Home » Inchiesta » In Sicilia cresce la Naspi, calano le imprese e il gap con il Nord sul Pil aumenta ancora

In Sicilia cresce la Naspi, calano le imprese e il gap con il Nord sul Pil aumenta ancora

In Sicilia cresce la Naspi, calano le imprese e il gap con il Nord sul Pil aumenta ancora
Offerte di lavoro in Sicilia di sabato 22 novembre 2025

Il presidente della Regione Schifani ha rivendicato alcuni risultati, ma analisi più attente ridimensionano le stime

PALERMO – “Elementi oggettivi che confermano l’efficacia delle azioni messe in campo”. Con queste parole, nei giorni scorsi, il presidente della Regione siciliana Renato Schifani ha rivendicato alcuni traguardi, soffermandosi in particolare su quattro argomenti: la diminuzione delle ore di cassa integrazione, l’aumento delle imprese, l’incremento del tasso d’occupazione e la crescita del Pil. I dati in questione sarebbero indicativi di una costante ripresa dell’Isola, ma in realtà dimostrano una sola cosa: che se la Sicilia cresce più rapidamente delle altre regioni, lo fa soltanto secondo la logica delle percentuali.

Benché il presidente, a questo proposito, abbia parlato di un’Isola più rapida del resto d’Italia, un’analisi attenta evidenzia come i risultati continuino a essere modesti e, in certi casi, inferiori rispetto a quelli di altre regioni. Un trend che sembra valere anche per le quattro dimensioni evocate e festeggiate dalla Regione: cassa integrazione, imprese, occupazione e Pil. Schifani ha menzionato i tassi siciliani positivi affermando che si tratta di “elementi oggettivi”. È però un’oggettività che deve fare i conti con aspetti di contesto (spesso trascurati) che influiscono sull’esito delle statistiche, e che dunque devono necessariamente essere presi in considerazione. Primo fra tutti il fatto che, partendo da una condizione di sottosviluppo, è logico (per non dire matematico) che le variazioni percentuali della Sicilia saranno comunque superiori rispetto a quelle di altre regioni che, in termini concreti, crescono più rapidamente. È un classico inganno della statistiche su cui, in queste pagine, ci siamo soffermati più volte.

Le fonti prese in considerazione dal presidente della Regione sono il report della Cgia di Mestre per quanto riguarda la riduzione delle ore di cassa integrazione, il rapporto Movimprese per le aziende nate nell’Isola e, infine, il monitoraggio di Bankitalia per ciò che attiene alla crescita del tasso d’occupazione. Inoltre, il governatore ha rispolverato l’incremento del Pil siciliano che, secondo i dati Istat, da un punto di vista percentuale sarebbe superiore rispetto a quello di tutte le altre regioni italiane.

La ricostruzione qui elaborata dal Quotidiano di Sicilia, analizzando punto per punto questi stessi elementi, propone di mettere in evidenza alcuni dei profili più controversi del contesto sociale ed economico siciliano, suggerendo una diversa interpretazione dei dati e puntando a contribuire a una fotografia dell’Isola quanto più possibile aderente alla realtà.

1 – Cassa integrazione, calo nell’Isola ma diminuiscono i dipendenti e aumentano le richiesta Naspi

Secondo il rapporto diffuso dalla Cgia di Mestre lo scorso 25 ottobre, mentre su base nazionale le ore di cassa integrazione sono aumentate di quasi il 22% nel primo semestre di quest’anno rispetto allo stesso periodo del 2024, in Sicilia si rileva invece una controtendenza. L’Isola ha registrato un calo pari a -25,3%, passando dalle oltre 4,8 milioni di ore autorizzate nel 2024, alle circa 3,6 milioni del 2025, segnando un decremento di oltre 1,2 milioni.

Il rapporto è stato salutato dal presidente della Regione come indicativo di una “Sicilia che continua a rafforzarsi e a crescere”. C’è però un altro monitoraggio, quello della Banca d’Italia (lo stesso citato da Schifani a proposito del tasso d’occupazione), che mette in evidenza un ulteriore indicatore che, in qualche modo, contempera la diminuzione rilevata sul fronte della cassa integrazione.

Sebbene il report di Bankitalia si riferisca al 2024 e non a un confronto con l’anno in corso, quanto rilevato suggerisce comunque una tendenza del mercato del lavoro siciliano che non può essere ignorata. La Banca, infatti, intercetta già il trend ribadito dalla Cgia, affermando che in Sicilia il numero di ore autorizzate per la cassa integrazione si sta effettivamente riducendo. Di contro, però, “la crescita del numero degli occupati – si legge nel rapporto – è stata più intensa per il lavoro autonomo rispetto a quello alle dipendenze, che ha rallentato. Questo andamento è confermato dai dati dell’Inps sul settore privato”.

E ancora: “Coerentemente con l’incremento delle cessazioni di rapporti di lavoro alle dipendenze nel settore privato, nel 2024 è cresciuto il numero di domande presentate per accedere alla nuova assicurazione sociale per l’impiego (Naspi) che, in base ai dati dell’Inps, era pari a circa 210 mila, in aumento del 9,2% rispetto a quanto registrato nell’anno precedente (7,2 e 6,4 rispettivamente nel Mezzogiorno e nella media nazionale)”.

Quanto messo in evidenza dal report di Bankitalia fa da contraltare alla diminuzione della cassa integrazione, introducendo la possibilità che a determinare il calo delle ore abbia contribuito, anche solo in parte, sia la frenata del lavoro dipendente rispetto a quello autonomo, sia un aumento delle cessazioni dei rapporti di lavoro subordinato. Il dato, dunque, potrebbe essere anche interpretato come indicativo di una maggiore difficoltà di certe catogorie di imprese, costrette a ricorrere a soluzioni più drastiche rispetto alla cassa integrazione.

Un ulteriore aspetto controverso, consiste nel fatto che nel rapporto della Cgia, tra le regioni in cui le ore di cassa integrazione sono diminuite, oltre alla Sicilia, ci sono anche Campania e Calabria (quest’ultima addirittura col -54%). Proprio quei territori che, secondo Istat e Eurostat, presentano le più marcate difficoltà occupazionali di tutta l’Ue.

2 – Nuove imprese, saldo iscrizioni-cessazioni positivo ma 7.577 aziende in meno rispetto al 2024

Quello che è stato celebrato dal presidente Schifani come un “incremento sostanziale del numero di imprese attive”, più precisamente fa riferimento non tanto all’attività, quanto al rapporto tra le nuove iscrizioni e le cessazioni delle aziende siciliane durante il terzo trimestre del 2025: risultato positivo rilevato nel report Movimprese e diffuso nei giorni scorsi da Unioncamere. Di preciso, nel periodo preso in considerazione (luglio-settembre 2025), secondo quanto emerge dal monitoraggio, in Sicilia ci sono state 5.211 nuove aziende iscritte e 3.101 cessazioni, con un saldo positivo pari dunque a 2.110.

Il saldo in questione, tuttavia, non indica un effettivo incremento delle aziende attive nell’Isola nel passaggio dal 2024 al 2025. Al contrario, mettendo a confronto le tabelle, si è registrata una diminuzione. Le percentuali del terzo trimestre 2025 che indicano le imprese registrate e attive ammontano rispettivamente a 0,45% e 0,56%: dati in effetti superiori rispetto a quelli del 2024 (0,21% e 0,26%). Tuttavia, queste percentuali riguardano un trend circoscritto al singolo trimestre, non un confronto diretto con lo stesso segmento dell’anno precedente.

Se anziché considerare il saldo percentuale si tiene conto dei numeri effettivi, e cioè si osserva concretamente quante imprese c’erano l’anno scorso e quante ce ne sono ora, il report rileva per il terzo trimestre 2025 un totale di 466.959 imprese registrate (cioè presenti nel registro indipendentemente dal fatto che siano attive, inattive, sospese, in liquidazione o in fallimento), e di 376.400 aziende attive (ossia quelle che hanno effettuato la comunicazione di inizio o ripresa dell’attività). Nello stesso periodo del 2024, invece, le aziende registrate erano 475.192 (rispetto alle 466.959 del 2025) mentre 383.977 erano le imprese attive (a fronte delle 376.400 dell’anno in corso). Tirando le somme, in un anno in Sicilia c’è stata un riduzione di 8.233 aziende registrate e di 7.577 attive.

3 – Tasso d’occupazione, trend incoraggiante ma attenzione a invecchiamento e spopolamento

Altro tema è il tasso d’occupazione, riguardo al quale il presidente Schifani ha fatto riferimento al già citato rapporto di Bankitalia, dove si evidenzia, per l’anno 2024, una crescita dell’occupazione siciliana superiore alla media italiana. L’Istat, per quanto riguarda la fascia di popolazione in età lavorativa 15-64 anni, ha fotografato in Sicilia un tasso d’occupazione del 46,8% nel 2024, in crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente. Un avanzamento superiore al risultato medio italiano che, in questo segmento temporale, ha invece assistito a un incremento del tasso d’occupazione pari allo 0,7%.

L’occupazione in Sicilia, così come in tutto il Paese, sta effettivamente crescendo. E i report dimostrano che i dati dell’Isola sono superiori a quelli del resto d’Italia. Ci sono però due aspetti da tenere in considerazione e che, forse, dovrebbero essere portati maggiormente all’attenzione della politica, per individuare azioni più adeguate ai veri mutamenti occupazionali che la regione sta attraversando. Il primo aspetto riguarda l’età degli occupati. Benché l’occupazione siciliana sia in crescita, lo è pur sempre in un contesto (comunque riguardante più regioni, si veda l’edizione del Quotidiano di Sicilia di mercoledì 1 ottobre) in cui i dati sono trainati più dagli over 50-60 che da forze fresche, suggerendo che un ruolo non marginale sia giocato dall’invecchiamento della platea di lavoratori e dall’innalzamento dell’età pensionabile.

In concreto, in Sicilia nel passaggio dal 2023 al 2024 si sono registrati 57 mila occupati in più: di questi, 29 mila appartengono alla platea di persone d’età compresa tra i 15 e 49 anni, gli altri 28 mila invece sono lavoratori tra i 50 e i 64 anni. Quest’ultimi, presumibilmente, non sono tanto nuovi ingressi nel mondo del lavoro, quanto persone (ci riferiamo agli over 60) che un tempo non rientravano nel range, ma che ora, non potendo permettersi il pensionamento, restano attive, contribuendo quasi per il 50% all’incremento siciliano e alterando l’esito delle statistiche.

Il secondo aspetto riguarda lo spopolamento. Il tasso d’occupazione dipende non solo dal numero di occupati, ma anche dall’ammontare della popolazione di riferimento. Tra il 2023 e il 2024, la popolazione siciliana di età compresa tra i 15 e i 64 anni si è ridotta di 19.179 persone, con una diminuzione demografica pari allo 0,62%. A livello nazionale, la riduzione ammontava a 43.578 unità, con un calo dello 0,12%. Quindi, se è vero che il tasso d’occupazione in Sicilia supera quello italiano, è altrettanto vero che il calo demografico dell’Isola è altrettanto superiore (di ben cinque volte) rispetto alla media nazionale. Al di là di tutto, resta il fatto che, in base al rapporto Eurostat, la Sicilia è tuttora la terzultima regione nell’Unione europea per tasso d’occupazione. Peggio fanno soltanto altre due regioni, anche loro italiane: la Campania e la Calabria, rispettivamente penultima e ultima nell’Ue.

4 – Pil, le percentuali ingannano: in miliardi, la Sicilia resta indietro rispetto a diverse altre regioni

L’incremento del Prodotto interno lordo è probabilmente la dinamica in cui l’illusione statistica per eccellenza (alte variazioni percentuali su bassi valori di partenza) si manifesta con maggiore chiarezza. Ha avuto grande risonanza l’ultima rilevazione Istat sui conti economici territoriali, relativa all’anno 2023, da cui è venuto fuori un dato senz’altro degno di nota: vale a dire un incremento del Pil siciliano (+2,1%) senza eguali in Italia, eccezion fatta per l’Abruzzo.

Si tratta però (e questo il rapporto Istat l’ha evidenziato a chiare lettere) di un incremento “in volume”, vale a dire in percentuale rispetto al valore dell’anno precedente. Non un’impennata in termini di ricchezza concreta, ossia di miliardi di euro in più per il Pil regionale.

Per cui, se è vero che il +2,1% registrato dal Pil siciliano è stato il dato più alto d’Italia, fare un confronto con la crescita percentuale delle altre regioni – al fine di sostenere che la Sicilia sia “locomotiva” del Paese – resta un’operazione di scarso significato. Perché le singole variazioni percentuali a livello territoriale, saranno comunque legate all’entità del Pil di partenza di ciascuna regione.

Infatti, se al posto delle percentuali si considera la crescita del Pil in miliardi, la Sicilia non è prima per incremento della ricchezza, bensì ottava, con un aumento in termini nominali di 7,6 miliardi di euro. Prima, in realtà, è la Lombardia che, sebbene la sua crescita percentuale (+0,7%) sia stata molto più bassa rispetto al +2,1% siciliano, ha incremento il suo Pil nominale di 32,2 miliardi di euro: ben 24,6 miliardi in più della Sicilia.

Ancora più significativo il piazzamento del Veneto che, pur avendo la stessa popolazione della Sicilia (circa 5 milioni di abitanti) è la terza regione d’Italia per incremento del Pil nominale, con una percentuale pari ad appena +0,9% ma con un aumento concreto di 13 miliardi di euro, staccando così l’Isola di 5,4 miliardi di euro e di cinque posizioni nella graduatoria nazionale.