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Siccità, urge riciclare gli scarichi

Siccità, urge riciclare gli scarichi
Siccità (Imagoeconomica)

Copiare l’impianto di Parigi

Ci avviciniamo alla stagione calda, augurandoci che non sia caldissima come in altri anni. Si manifesterà comunque la siccità, vale a dire la mancanza d’acqua potabile e irrigua, in alcune zone della Sicilia; non certo per tutti i paesi attorno all’Etna perché nelle sue caverne di acqua ce n’è in abbondanza.

La siccità non dovrebbe essere un problema perché, com’è noto, due terzi della superficie terrestre sono coperti d’acqua. Si potrebbe osservare che l’acqua marina è salata e che quindi non può essere utilizzata per usi civili o agricoli. Giusto, tuttavia nel mondo esistono nuovi impianti di desalinizzazione che consentono di trasformare l’oro azzurro in acqua potabile. Certo, questo processo è esoso perché un metro cubo d’acqua desalinizzata costa all’incirca tre volte un metro cubo d’acqua dolce.

Quanto scriviamo è noto a tutti e a tutte, quindi non si capisce perché la siccità debba essere un problema quando di fatto non esiste carenza del liquido che la potrebbe soddisfare; anche se esiste la possibile carenza di tecnologie in alcuni Paesi per desalinizzare o l’energia per farlo.

Vi è un altro modo per ottenere l’acqua per uso civile, agricolo e industriale e cioè riciclare quella dei rifiuti. Non vi stiamo raccontando una favola perché a Parigi, città moderna ed efficiente, è stato inaugurato qualche mese fa il più grande e importante impianto di questo tipo. Cosicché, nella metropoli francese è stato totalmente eliminato il problema della carenza d’acqua, che non è più all’ordine del giorno di quella città, ma neanche di quella miriade di cittadine che contornano la capitale transalpina.
Ci chiediamo perché i buoni esempi non vengano replicati, per cui impianti come quello indicato potrebbero essere realizzati in tempi ragionevoli a Roma, Milano, Napoli e in altre importanti città del Paese.

I sindaci, anziché tagliare nastri, dovrebbero occuparsi di risolvere i problemi effettivi e strutturali delle loro città, cosa che alcuni di essi, intelligenti e capaci, fanno molto bene, ma molti altri degli ottomila leader comunali non fanno. E qui si sente la solita lagna che non hanno risorse finanziarie sufficienti per le infrastrutture.

La verità nascosta, che nessun giornale o media sociale pubblica, è che anche se i sindaci sono eletti dal Popolo, non sono scelti dal Popolo, nel senso che il Popolo non sa mai quali siano le caratteristiche professionali che i/le primi/e cittadini/e dovrebbero possedere. Il massimo sarebbe avere conseguito il Mba (Master in business administration) in un’Università italiana o estera.
Non ci risulta che alcuno degli ottomila e più sindaci abbiano un titolo di questo genere.
C’è di più, tale titolo dovrebbe essere indispensabile per nominare i direttori generali o di dipartimento. Non si capisce infatti come chi debba organizzare il personale con modelli efficienti ed efficaci lo possa fare senza una preparazione adeguata nella materia.

Qualcuno potrebbe osservare che tale titolo è indispensabile solo per gestire le imprese. Errore! È indispensabile per gestire qualunque tipo di azienda, pubblica o privata. Ribadiamo ancora una volta, se fosse necessario, che i Comuni, le Province, le Regioni e lo Stato sono aziende a tutti gli effetti, seppure senza scopo di lucro.

È vero, i Comuni hanno il Piao (Piano integrato di attività e organizzazione), ma possiamo assicurarvi, dopo averlo letto con attenzione, che esso non ha i requisiti necessari per fare funzionare un’azienda pubblica. E i requisiti necessari li vogliamo ricordare ancora una volta: formazione continua, organizzazione, produttività, efficienza e merito; in sigla Fopem. Per cui i Piao non hanno efficacia e conseguentemente fino a oggi si sono dimostrati inutili ai fini di migliorare il funzionamento delle aziende pubbliche, che si misura con i risultati, cioè con la qualità e la quantità dei servizi erogati, in modo da soddisfare cittadini/e e imprese.

La Pubblica amministrazione dovrebbe essere il motore dello sviluppo e della crescita del Paese, mentre ancora oggi è come se fosse una locomotiva a carbone. Ovviamente di questo stato di fatto, a scanso di equivoci, non diamo responsabilità all’attuale ministro Zangrillo, ma a una situazione incresciosa che ha origini decennali e che ancora non è stata messa all’ordine del giorno per trovarvi una soluzione adeguata.