attraverso l’utilizzo dei social media (“dobbiamo mobilitarci perché le nostre identità digitali sono fondamentali, non dobbiamo essere considerati solo dati da profilare”) proprio da parte di quei giovani che in Iran ripudiano ogni sentimento bellico, malgrado un contesto mediorientale che continua a rimanere infuocato.

Il contesto mediorientale e il rischio di guerra

Così come non si è ancora esaurita la eco delle ostilità tra Israele e Iran dopo la “guerra dei 12 giorni” della scorsa estate. “Molti ragazzi dicevano ‘questa non è la mia guerra, questa non è la guerra che io ho scelto di fare’. Oggi i ragazzi sentono il pericolo di tornare in guerra, in Iran si scappa perché i giovani non vogliono combattere”, ha ribadito Pegah Moshir Pour. Un monito, questo, anche “per noi, per chi vorrebbe riportare il servizio militare obbligatorio in Italia”.