Inchiesta

Startup in Sicilia, istituzioni e banche devono fare di più

ROMA – Quella delle startup siciliane è una realtà sostanzialmente stabile, che non presenta segnali di grave crisi, ma addirittura cresce e ha un capitale umano affermato a livello nazionale. Eppure vive dicotomie ancora importanti, soffrendo della mancanza di sostegno economico-politico di Comuni e Regione.

Che il valore del capitale umano isolano sia riconosciuto ne è prova che “tra le startup italiane di maggior successo ne troviamo alcune che provengono dalla Sicilia (Green Rail e Pharmapp ad es.), ma la verità è che se il capitale umano, i founder o il team per intenderci sono siciliani, non è siciliano l’ecosistema innovativo che gli ha permesso di crescere. Advisoring qualificato, Business Angels per finanziare le prime fasi di sviluppo del servizio/prodotto innovativo, prospect commerciali e fondi di VC per sostenersi finanziariamente nelle fasi di early stage e growth sono extra regionali”. A spiegarlo è Paola Di Rosa, avvocatessa palermitana, financial innovation & fintech Lumsa, docente a contratto del Master in International Business Università Cattolica a Catania e considerata tra le 150 donne che stanno innovando l’Italia.

Andando a vedere i dati compresi tra il quarto trimestre 2019 e il quarto trimestre 2020, riportati da Mise e Unioncamere, la Sicilia rimane nella top ten delle regioni per densità e distribuzione di imprese innovative sul territorio e per di più sono nate 35 nuove realtà, per un totale di 549 startup. Quest’ultime incidono però per il 4,7 per cento in Italia. Tuttavia cade ogni possibilità di paragone con la Lombardia, dove sono oltre 3 mila le realtà attive, 2.700 più che nella nostra isola e incidenti per il 27 per cento sul contesto nazionale, cioè il 22 per cento in più. La Sicilia “compete” con il Piemonte (659 start up registrate) e mostra gli stessi standard della Toscana (546 start up).

Manca nell’Isola una strategia politica e un tessuto produttivo capace di far compiere al sistema un salto di qualità, ma la voglia c’è. “Catania – spiega il professore Rosario Faraci, delegato del rettore all’Incubatore d’Ateneo, Start Up e Spin Off Università di Catania – è il nono ecosistema delle startup in Italia, secondo un recente rapporto di Startup Blink ed è quello cresciuto di più nel 2020. Palermo non è fra i primi dieci, ma è fra gli ecosistemi più attivi del Mezzogiorno. Se consideriamo che questi risultati, per quanto sempre perfettibili, sono stati raggiunti senza che mai il tema delle startup sia entrato nell’agenda politica della Regione e delle comunità metropolitane, direi che siamo dinanzi ad un piccolo miracolo. In Sicilia, il fenomeno delle start up è di tipo ‘grassroots’, nasce cioè dal basso”.

La nascita di imprese innovative, però, si distribuisce a macchia di leopardo. Nella classifica del 20 province come minore distribuzione troviamo Enna e Agrigento, con quest’ultima che può vantare solo sei “coraggiose” startup. L’incidenza delle due province sul contesto nazionale è di appena lo 0,10 e 0,5 per cento. Le start up della provincia dei Templi rappresentano il dato più basso in Italia per densità all’interno di un territorio ed è novità del 2020 la presenza di Ragusa tra le province con bassa densità di start up, per via di sole 22 realtà esistenti.

In Sicilia, si diceva, manca un ecosistema innovativo ed infatti “credo questa dicotomia sia giustificata dalle stesse ragioni che ho indicato sopra, ovvero il maggiore o minore grado di sviluppo dell’ecosistema innovativo in cui la startup nasce e si sviluppa. Come tutte le aziende – analizza Di Rosa – per crescere e svilupparsi le startup hanno bisogno di finanza e mercato, capitali ed imprese per rafforzarsi con partnership strategiche, ingredienti che in Sicilia sono dunque presenti a Palermo e Catania, pur con tutti i limiti economici della nostra Regione”.

La disomogenea diffusione dell’innovazione è, però, legato anche all’attività degli atenei sul territorio. “Non dimentichiamo – aggiunge il professore Rosario Faraci – che la presenza delle Università a Catania e Palermo è fondamentale nella promozione delle startup innovative. Secondo il Netval e il PNI Cube, due tra i più importanti centri di coordinamento fra le Università in materia di trasferimento tecnologico, gli Atenei sono tra gli attori chiave degli ecosistemi dell’innovazione e delle start up”.

Esistono dati comunque positivi sulle imprese regionali. “Per quel che mi riguarda – continua il docente etneo – non c’è una dicotomia forte tra province e realtà, piuttosto una diversità di vocazioni. Se non guardiamo alle start up innovative, ma alle nuove iscrizioni camerali, i risultati delle tre province menzionate (Enna, Ragusa, Agrigento) sono però buone. Nel 2020, si sono registrate ad Enna 677 nuove imprese, a Ragusa 1802, ad Agrigento 1.851. Ad eccezione di Enna, in queste province il saldo rispetto alle imprese cessate è positivo, dunque c’è un differenziale di nuove imprese in più”.

LO SCARSO APPEAL DELL’ISOLA ALL’ESTERO

Il quadro siciliano è chiaro, i difetti del contesto si ripercuoto anche a livello internazionale. Infatti, emergono segnali di scarso appeal anche tra i possibili imprenditori digitali esteri. Lo dimostrano i dati dell’ultimo rapporto Italia Startup Visa & Hub, fermo al quarto trimestre 2019, secondo cui delle 250 realtà non europee che hanno ottenuto un visto d’ingresso per fare start up in Italia solo una realtà ha scelto la Sicilia e Catania e 71 Milano, 34 Roma, 19 Treviso.

GAP NEI FINANZIAMENTI

Riguardo i finanziamenti, ovvero la principale fonte di sostegno delle realtà innovative, Unioncamere, Mise e InfoCamere scrivono che Il Fondo di Garanzia viene utilizzato con maggiore frequenza al Nord. La Lombardia vanta di gran lunga il maggior numero di operazioni (2.318) e la più elevata quantità di risorse mobilitate (474 milioni di euro), seguita nell’ordine da Emilia-Romagna, Veneto, Lazio e Piemonte. In Sicilia sono stati finanziati progetti per 29.812.622 con 282 operazioni, stando al rapporto ad esclusione della Campania, tutte le altre aree del Mezzogiorno sono collocate o in prossimità o nettamente al di sotto delle 400 operazioni.

IL PROFILO DELLE STARTUP

Di cosa si occupano le start up in Italia? È una startup innovativa l’8,8% di tutte le nuove società che operano nel comparto dei servizi alle imprese; per il manifatturiero, la percentuale corrispondente è 5,6%. In alcuni settori, come definiti dalla classificazione Ateco 2007, la presenza di imprese innovative è particolarmente elevata: è una startup innovativa il 39,1% delle nuove aziende che si occupa della fabbricazione di computer, il 40,4% di quelle dedicata a produrre software e addirittura oltre il 67,4% di quelle che operano nel campo “ricerca e sviluppo”.

Questi i settori più gettonati, ma come fare a creare una startup di successo? “Quello che suggerisco a chi si approccia al settore è di intercettare un gap di mercato e di colmarlo con le proprie soluzioni – spiega Paola Di Rosa -. Oggi il consumatore è molto più attento nelle scelte di consumo ed acquisto, sia per ragioni economiche ma anche e soprattutto etiche; non si accontentano di compare un qualsiasi prodotto/servizio, ma cerca quello che risponde meglio ed in maniera più veloce alle proprie esigenze. Su questo devono far leva le startup quando immaginano e disegnano il loro business”.

IL RUOLO DELLE DONNE

Si dibatte anche sull’esistenza o meno di un “gender gap” anche tra le aziende innovative, ma il professore Faraci sul punto precisa: “ Gli ultimi dati di Almalaurea dimostrano che su 7.188 laureati dell’Università di Catania che hanno dato vita ad un’impresa nel periodo 2004-2018 e quasi la metà sono donne. Alla stessa maniera, non credo ci sia alcuna diversità di genere nella costituzione delle startup. Il problema è semmai di ordine più generale. Come promuovere di più la nuova imprenditorialità fra i giovani, nelle scuole e nelle università? Come convertire un generico desiderio a fare nuova impresa, vuoi per necessità vuoi per vocazione, in una reale propensione a metter su una nuova attività, specialmente negli ambiti più innovativi? Se si lavora sui processi, anche i risultati saranno migliori e si potrà sperare pure in una governance delle nuove imprese più femminile. Il ‘gender gap’ sta qui, non nella presenza, ma nel numero di donne al timone delle aziende e delle start up”.

“Riguardo alle donne – aggiunge Di Rosa – il punto critico non è tanto la loro presenza nel team – maggiore nelle startup rispetto alle imprese tradizionali – ma nella loro difficoltà ad esserne founder. Si tratta di un tema di fiducia. Si pensa sempre che la donna abbia come primo interesse la creazione della famiglia e che rispetto all’uomo sia meno disposta a sacrificarla in favore di un progetto business; per questo il mondo del lavoro, il mercato della finanza non sono disposti a dargli fiducia, a rischiare il loro tempo e denaro sulla loro capacità di rimanere impegnate”.

Il 70% dei business angel nelle regioni del Nord

TORINO – Social Innovation Monitor (Sim), team di ricerca con base operativa al Politecnico di Torino, il 17 febbraio presenterà i risultati della ricerca sull’impatto dei Business Angel italiani 2020. La ricerca è stata svolta con la collaborazione di Angels4Impact, Angels for Women, Club degli Investitori, Doorway, Italian Angels for Growth (IAG) e Social Innovation Teams (SIT).

Dal Report emerge che sono 1014 i Business Angel (BA) nel nostro Paese, di cui il 53% appartiene a un Business Angel Group. Della totalità dei BA identificati, il 70% di essi è in Italia Settentrionale (la maggior parte in Lombardia).

L’area meridionale e quella insulare rappresentano, invece, le zone in cui vi è il minor numero di Business Angel. Sulla base del campione analizzato, la maggior parte dei Business Angel (il 60%) investe prevalentemente in Italia e, nel solo 2019, ogni Business Angel ha investito, in media, in 2,5 organizzazioni. I Business Angel “focalizzati” in specifici settori o tecnologie investono prevalentemente in “Digital Services & ICT”, seguiti da “Biotech and Healthcare” e “Fintech & Big Data Tech”.

Come sottolineato dalla professoressa Elisa Ughetto, co-direttore scientifico della ricerca e docente del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, “crediamo che una ricerca sull’impatto dei Business Angel italiani sia molto importante per il nostro ecosistema. I Business Angel, infatti, rappresentano un sostegno per lo sviluppo dell’innovazione, aiutano attivamente nella gestione delle imprese in cui investono e portano a esse un significativo valore aggiunto”.