In Sicilia non si riesce venire a capo del problema incendi. Al di là di ogni dato, oltre ogni dichiarazione ufficiale, a prescindere dagli investimenti in mezzi, personale o tecnologie, quella dei roghi è una piaga che pare destinata a non guarire mai. Per capirlo basta guardare le sagome dei canadair e degli elicotteri che volano da una parte all’altra, sentire il puzzo di bruciato nell’aria. Esperienze che pochi fortunati possono dire di non avere fatto quest’estate.
A fine luglio in tutta Italia erano andati in fumo oltre 56mila ettari
Anche nel 2025, infatti, la situazione dell’isola rappresenta una specificità rispetto al resto d’Italia. Talmente evidente da fare della Sicilia un caso studio, senza però avere la possibilità – o per meglio dire la capacità – di studiarlo. A fine luglio in tutta Italia erano andati in fumo oltre 56mila ettari, qualcosa che, come segnalato da Legambiente, è più facile da capire se si pensa a quanto possa essere grande una superficie costituita da quasi 79mila campi da calcio. Poco più di una settimana dopo, l’8 agosto, in Sicilia ne erano bruciati più di 42mila ettari.
Agrigento la provincia più colpita in Sicilia
Un’incidenza sul totale che continua a porre sul tavolo la domanda a cui nessuno – comprese le procure – ha finora saputo rispondere in maniera precisa, senza scivolare in facili conclusioni ma al contempo provando a non fare confusione: chi e perché ha interesse ad appiccare i roghi? I numeri – calcolati da questa testata attingendo dal portale del progetto Effis (European Forest Fire Information System) e registrati dal satellite Copernicus – dicono che dall’inizio dell’anno all’8 agosto la provincia più colpita della Sicilia è stata quella di Agrigento, dove gli ettari incendiati sono stati oltre 14mila. Subito dopo vengono le province di Caltanissetta e Trapani, con rispettivamente quasi 8500 e più di 7 mila ettari travolti dalle fiamme.
In questi due territori, le immagini degli incendi sono finite sui giornali per motivi diversi: nel Trapanese, i roghi nella riserva dello Zingaro hanno rappresentato la fragilità della Sicilia nel fronteggiare un problema noto da decenni ma che nonostante tutto continua a distruggere anche le parti più belle dell’isola; nel Nisseno invece ad andare in fumo, con danni incalcolabili, è stata la quasi totalità della Sughereta, la riserva che ospita il Muos, il sistema satellitare statunitense utilizzato per comunicazioni a scopo militare. Gli attivisti no Muos, denunciando l’assenza di controlli del territorio, hanno cercato di replicare con una provocazione: siamo certi che il sito non sia un possibile obiettivo sensibile come garantito dalle autorità americane, se poi basta un niente – o quantomeno qualcuno che a oggi non si è stati in grado di rintracciare – per distruggere ettari ed ettari di riserva naturale?
Nella classifica delle province con più incendi, al quarto posto si trova Palermo con circa 3800, mentre a Catania si sono già superare i 3mila. L’elenco prosegue con Enna, dove si è già sopra i 2mila ettari bruciati, Siracusa, con oltre 1600, e Messina, dove le aree percorse dal fuoco hanno superato la soglia di 1200 ettari. La provincia meno colpita, almeno finora, è quella ragusana, con poco più di 400 ettari interessati dai roghi.
Dire se nelle prossime settimane la graduatoria vedrà delle modifiche o l’ordine rimarrà quello attuale non è semplice. L’esperienza dice che quando si parla di incendi il dato più certo riguarda l’imprevedibilità: è pressoché certo che ancora per un bel po’ – probabilmente ben oltre la fine dell’estate – la Sicilia sarà esposta a nuovi potenziali danni, ma indicare quali siano i luoghi più sensibili sarebbe come fare un terno al lotto.
Servono più prevenzione e politiche integrate con piani forestali
“Basta ritardi, servono più prevenzione e politiche integrate con piani forestali e di adattamento ai cambiamenti climatici. Non possiamo permetterci di perdere anche le aree protette, custodi di ecosistemi e biodiversità”, ha denunciato nei giorni scorsi Legambiente, ricordando come ormai a essere colpite con una certa frequenza siano anche le aree sulla carta protette. “Nel nostro Paese questa emergenza è ormai sempre più cronica – ha dichiarato Stefano Ciafani, il presidente nazionale di Legambiente –. Per questo lanciamo un forte appello ricordando che per contrastare i roghi è fondamentale adottare un approccio integrato basato su prevenzione, rilevamento, monitoraggio e contrasto attivo. I piani antincendio boschivo da soli non bastano perché serve una integrazione con i piani forestali e con i piani di adattamento ai cambiamenti climatici che sono fondamentali per tutelare la natura e la biodiversità dei parchi. Gli incendi – ha continuato Ciafani – si contrastano anche con l’applicazione piena della legge a partire dall’aggiornamento del catasto delle aree percorse dal fuoco ed estendendo le pene previste per il reato di incendio boschivo a qualsiasi rogo”.
Il percorso di avvicinamento alla nuova stagione degli incendi – ufficialmente iniziata a metà maggio – per la Sicilia è iniziato lo scorso autunno, con l’indizione della gara d’appalto poi aggiudicata entro la fine dell’anno per l’affidamento biennale della fornitura degli elicotteri di cui da quasi un decennio la Regione si avvale per integrare il contributo offerto dai canadair. Il contratto con le società E+S Air ed Helixcom – aggiudicatarie di tutte le gare sin qui svolte, partecipando spesso in solitaria – ha previsto lo schieramento dei primi mezzi già a partire da gennaio e comprende la copertura dell’intero anno.
Al servizio aereo si è associato, come di consueto, lo schieramento del contingente di operai stagionali – diverse migliaia – che si occupano della manutenzione dei boschi, ovvero la fase di pulizia che dovrebbe ridurre il rischio di propagazione dei roghi, e delle attività di spegnimento. Quest’anno, così come nel 2024, la Regione ha avuto la possibilità di pianificare al meglio l’avvio delle operazioni, grazie all’approvazione entro i termini del bilancio che non ha reso necessario l’esercizio provvisorio. Alla pianificazione della campagna antincendio si sono aggiunti investimenti – in alcuni casi ancora al centro di gare d’appalto – per potenziare le dotazioni di mezzi.
Quali attori sono realmente coinvolti negli incendi?
Insomma, raccontata così, verrebbe da dire che tutto ciò che si potrebbe fare viene fatto. La realtà però dice altro: e se non bastano le saltuarie tragicomiche sventure, come il caso dell’errore nell’olio motore da utilizzare in un’autobotte assegnata a una squadra di operai nelle Madonie, a spiegare cos’è che non va, bisogna anche dire che sul fronte giudiziario a oggi non si è riusciti a fare molto. A parte i casi di piromani individuati e processati, finora non si è mai riusciti a imbastire un’indagine capace di ragionare su quali attori possano realmente essere coinvolti negli incendi.
Un tempo l’attenzione – anche mediatica, complice il momentaneo orientamento di chi sedeva a Palazzo d’Orleans – guardava dritto agli stagionali, potenzialmente interessati a garantirsi il lavoro. La tesi però si è sempre scontrata con la considerazione per cui proprio gli stagionali hanno per contratto un numero di giornate garantite a prescindere dal numero di incendi che si verifica. Poi c’è stata la fase in cui i sospetti, un po’ vaghi, venivano rivolti verso l’avanzare impetuoso del mondo del fotovoltaico e agli interessi ad accaparrarsi le terre, ma anche in questo caso è emerso come per convincere gli agricoltori a cedere l’affitto dei terreni basta spesso l’offerta economica che le società del mondo delle rinnovabili sono in grado di formulare. Negli ultimi tempi, ma è più un vox populi, c’è chi allude a situazioni in cui interessi speculativi legati all’edilizia si intrecciano con una certa ricorrenza degli incendi. Tuttavia, è inevitabile ricordare che esiste già una legge che impedisce per molti anni di modificare la destinazione d’uso dei terreni percorsi dal fuoco.
Che sia tutto opera di pastori? Di quella che è stata definita mafia dei pascoli? Onestamente sembra difficile. E allora cosa rimane? Dal mondo investigativo ciò che trapela è il convincimento che all’origine delle devastazioni ci sia innanzitutto la catena di omissioni che fanno sì che un uomo con un accendino, per ignoranza o un motivo futile, possa creare un danno ben più grande di quello che lui stesso avrebbe voluto causare. Ma siamo sicuri che non ci sia altro verso cui guardare?
Ma i numeri della Regione sono inferiori a Copernicus: 34 mila gli ettari coinvolti
Difficile dire sia una delle tante spie che segnalano che qualcosa non va, però probabilmente rappresenta un elemento di riflessione, tanto per la politica quanto per chi lavora negli uffici della Regione. Si tratta dello scollamento tra i dati registrati dal satellite Copernicus, che come detto vedono Agrigento, Trapani e Caltanissetta nelle tre prime posizioni della classifica delle province più colpite, e quelle che invece sono incamerate dalla Regione, tramite il sistema denominato Astuto.
Stando a quanto verificato dal Quotidiano di Sicilia, sul sistema regionale dall’1 gennaio all’8 agosto le province con più ettari incendiate sono nell’ordine Agrigento, Caltanissetta, Enna, Catania e soltanto in quinta posizione Trapani. A livello assoluto, sommando le voci superfici boscate e superfici non boscate, si arriva a un totale di poco superiore ai 34mila ettari. All’appello – ma non è chiaro se ci siano tipologie di aree non coperte da Astuto – mancano circa 8mila ettari se si prende come riferimento il portale Effis. Da Astuto è possibile anche ricavare informazioni sugli interventi aerei: fino all’8 agosto erano stati 36 quelli effettuati con la flotta regionale degli elicotteri per un totale di oltre 14mila lanci. Per quanto riguarda gli interventi nazionali, con i canadair, se ne contavano la cifra sfiora i trecento mentre supera i tremila il dato riguardante i lanci.
A livello provinciale colpisce il dato proveniente da Trapani, dove a bruciare sono state vaste porzioni di territorio tra cui la riserva dello Zingaro: su Astuto sono registrati 36 interventi di elicotteri per quasi novecento lanci. Poco più di un terzo di quello che si è registrato ad Agrigento, Caltanissetta, Catania ma anche a Palermo. Nonostante in quest’ultima provincia gli ettari bruciati siano stati meno di 1400, si è intervento con più di 120 velivoli e oltre 2350 lanci.

