Sono tanti e continuano a crescere. Sono potenziali bacini elettorali. Ma spesso le soluzioni individuate per assumerli sono soltanto delle illusioni.
Un esercito di precari vivrà il primo maggio in Sicilia con un sentimento misto di rabbia e delusione. Colpa dell’impugnativa della Finanziaria regionale che ha lasciato in sospeso gli aumenti salariali, gli assegni di sostegno al reddito, ma anche gli incentivi alle imprese per assunzioni stabili. E non solo.
Perché la politica potrà anche continuare a cercare di mettere delle pezze, ma in realtà poi soltanto in pochissimi casi si parla di stabilizzazioni. E anche quando succede, soltanto in pochi casi le procedure vanno in porto.
Per il resto la politica, in questi ultimi mesi come negli ultimi trent’anni, ha continuato a nutrire di promesse un bacino di migliaia di persone che aspettano un lavoro stabile. Un meccanismo che ha fatto sì che si continuassero a chiamare precari a lavorare nel comparto pubblico, sorvolando sul principio costituzionale che nella Pa si entra per concorso, e – soprattutto – aumentando a dismisura il le dimensioni del “problema”.
L’esercito dei precari: i numeri
Così siamo arrivati a numeri spropositati. Solo per citare le categorie principali: 16.000 forestali, una categoria sempre assai discussa, negli anni. Tra loro, solo 1.300 sono gli assunti a tempo indeterminato. Nell’ultima Finanziaria si è provato ad aumentargli lo stipendio. Un aumento alle indennità dei lavoratori che oggi sono in carico al Dipartimento regionale dello sviluppo rurale e territoriale dell’Assessorato all’agricoltura e al Comando del Corpo forestale della Regione siciliana era stato previsto, infatti, come “recepimento del contratto collettivo nazionale di lavoro riguardante gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria”, la norma prevedeva una spesa di circa 22,5 milioni di euro in più che corrispondono da un lato all’adeguamento al contratto nazionale e dall’altro agli “arretrati contrattuali spettanti per gli anni 2021 e 2022”. Visto che i Forestali sono circa 17mila, doveva trattarsi di un aumento compreso tra i 50 e i 100 euro lordi al mese in ogni busta paga. Ma l’articolo è stato impugnato dal Governo nazionale e quindi, al momento, stoppato.
Poi ci sono gli Asu, cioè gli addetti a lavori socialmente utili, che lavorano nei cosiddetti “enti utilizzatori”: un bacino da 4.300 precari che, attualmente, lavorano 20 ore settimanali e guadagnano circa 600 euro al mese. Quando fu creato questo bacino, più di trent’anni fa, gli Asu erano ben 40mila, ma nel tempo il numero si è assottigliato fra prepensionamenti, incentivi all’esodo, fuoriuscite spontanee e e assunzioni in altri settori e concorsi.
Oggi i pecari Asu sono utilizzati principalmente dagli Enti Pubblici siciliani. Di questi, circa 300 sono impiegati direttamente dalla Regione al Dipartimento dei Beni Culturali. Lavorano principalmente nei parchi e nei musei, dove svolgono ruolo di custodi e di biglietteria, lì dove non ci sono società affidatarie esterne a svolgere questa mansione.
La maggioranza degli altri lavora nei Comuni siciliani come supporto agli impiegati amministrativi e come personale d’ordine. La Finanziaria regionale prevedeva un’integrazione oraria a 36 ore settimanali per questi lavoratori, con un ovvio aumento di indennità, ma anche questo articolo è stato impugnato da Roma.
La Cisl: “Si sapeva che quel piano assunzioni era a rischio impugnativa”
“La verità – commenta Paolo Montera della Cisl Sicilia – è che bisognava essere più seri nel processo di stabilizzazione. Invece la Regione ha presentato un piano che si sapeva sarebbe stato impugnato dalla Corte Costituzionale, perché non aveva copertura di spesa fino al 2048, anno in cui l’ultimo precario Asu sarà in servizio. La Regione aveva previsto coperture solo per 3 anni”.
Anche in questo caso, infatti, i lavoratori Asu ricevono promesse di stabilizzazione da anni, ma per adesso restano solo “lavoratori in nero legalizzati” come li ha definiti il capogruppo della Dc all’Ars Carmelo Pace: non ricevono contributi, non avranno mai una pensione, non hanno neanche un vero e proprio stipendio.
Gli ex Pip
Un po’ come i Pip, un gruppo di 1700 lavoratori che facevano parte del progetto “Emergenza Palermo”. A suo tempo assoldati dal Comune di Palermo e passati negli ultimi anni nelle mani della Regione che pagava 36 milioni l’anno per un bacino formato, allora, da oltre 3000 lavoratori: “soggetti svantaggiati” inseriti nell’elenco speciale ad esaurimento con l’obiettivo di essere impiegati in attività di pubblica utilità.
Anche qui, la legge di Bilancio promulgata lo scorso febbraio dall’Ars riconosceva, a partire dall’inizio del 2023, un incremento dell’assegno di sostegno al reddito che viene attualmente erogato ai “Pip”, nonostante la notizia di un’imminente assunzione all’interno delle partecipate regionali, arrivata qualche mese fa.
L’assunzione non è ancora arrivata, nel frattempo era stato previsto un contributo per aumentare l’importo dell’assegno di sostegno, definito entro il limite massimo di quasi 5 milioni di euro. Anche questi, al momento, non arriveranno.
I precari del Covid
Di recente, poi, a questo gruppo immenso di precari si è aggiunto quello dei lavoratori dell’emergenza Covid. Amministrativi e tecnici informatici chiamati a lavorare nelle Asp, negli Ospedali, negli Hub vaccinali durante la pandemia, con contratti a tempo determinato per contrastare l’emergenza, e che per due anni hanno lavorato per la Regione, che ha potuto pagarli grazie a fondi statali stanziati per la Sanità durante il Covid. Ora che i fondi per l’emergenza sono finiti, il governo aveva deciso di mandarli a casa non rinnovandogli più i contratti.
Ma una protesta serrata di questi precari ha convinto il Governo regionale a tornare sui suoi passi e a far partire delle procedure di assunzione che, però, andranno a scapito di chi aveva partecipato a regolari concorsi pubblici per essere assunto nelle Asp. Nelle guerre tra poveri, d’altronde, è sempre un tutti contro tutti. Vince chi riesce a garantirsi un futuro.
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Chiara Billitteri