Inchiesta

Sicilia, beati i pensionati della Regione: per loro in media 21.636 euro in più dei comuni mortali

di Serena Grasso e Paola Giordano

PALERMO – Non solo redditi, ma anche pensioni: la Sicilia si conferma come una delle regioni in cui gli importi pensionistici sono più bassi. Secondo i dati contenuti all’interno del rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile), recentemente diffuso dall’Istat, nel 2017 il reddito pensionistico nella nostra regione è stato mediamente pari a 15.887 euro: si tratta del quarto valore più contenuto in Italia, redditi pensionistici più bassi solo in Basilicata (15.334 euro), Calabria (15.348 euro) e Molise (15.635 euro).

Pensioni da fame quelle siciliane, verrebbe da dire, eppure non è proprio per tutti così. I tanti, troppi privilegi che la Sicilia autonoma garantisce ai pochi “fortunati” producono nell’Isola figli e figliastri.

La quanto mai generosa Regione siciliana paga ai suoi ex lavoratori la bellezza di 37.523,79 euro (il dato fa riferimento all’anno 2017): importo, questo, di gran lunga superiore sia all’importo medio annuo percepito dagli ex dipendenti del comparto pubblico (28.287,88 euro), sia a quello relativo al comparto privato (13.727,55 euro). Importo pensionistico medio, ancora, di gran lunga superiore a quello percepito complessivamente dai “comuni mortali”, così come riporta il Rapporto Bes.

A proposito di “comuni mortali”, nell’Isola i redditi pensionistici appaiono in linea rispetto al Mezzogiorno (15.966 euro), ma ben al di sotto rispetto alla media italiana (18.236 euro), con oltre quattromila euro meno rispetto al Lazio (20.581 euro) e Lombardia (19.751 euro), le regioni con gli importi più elevati. Agrigento è la seconda provincia in Italia per ammontare pensionistico maggiormente contenuto (13.936 euro), segue solo a Crotone (13.830 euro), e si stacca di ottomila euro rispetto a Milano (21.990 euro), la provincia italiana con il reddito pensionistico maggiormente elevato.

Enna e Trapani si piazzano entro i primi dieci posti per importi maggiormente contenuti (rispettivamente settimo con 14.789 euro e nono con 14.932 euro). Seguono Ragusa e Caltanissetta (in dodicesima posizione con 15.080 euro e diciassettesima con 15.244 euro). Palermo e Messina sono, invece, le due province siciliane con l’importo maggiormente sostenuto per la nostra regione (rispettivamente al quarantatreesimo posto con 16.888 euro e quarantaduesimo con 16.845 euro).

D’altra parte, gli importi più elevati si concentrano a Roma, Trieste e Bologna, oltre alla già citata Milano, rispettivamente con 21.990 euro, 21.815 euro e 21.099 euro.

Tutt’altra musica alla Regione siciliana: in barba alla spending review, infatti, la spesa pensionistica degli ex dipendenti regionali continua a “lievitare” costantemente: dai 595,8 milioni di euro nel 2015 è arrivata a 626,7 milioni nel 2016 e ha addirittura sfiorato i 658 milioni nel 2017. Tutti, fino all’ultimo centesimo, direttamente o indirettamente a carico delle casse regionali. Perché se a sborsare la stragrande maggioranza di queste stratosferiche somme è la Regione, che recupera la quota più cospicua (635,2 milioni) direttamente dal proprio bilancio, mentre la restante parte (22,8 milioni) è a carico del Fondo Pensioni Sicilia, una sorta di Inps made in Sicily istituito con la legge regionale n. 6 del 2009 proprio per svincolare la gestione finanziaria previdenziale dal bilancio regionale ma che, come ha evidenziato la Corte dei conti isolana, indirettamente pesa comunque sulla finanza regionale. Nel giro di soli tre anni, quindi, la spesa per le pensioni dei lavoratori regionali è cresciuta complessivamente di ben 62,1 milioni di euro. Una cifra spaventosamente alta.

In soldoni, dunque, un semplice pensionato che ha lavorato nel settore pubblico prende circa 9.200 euro in meno rispetto al pensionato regionale. E agli ex dipendenti del comparto privato va ancora peggio perché questi ultimi incassano all’incirca tre volte meno rispetto agli ex dipendenti regionali: la differenza con i pensionati che hanno la fortuna di essere sotto l’ala protettiva è infatti di quasi 23.800 euro. Tra le pensioni (d’oro) degli ex regionali e quelle (da fame) dei comuni mortali c’è, insomma, un abisso.


Pensioni d’oro anche per i burocrati Ars, per loro tagli ma solo per cinque anni

“Grazie al governo nazionale anche l’Ars dovrà applicare il taglio alle pensioni d’oro per il personale in quiescenza. Abbiamo appena approvato quella che sarà una bella sforbiciata fino al 40% alle pensioni che vanno dai 100 mila ai 500 mila euro l’anno. I siciliani risparmieranno 4,3 milioni di euro ogni anno a partire dal 1 gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2023. La prima battaglia è vinta. Adesso continuiamo con il taglio ai vitalizi degli ex onorevoli”.

L’esultanza dei deputati regionali del M5s componenti del Consiglio di Presidenza all’Ars Giancarlo Cancelleri, Salvatore Siragusa e Stefano Zito a proposito della delibera n.16 è stata nei giorni scorsi a dir poco incontenibile.

Il contributo di solidarietà sul trattamento pensionistico corrisposto al personale in quiescenza, effettivamente, appare quanto mai opportuno in una terra, la nostra per l’appunto, messa in ginocchio da una crisi economica senza fine e che quindi non può tollerare privilegi di sorta. “Si tratta di un provvedimento di equità e giustizia sociale – spiegano Cancelleri, Siragusa e Zito -, dato che il lavoratore medio siciliano, se ha la fortuna di arrivare alla pensione, una cifra del genere non la vedrà mai nemmeno con il binocolo”.

A smorzare in malo modo il tono trionfalistico dei grillini ci ha pensato il Presidente dell’Ars, Gianfranco Micciché che ha parlato di un’esultanza “fuori luogo”, perché “il Consiglio di Presidenza ha votato all’unanimità, limitandosi a recepire una legge nazionale”. “Il legislatore – ha continuato Micciché -, avendo alcuni dubbi sulla costituzionalità della norma, ha previsto che gli enti erogatori delle pensioni creassero un apposito fondo dove trasferire i risparmi che, nella fattispecie, verranno accantonati in un capitolo del bilancio dell’Assemblea regionale – continua il presidente Miccichè – Pertanto, la Regione dovrà continuare a versare all’Ars le somme per i pensionati. Non ci sarà nessun risparmio per i cittadini, perché sono accantonamenti che per qualche anno rimarranno improduttivi”. (pp)