PALERMO – Soltanto il 3,7% dei siciliani, nel 2023, è stato veramente soddisfatto della propria situazione economica. Non solo: il 39,9% dei siciliani è poco appagato del proprio status finanziario, e l’11,4% non lo è per niente. Appena il 42,5% degli isolani, quindi, ha detto di essere abbastanza contento della propria condizione.
Numeri che portano la Sicilia in alto nella classifica delle regioni più scontente, come segnalato dall’Istat nel report sul Benessere equo e sostenibile relativo al 2023. I numeri della penisola sono ben diversi: soltanto l’8,6% degli italiani non è per niente soddisfatto della propria condizione, mentre coloro che ne sono abbastanza appagati sono il 54,6%. Le motivazioni che portano i siciliani ad esprimersi in questo senso sono ben spiegate da tanti altri indicatori collegati. Primo fra tutti il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni, che nel 2023 in Sicilia si è fermato al 48,7%, mentre la media italiana arriva al 66,3%.
Ancora peggio il tasso di mancata partecipazione al lavoro: se nell’Isola arriva al 32,6%, nella penisola si ferma al 14,8%. Non aiuta l’instabilità lavorativa. Se le trasformazioni in lavori stabili avviene soltanto nel 18,1% dei casi nella Regione, in Italia si sale al 22,4%. Senza dimenticare il problema della bassa paga. Se ne lamentano il 16,1% dei lavoratori, cosa che nel resto della penisola avviene soltanto nel 10,1% dei casi. Altra faccia della medaglia, il 27,6% dei lavoratori siciliani sovra istruiti, che accettano di demansionarsi pur di avere comunque uno stipendio che permetta di portare pranzo e cena a tavola.
Per gli stessi motivi, sono in molti a dover accettare occupazioni non regolari, ben il 16% contro l’11,3% nazionale, o un part time involontario, che permettere di guadagnare comunque qualcosa, anche se si aspira ad un tempo pieno più remunerativo. In questo caso si parla di una “scelta” del 14,8% dei siciliani, contro il 9,6% italiano. Ciò porta a vivere una forte insicurezza rispetto alla propria occupazione, un’ansia che investe il 6,4% dei siciliani, contro il 4,1% del resto della penisola. Interessante anche il dato relativo alla condizione femminile nel mondo del lavoro. È stato calcolato il rapporto tra i tassi di occupazione, tra i 25 e i 49 anni, tra le donne con figli in età prescolare e le donne senza figli. Se nel resto d’Italia tale percentuale arriva al 73%, in Sicilia scende al 61%, dimostrando quanto sia difficile per le donne riuscire a mettere insieme lavoro e vita familiare nella fase di maggiore impegno di cura nei confronti della prole, e come l’asimmetria nel lavoro familiare sia evidentemente marcata.
A livello macroterritoriale, la dicotomia tra Centro-Nord e Mezzogiorno è netta per il tasso di occupazione e per quello di mancata partecipazione. Il primo è sempre superiore alla media nazionale nelle regioni del Centro-Nord, inferiore nelle regioni di Sud e Isole. Il tasso più elevato è nella provincia autonoma di Bolzano, il 79,6% di occupati di 20-64 anni, e in Valle d’Aosta, al 77,3%; quello più basso in Campania e Calabria, 48,4% per entrambe.
Buone performance nelle misure della stabilità e della sicurezza sul lavoro caratterizzano i residenti in Lombardia, dove si registrano le quote più basse sia di occupati con lavori a termine da almeno 5 anni (10,7%), sia di infortuni mortali e inabilità permanente (7,4 per 10 mila); per quest’ultimo indicatore, si osservano valori bassi anche in Piemonte (7,5 per 10 mila) e nel Lazio (7,6 per 10 mila). La provincia autonoma di Bolzano mostra i valori più contenuti per l’indicatore sul part time involontario (3,8%) e per quello della corrispondenza tra lavoro svolto e titolo di studio posseduto (16,3%). Per ciò che concerne gli occupati non regolari, la Calabria mostra il tasso più alto (pari al 19,6%).